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Che Athena se ne fosse andata, lo sapevano tutti. Proprio tutti quanti: dal suo datore di lavoro, al gatto che lo guardava storto tutte le mattine quando usciva di casa. Lo guardava con pietà, lo stronzo. Perché, sì, insomma, non aveva un bell'aspetto.

Era solo un poco sottotono. Molto sotto.

A Tom non piaceva svegliarsi il mattino per andare a lavorare da uno che non faceva che ripetere quanto la sua faccia da funerale spaventasse i clienti. Aveva il diritto di essere scazzato, no? Era umano, Cristo! Invece no: si piantava il suo solito sorriso di convenienza sulla faccia e serviva l'ennesimo cliente, che non aveva niente di meglio da fare che guardarlo storto.

A Tom non piaceva nemmeno svegliarsi al freddo, a dirla tutta. Né senza caffè. Col silenzio delle sei e mezza del mattino. A volte guardava fuori dalla finestra e sperava solo fosse di nuovo sera: così si sarebbe messo sotto le coperte, avrebbe chiuso gli occhi, e tutto il resto non avrebbe più avuto importanza. L'illusione c'era, in ogni caso: la coltre spessa di nubi che stanziava su Berlino ingrigiva la città di una nostalgia ruvida e fastidiosa. Solo un inverno freddo e grigio. Nessun magico fiocco di neve preannunciante il Natale.

A Tom non piaceva soprattutto il nuovo gatto dei vicini. Un piccolo Kurilian Bobtail che se ne stava sdraiato tutto il tempo sullo zerbino di casa sua. Non la casa dei vicini, la sua. Che lasciava peli e ricordini profumati un po' ovunque e qualche volta entrava pure dentro, e graffiava tutto ciò che incontrava sul suo cammino, compreso Tom.

Dopo l'ennesimo graffio sul braccio, nel tentativo di scollarlo dal suo zerbino, di fatti, Tom l'aveva guardato malissimo e gli aveva sbattuto la porta in faccia.

Non che al gatto fosse fregato qualcosa, comunque: quello se n'era rimasto beato a grattarsi sul suo tappetino. Al ché, Tom aveva riaperto e si era inginocchiato di fronte all'esserino: muso contro muso.

«Facciamo un patto, Kratzer» il Bobtail era rimasto immobile con i grandi occhioni curiosi sgranati. «Ti lascio la proprietà dello zerbino, ma tu la smetti di graffiarmi, chiaro?»

Kratzer, di tutta risposta, aveva miagolato e gli aveva leccato il naso.

No, a Tom proprio non piaceva quel gatto. Non gli piaceva perché tutte le volte gli si incollava a una gamba e gli rovinava tutti i jeans che aveva; non gli piaceva perché aveva capito perfettamente cosa volesse, solo che quella cosa non gliela voleva dare.

Quella cosa non voleva darla proprio a nessuno.

Era fatica sprecata.

Kratzer, dal canto suo, non ne voleva sapere di arrendersi.

Era sempre lì, sia quando Tom usciva, sia quando rientrava; muoveva la lunga coda e gliela avvolgeva attorno a una gamba. Poi lo guardava. Lo guardava speranzoso e pure con un po' di pietà, perché insomma, Kratzer non era mica scemo. Le cose le aveva capite fin troppo bene, per essere arrivato per ultimo.

Tom lo odiava proprio il suo gatto, perché alla fine l'aveva avuta pure vinta: gli era toccato andare dai vicini e chiedere di poterlo tenere. I signori Schneider non avevano avuto problemi, comunque: avevano trovato Kratzer per caso, e avevano pensato di prendersene cura; non vi avevano instaurato nessun tipo di rapporto umano-animale domestico.

Così si era ritrovato pure con un gatto: nemmeno fosse stato l'ultima delle zitelle.

Kratzer era un perfetto stronzo.

Perché tra tutte le stanze che avrebbe potuto scegliere come rifugio segreto, aveva scelto quella in cui sapeva che Tom non sarebbe mai più rientrato.

Già: la camera tabù.

Poi, qualche volta, prendeva in bocca le cose trovate nei cassetti, dove si infilava in continuazione e gliele portava. Gliele sbatteva in faccia.

𝘌 𝘴𝘦 𝘷𝘰𝘭𝘦𝘴𝘴𝘪 𝘶𝘯 𝘣𝘢𝘤𝘪𝘰? -Tom Kaulitz-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora