Era passato già un mese e ancora non giungevano notizie della sorte dei D'Angió.
Nessun messaggero di re Enrico era giunto nella contea del Maine, ne notizie da Goffredo.La pioggia aveva reso il terreno fangoso, cavalli e cavalieri avrebbero avuto un bel da fare
per percorrere anche tragitti più brevi.Cecilia era uscita a prendere l'acqua nonostante la pioggia sarebbe bastata a riempire le giare all'esterno delle mura.
Camminava a piedi scalzi nel fango, aveva fatto un nodo alla tunica per non inzaccherarla.
I capelli erano emblema dei suoi pensieri, appiccicati e grondanti acqua.Le sembrava di non provare più nulla, non sentiva neanche più freddo. Incurante della pioggia, della terra che le si era infiltrata fra le dita dei piedi, dell'orcio sopra la testa che traboccava acqua.
Non poteva fare a meno di pensare a quei soldati che dovevano battersi anche in quelle condizioni. Ad uno in particolare. Perché prima non aveva mai avuto questi timori?
Un lampo illuminò il cielo scuro.
Cecilia alzò il viso e lasciò che l'acqua scorresse sulla fronte e sulle guance nascondendo le lacrime. Il castello era di fronte a lei e non si decise ad entrare fino a quando non si fu calmata.Dentro era affollato. Tutti si ritrovavano nell'androne all'interno delle mura del palazzo. Sir Berto si comportava come fosse il padrone e Cecilia si premurava di ribadire che Goffredo sarebbe tornato.
Donna Hester la trattava come fosse una sua ancella. La sera precedente l'aveva fatta chiamare da una servetta e Cecilia la trovò in una grossa tinozza di legno. E mentre la donna le chiedeva di lavarle la schiena lei faceva un calcolo di quante volte sarebbe dovuta andare al fiume per portare l'acqua che era in quella tinozza.
Donna Hester continuava a parlarle di Goffredo. Le diceva senza peli sulla lingua che fra loro c'era stato molto più che un gioco di sguardi.
«È un uomo virile, insaziabile. Dovrai saperlo ormai, che non gli può bastare una sola ragazzetta. Sarebbe capace di soddisfare un intero arem senza scontentare nessuno. E ora che è anche più uomo...vi invidio mia cara. Vi addormenterete sempre con il sorriso.»«Scusate donna Hester, perdonate ma non sono in vena di certi discorsi quando mio marito è nel pieno di una guerra e nel mezzo di un assedio. Potrebbe patire la fame o la sete, potrebbe essere ferito, ...potrebbe essere...» la voce le si fece flebile «...morto.» gli occhi le si riempirono di lacrime e lasciò donna Hester fuggendo da quella stanza ma l'oppressione la segui anche fuori.
Donna Lucrezia guardava Cecilia con occhi diversi, forse si sentiva accomunata alla giovane dall'amore che provavano per Goffredo. Sì, perché l'altera signora si era accorta dell' apprensione della giovane, l'aveva vista trasalire o alzare il viso di scatto ogni volta che veniva nominato il nome di Goffredo, e l'aveva vista correre per le scale a rotta di collo all'arrivo di un cavaliere, per poi vederla tornare su piano e con un espressione triste sul volto. E se anche la giovane non se ne rendeva conto donna Lucrezia era certa che ella se ne fosse irrimediabilmente innamorata.
A Cecilia faceva piangere anche quella strana gentilezza da parte di donna Lucrezia.
Era come se presagisse qualcosa di infausto.
E la trattasse con condiscendenza per una sorta di pietà che lei rifiutava.Cecilia entrò nella sua camera e si chiuse dentro. Si lavò i piedi, e si tolse la tunica bagnata, anche la sotto veste era zuppa e la sfilò. Aprì il baule e tirò fuori la camicia da notte pesante. Quella che aveva tolto davanti a Goffredo. La infilò velocemente, si sedette sulla poltroncina imbottita e tirò su le gambe cingendo le ginocchia con le braccia e si raggomitolò. Chiuse gli occhi.
Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva frammenti di immagini di lui. Lui che si voltava a guardarla, lui con il volto corrugato, lui con quel sorriso strafottente, o con quel ghigno malefico e cattivo, lo schiaffo, il bacio, lui che le teneva i polsi, e per chiudere il cerchio un lato di lui che era uscito solo negli ultimi minuti prima di andar via, una dolcezza negli occhi quando gli aveva chiesto scusa per lo schiaffo.
Si alzò risoluta e andò nella stanza affianco, le mura grigiastre e l'arco sotto cui spiccava la piccola porta di ferro con la griglia per vedere all'interno. Un tempo usata per rinchiudere nemici illustri, era stata usata anche per rinchiudere lei i primi giorni che gridava e continuava a fuggire e la ripescavano nei canneti o addirittura nel fiume dove si gettò in pieno inverno rischiando l'assideramento e di affogare.
Si guardò le braccia prima di entrare, ora allungate e aggraziate, carnose e con muscoli abbastanza forti seppur non troppo evidenti, le paragonò a quei stecchetti che erano a tredici anni, con le dita ossute e i gomiti spigolosi.
Spinse la porta ed entrò. La stanza era buia, cercò a tentoni il cassettone dove erano le candele, e trovò le due pietre focaie per accendere lo stoppino.La luce ondeggiante illuminò debolmente una parte della stanza, con la candela in mano ne accese altre finché non ebbe tutte le parti del grande telaio bene in vista.
Da prigione quella stanza era divenuta la zona in cui filava e tesseva la lana. A sinistra aveva un ripiano con allineati, i fusi di lana da filare, le canne che utilizzava per fare le rocche, i fusi di lino finissimo che aveva acquistato da un mercante di passaggio e delle tinozze che usava per tingere i filati.
Più in fondo, vicino alla finestra c'erano una serie di attrezzi per cucire, il fabbro del feudo nei ritagli di tempo del suo lavoro le faceva aghi di ogni misura punteruoli per la pelle, uncini e grosse lame affilate unite a forbice che alcune volte Cecilia aveva usato anche per accorciare i capelli. Lei in cambio gli aveva creato due casacche e un camicione per sotto.
In quei sei anni era divenuta esperta sia nella scelta delle fibre che nella tessitura. Tanto che quasi tutti avevano un capo che o per il filato o per la tessitura o per le cuciture era passato tra le sue mani.
Prese da dentro una cassapanca i filati di seta e cotone che aveva preso dallo stesso mercante. Aveva fatto solo delle prove con quei fili, ed erano così delicati che doveva stare attenta a non tirare troppo sul pedale e sull'asta del pettine per non farli stuccare ogni volta.
Passò così quella notte. Preparò la roccatura per l'ordito e cominciò a infilare e a tendere i capi di ogni rocca, mentalmente si fece un calcolo sulla quantità di fili necessari e ne aggiunse altri. Voleva fare due tele, uno con lo stemma normanno e l'altro con quello della contea del Maine, e se aveva abbastanza filato ne avrebbe fatto un altro con il simbolo dei D'Angiò e li avrebbe uniti in uno stendardo per farne dono a Goffredo.
Preparò diverse navette, e si posizionò sullo sgabello. Con le assi sotto ai piedi spostava i licci e allargava le maglie dell'ordito e lanciava veloce la navetta da destra verso sinistra e viceversa. Quel lavoro ritmico la aiutava da sempre a calmarsi. Annullava tutto per eseguire movimenti misurati veloci e precisi. Il rumore della battitura poi diveniva quasi musicale. Prosegui fino a quando non vide la luce del giorno filtrare fra le grate della finestra.
Spense le candele e tornò in camera. Si addormentò di un sonno agitato che la fece svegliare urlando. Donna Lucrezia che stava salendo per andarla a chiamare bussò alla porta spaventata.
«Cecilia! Che succede? Aprite.»Era un viso sconvolto quello che vide apparire dietro alla porta. Gli occhi cerchiati è un espressione terrorizzata dal sogno che l'aveva svegliata in un bagno di sudore.
Donna Lucrezia guardò la giovane e d'istinto la abbracciò.
Quell'abbraccio aprì un fiume in piena, Cecilia spalancò gli occhi e lasciò cadere giù le braccia stupita. Quella dimostrazione di affetto inaspettato la fece scoppiare in un pianto disperato e singhiozzava sulla spalla di quella che in passato aveva considerato una sua nemica, anche lei con le lacrime agli occhi.«Tornerà vedrai!» le disse piano donna Lucrezia. «Ora vestitevi che la vedetta ha visto lo stendardo del re portato da un uomo a cavallo, presto sarà qui! Ci porterà notizie di Goffredo.»
A quelle parole Cecilia si staccò dalla donna guardandola speranzosa e si diresse veloce alla cassapanca per tirare fuori un'altra tunica dato che quella che portava sempre era ancora bagnata.
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Rossa come le fiamme
Romansa1260, e giù di lì. Sir Goffredo, duca della Normandia torna, per la seconda volta a distanza di tre anni, obbligato da re Enrico III, al suo feudo nella contea del Maine. Lo stesso re che lo obbligò, con la complicità dei genitori, a sposare una ra...