AMY

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Sto facendo il mio turno al ristorante come ogni fine settimana.
Devo dire che mi sento soddisfatta per cavarmela da sola. Ogni giorno da quando sono andata via di casa, non ci sia una volta che non ripensi che se sono qui è solo grazie alle mie forze. In questi giorni cerco di dare il massimo, il venerdì soprattutto, nonostante faccia il turno serale e durante la giornata vado in università. Nel sabato e nella domenica cerco di dare più che posso, visto che ho la possibilità di lavorare solo il fine settimana, dovuto all'impegno universitario.

Frequento l'università di scienze dell'educazione. La facoltà che mi ha sempre affascinato sin dal liceo.  Ho la possibilità di andare avanti con gli studi grazie alla borsa di studio e anche grazie al lavoro che svolgo al ristorante Mark, il titolare.

Mark è una persona fantastica. Lo devo solo che ringraziare. Mi ha accolto appena sono arrivata, mi ha insegnato i trucchi del mestiere ed eccomi qui, ancora qui dopo 3 anni.

3 anni che ho iniziato l'università. Ho intrapreso questa esperienza di venire qui a New York da Washington, è stata una grande soddisfazione. Senza l'aiuto di mio padre.
Mi sono sempre impegnata anche a liceo con lo studio, vado avanti con la mia sudata borsa di studio.
L'ho sudata sin dal quarto liceo, ogni giorno sono piegata sui libri e mi impegno ogni giorno di più.
Lo faccio per me stessa e per nessun altro.

Di mio padre. Da quando me ne sono andata si fa sentire qualche volta e nelle vacanze. Prima non era così, prima si preoccupava per me, nonostante avesse quel poco tempo per stare insieme faceva di tutto. Ma da quando Ashley è entrata nelle nostre vite è cambiato molto. Soprattutto adesso che me ne sono andata.
Mio padre non sa nulla di quello che mi ha fatto passare Ashley e quando magari capitava il momento giusto per parlagli ha sempre fatto di tutto per impedirmelo. E fu che quando arrivai all'età dei miei 16 anni che ho spesso di provarci. Soffrivo e basta.
L'unica cosa che mi faceva andare avanti era andare dallo psicologo. Non le raccontavo tutto. Oramai piano piano stavo cominciando a cavarmela da sola. Se le avessi raccontato quello che mi succedeva ne avrebbe fatto presente a mio padre e poi ...

Spostai la testa per non pensarci. Troppi ricordi. Troppi.

Mi fermo un attimo. Sento la testa che mi inizia a pulsare e comincia a girare. Non va bene. Non va assolutamente bene.

Tutto ciò so cosa comporta e dove mi porterà a fare da li a poco.
Ma oramai ci sono abituata, so come gestirmi, ma è comunque dura.
Da fuori può sembrare stanchezza. Ma dentro di me sto soffrendo.

Poggio le mani sul bancone e piego la testa avanti.
Chiudo gli occhi e cerco di respirare.
Sento una lacrima uscirmi dall'occhio ma non me ne curo.

Questo è uno di quei momenti che vorrei non avere. Vorrei vivere una vita normale senza pensare a quella persona che mi ha rovinato l'adolescenza. Ho fatto di tutto per non dirlo a mio padre. Gli voglio troppo bene per dirglielo e quindi ho preferito tenermelo per me. Tenermi il dolore senza esporlo.
E quando queste scene si ripresentano crollo.

<Amy> sento una voce che mi chiama, ma sono immersa nel dolore.
<Santo cielo Amy. Vieni qui. Siediti qui> sento il mio corpo appoggiarsi sulla sedia
<Aspetta un momento, vado a prendere la cassetta delle emergenze> sento un'altra voce parlare.

Istintivamente alzo la mia mano e noto che mi sta uscendo del sangue. Mi guardo in giro per fare mente locale.
Stavo pulendo i bicchieri. Sarà dovuto da questo. Guardo per terra e trovo il bicchiere frantumato. Successivamente lo sposto su Lucy che sta pulendo il disastro che ho combinato. Mi sento in colpa. Ma ancora di più quando i miei pensieri si rifanno vivi nonostante tutto. A volte vorrei avere un attimo di pace. Non vorrei soffrire e che la mia vita per una volta andasse nel verso giusto.

<Tesoro. Dammi la mano, cosi posso medicarla> richiamando la mia attenzione Mary. Le allungo la mano senza fiatare. Il mio sguardo è assente, si muove tutto in automatico. <Per fortuna che non hai nessun pezzo di vetro, altrimenti sarebbe stato un problema> finendo di mettermi la garza. 

Spostai il mio sguardo su di lei. Le feci un piccolo sorriso. <Grazie> sussurro. Mi accarezza i capelli e mi da un bacio sui capelli.

Mary è una donna di sessant'anni. Nonostante l'età ha una grinta assurda. E' la moglie di Mark e sono una bellissima coppia. Ogni tanto li guardo e mi godo quei piccoli momenti di amore che mi sono rimasti intorno a me. Mi hanno accolto come se fossi loro figlia. Non passa giorno che non li ringrazio.

<Perchè non vai a casa?!> continuò, accompagnato da un accenno di sorriso. La guardo negli occhi, sto quasi per aprire la bocca ma mi anticipa <Non voglio sentire storie. Fai abbastanza qui. Tra poco vieni anche quando hai la febbre alta. Per noi non c'è nessun problema.> sbuffo e mi alzo dalla sedia. A me piace questo posto, ci lavoro molto volentieri, alcune volte faccio fatica tra lo studio e venire qui. Ma la maggior parte dei momenti non mi pesa. 

Arrivo in camerino; mi tolgo quello che non serve; prendo il mio giubbotto e la mia borsa. Sto pensando se mettermi il giubbetto oppure no. Ma chi se ne frega, la macchina è qui difronte. Devo avere solo a portata di mano la chiave della macchina e vado sicura. A New York si comincia a sentire il freddo, l'autunno è alle porte e bisogna cominciarsi a coprire leggermente di più. 

Ricontrollo tutto e mi dirigo verso l'uscita. Cercando in tutti i modi anche di non sforzare la mano. Prima però m avvicino a Lucy.

<Ciao Mary. Ci vediamo domani> 

<Ciao cara. E poi chi ti ha detto che puoi venire domani! Con quella mano non puoi fare nulla. Prima rimettiti e poi venerdì prossimo ritorni> girandosi verso la mia direzione. Anche qui sto per ribattere ma alza il mestolo in aria per indicarmi <Non accetto nessuna lamentela> con il suo sguardo di sfida. Anche qui mi ritocca sbuffare con l'aggiunta degli occhi che rotolano.

<Va bene> staccandomi dalla porta e uscendo poi definitivamente dal ristorante.

Appena metto piede in macchina, prima di ripartire mi soffermo a vedere la mano. Sulla garza posso notare un po' di sangue, rabbrividisco al modo in cui è potuto succedere una cosa del genere. Prendo un bel respiro, infilo la chiave e parte.

Aziono la mia playlist per non pensare sia al dolore della mano, sia per no pensare ad altro. La prima canzone che capita è proprio quella che mi serviva. 

Walk di Kwabs.

Spengo il cervello e canto a bassa voce. Prima di tornare a casa forse è meglio che mi fermi dal distributore. Domani sarò svogliata e non mi andrà di fare benzina. Come tutto il resto della settimana d'altronde, soprattutto perchè l'università e lo studio mi impiegano molto tempo.

Scendo. Metto benzina. Risalgo in auto. Aziono l'auto.

Una volta. Due volte.

<Ti prego. Perchè adesso? Che cosa ho fatto di male> mi appoggio al sedile e cerco di metabolizzare. La mia auto non parte. Ho una mano fasciata. Non so a chi chiamare visto che Angie è impegnata con sua nonna fino alle 4.

Mi risiedo dritta e scendo dall'auto. L'unica cosa da fare è chiedere al benzinaio.

<Scusi> avvicinandomi a lui.

<Si, mi dica>

<Volevo sapere. Per caso conosce un ottimo meccanico. La mia macchina non parte e non so a chi altro chiedere>  

<Si. Se vuole faccio uno squillo e li avviso. Non è tanto distante da qui. Lavorano bene e sanno fare il loro lavoro>

<Se mi fa questo favore gentilmente. La ringrazio>

<Di nulla> dopo avermi detto questo lo vedo allontanarsi per chiamare il meccanico che mi salverà la vita. 

Nel mentre che aspetto prendo il cellulare dalla tasca e mando un messaggio ad Angie. La chiamerò appena avrò la possibilità.

<Scusi. Mi hanno riferito che arriveranno prima possibile> mi sento dire dal benzinaio.

<Oh grazie mille. Non so come ringraziarla>

<Nessun problema d'avvero> sorridendo e allontanandosi per aiutare un altro cliente.

THE FIRST LOVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora