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Erano le dieci e venticinque della sera quando Jeongin si trovava su uno dei tre letti della camera dei fratelli Lee, a fissare il soffitto. Il resto della ciurma si trovava al piano di sotto riunita nel solito salotto confortevole a giocare a chissà quale gioco da tavolo -- Felix amava i giochi da tavolo e tutte le sere ne presentava uno nuovo ai suoi amici per passare il tempo. Jeongin aveva usato la scusa del "sono stanco" per rifugiarsi nella tana accogliente e col riscaldamento da farti dimenticare di essere in pieno inverno.

La verità era che, stupida bastarda verità, Jeongin non era affatto stanco e dei suoi quotidiani insulti e battute riferite e regalate ai suoi sette amici non erano volate neanche per sbaglio quel giorno.

Jeongin non era stanco, nossignore, bensì distrutto e no, non intendo fisicamente.

No, assolutamente no: Jeongin, povero e troppo giovane Jeongin, non riusciva a dimenticare appieno ciò c'aveva dovuto subire in tenera età fino a qualche anno fa, poco prima che le prove vennero a galla.

Jeongin era sempre stato un bambino solare ma anche stressante, i suoi genitori ricordano ancora le bravate fatte da loro figlio ed i due fratelli che possedeva potevano solo che confermare. Era una peste, proprio come lo è ancora adesso. C'è una cosa, però, che è cambiata radicalmente da quel fatidico giorno.

Chan si ricorda ancora di come Jeongin fosse un ragazzino che accettava volentieri gli abbracci dei suoi cari, ma questa cosa con il passare di pochi mesi era sparita. Jeongin ora non si faceva toccare neanche con un fiore ed il suo hyung, il più grande tra tutti lì dentro, non ne aveva mai compreso il motivo. Sapeva solo che il comportamento di Jeongin aveva iniziato a trasformarsi quando Minho era entrato a far parte del gruppo.

Jeongin, anni, anni, anni fa, durante tutto il mese di luglio andava a far visita a suo zio insieme ai suoi due fratelli. Suo zio, lo zio Beryl, era un vedovo che purtroppo viveva nella campagna pura. Jeongin adorava la campagna così come adorava suo zio, ma questa sua adorazione si trasformò in paura e profondo odio.

Oh, Dio santo! Quanto gli sarebbe piaciuto essere l'ultimo in quella terra a dover subire quelle azioni, quei movimenti, disgustosi, ma non sarà mai l'ultimo purtroppo, nessuno sarà l'ultimo della serie di violenze che tutti subiamo giornalmente in qualsiasi maniera. La violenza è all'ordine del giorno per nostra grande sfortuna, e solo i più coraggiosi provano a fermarla.

Beh, non posso più nascondervi che Jeongin, povera pura anima, era stato macchiato di nero nei suoi soli sei anni di vita in cui capì, cazzo se capì, che di zio Beryl non ci si poteva fidare.

Beryl era un uomo calmo e che amava aiutare il prossimo, così almeno si faceva vedere... vedete, in realtà era un mostro -- la definizione perfetta che il padre di Jeongin aveva potuto assumergli -- a cui non interessava molto degli altri e che scaricava la colpa delle sue azioni al trauma che aveva subito durante la perdita della sua cara mogliettina. Certo, risolvere i propri problemi creandone altrettanti ad altri era giustamente la soluzione migliore!

Jeongin mai aveva sopportato quelle urla isteriche, quegli sguardi minacciosi e tutti i rimproveri che aveva ricevuto per aver per sbaglio fatto cadere un bicchiere, e le sue lacrime non vennero mai asciugate da nessuno. Comunque, erano troppo piccoli per comprendere che quella situazione era molto più grande di quel che pensavano.

Il Jeongin bambino aveva provato in tutti i modi gli anni successivi a non andare in campagna da suo zio, ma ogni qualvolta che provava a spiegare ai suoi genitori che Beryl non fosse una brava persona le parole gli morivano in gola. Quindi alla fin fine si trovava sempre lì, in quella casa che cadeva a pezzi, in mezzo alle battutine disagianti e sguardi lussuriosi di zio Beryl.

Ma cosa cambiò principalmente Jeongin? Come mai, "senza alcun motivo", iniziò a detestare anche una piccola ed innocua pacca sulla spalla? Ve lo dico io, tesori miei, anche se penso già possiate immaginare quel che accadde quel pomeriggio in cui i due fratelli di Jeongin si assentarono dalla casa di Beryl per fare la spesa.

"Ehi Jeongin-ie... vieni qua, voglio un abbraccio~."

Mani sulla sua vita.

"Jeongin-ie... sei così bello..."

Respiro sul suo collo.

"Sì Jeongin... così... così, da bravo..."

Baci non richiesti, tocchi indesiderati, vocaboli da voltastomaco.

Jeongin si sentì sporco e volgare per una cosa ch'era stato obbligato a fare.

Jeongin si sentì morire.

E ci aveva pensato -- a farla finita, intendo -- e forse, forse, ci aveva pure provato, ma niente era andato come previsto.

Toc, toc... bussarono alla porta della camera e Jeongin, meccanicamente, diede il permesso d'entrata. La porta s'aprì e il ragazzo non si scomodò ad alzare il capo per vedere chi avesse fatto capolino dall'ingresso. Era Chan quello ch'era entrato cercando di fare il meno rumore possibile sebbene sapesse e vedesse che Jeongin non fosse con Morfeo.

"Ehi Innie..." Chan intuiva che ci fosse qualcosa di fondo. Conosceva bene Jeongin, così credeva almeno, e sapeva sempre quando il suo amato bambino -- chiamato così da lui stesso sin dal giorno uno -- stesse male. Jeongin però, nonostante i richiami del suo hyung, continuò a fissare il soffitto. Jeongin non sentiva la voce di Chan seppure quest'ultimo fosse ad un passo da lui.

Chan si sedette sul bordo del letto, le lenzuola in pile erano di un magenta brillante, e con preoccupazione osservò gli occhi spenti del suo amico. Era insolito vedere quei occhi sempre pieni, ora spenti dalla loro stessa luce.

"Innie, come ti senti? Giù stiamo cucinando una torta, ti va di unirti a noi?"

Chan ci provava, ci provava sempre a far sentire a loro agio le persone. Era la cosa più importante per lui, quella di far sentire bene chi gli stava intorno. Ma Jeongin, piccola anima, non accennava segni di vita.

"Jeongin-ie sei stato formidabile... facciamolo più spesso, okay?"

"Jeongin-ie, non fare il bambino cattivo. Sai cosa succede ai bambini cattivi?"

Jeongin non riusciva a togliersi dalla testa quella voce, a togliersi di dosso quelle mani sudaticce e nauseanti, Jeongin non c'è la faceva, rimaneva sempre fermo al passato. Eppure ora è tutto risolto, ora suo zio Beryl è al fresco con i suoi simili, nessuno potrà fargli del male.

Che cazzata... che grande cazzata... chiunque può fargli del male, da qualsiasi parte! In bus, in treno, per strada, a scuola, nel suo futuro lavoro... ovunque, cazzo! Ovunque metterà piede chiunque potrà rifare le stesse azioni che già ha dovuto subire!

Non sono stato l'ultimo... non sarò mai l'ultimo...

E se la ricordava ancora, quella ragazza incontrata per caso ad Halloween e che per poco non veniva molestata.

Quanto... mi piacerebbe essere l'ultimo...

"Ehi... Innie..?" Chan non sapeva niente di quel che Jeongin aveva passato, il suo bambino era bravo a nascondere segreti come quello. Ma ora, ma adesso, Jeongin non ce la faceva più. Era rimasto dietro nel tempo e, se non si fosse mosso subito, non sarebbe mai andato avanti.

Il ragazzino spostò il capo di lato, verso il suo hyung, e con voce flebile e rotta dalle prime lacrime si trovò a raccontare la raccapricciante storia di quello che era solo un bambino di sei anni, Yang Jeongin.

E Chan, povero e vecchio Chan, si accorse solo in quel preciso istante del terrore del suo amico e di come in realtà non sapesse niente, niente di lui.

Jeongin diventò pioggia ed il suo hyung il secchio che raccoglieva quelle gocce salate e, stupido, stupido Christopher, sfiorò con i pollici il viso pulito del ragazzino. E Chan pensò, pensò a come non ci avesse mai fatto caso e disse:

"E quindi tu hai cominciato a rifiutare qualsiasi forma d'affetto e ad essere più arrogante solo per quello che t'ha fatto tuo zio? Innie... scusami se non l'ho capito prima d'ora."

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