4) la festa per il ritorno 🟡

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Le tavolate erano colme di vassoi, i servi ne portavano altri e faticavano trovare posto. Il vociare dei commensali copriva il suono dei musicisti chiamati dal diacono della cappella del castello. I tre giovani, si alternavano con i loro strumenti: una ribeca, un flauto e una cornamusa, accompagnando i due coristi.

Donna Lucrezia sedeva nella tavolata fra re Berto e donna Cecilia, affianco a questa vi era Goffredo. Nella tavolata di fronte c'erano i cinque compagni d'arme, più vecchi amici di palazzo. Vassalli e sudditi invitati a festeggiare il signore del feudo cantavano a gruppetti con scoppi di ilarità.

A volte le battute ferivano le orecchie di Cecilia spesso essendone l'oggetto, e si ritrovava a fissarsi con Goffredo che era parte in causa.
Gli orci venivano vuotati più che i vassoi è ben presto la maggior parte dei partecipanti alla cena erano più ubriachi che allegretti.

Così fra i tavoli capitava che qualche buon tempone aggrappasse per la vita la donzella più vicina e se la tirasse sulle ginocchia, e fra le risate si baciavano e a volte lasciavano la sala mentre il diacono faceva il segno della croce.

Donna Lucrezia ne ebbe abbastanza.
«Cecilia fate scendere la vostra arpa e cantate per vostro marito.»
Lo avesse detto piano Cecilia avrebbe potuto esimersi con qualche scusa, ma lo aveva declamato a gran voce così che, soprattutto da sir Albert e compagni, venne iniziato un coro d'approvazione che si tramutò in fastidiosa insistenza fin quando non videro due servitori scendere il raro strumento giù dalle scale e posizionarlo al centro dell'immenso salone.

Goffredo vide Cecilia alzarsi malvolentieri e andare verso l'arpa mentre un altro servitore aveva portato lo sgabello basso.
La giovane donna si sedette, pizzicò qualche corda e aggiustò la tensione di alcune. Poi fece un gran respiro e cominciò a suonare.

Lentamente gli schiamazzi cessarono, salvo qualcuno che venne fatto tacere a suon di sberle sulla nuca.
La voce della ragazza si unì alla melodia dello strumento, in una sonata struggente che parlava di un amore contrastato, di guerre, di servi e di potenti.

Goffredo la guardava strizzando gli occhi.
Sir William si alzò e gli si mise dietro.
«Davvero brutta!» Esclamò.
Goffredo grugnì non staccandole gli occhi di dosso.

Quando Kenington la affiancò con il flauto Goffredo scattò in piedi, prontamente spinto giù a sedere da sir William.
«Buono! Non vorrete cominciar ora a fare il geloso, prima di conquistarla, la farete spaventare e ve la ritrovereste in braccio al tipo. Quello sì che è un bel giovane! Simpatico, per niente burbero, suona anche il fla...»

«Ho capito! Basta così!» lo interruppe alzandosi di nuovo e voltandosi ad affrontarlo.
«Volete litigare?»

«Mio buon amico con voi mai mi azzarderei. Ma è evidente che siete nervoso, ansia da prestazione? Posso aiutarvi se vol..» non fece in tempo a finir la frase che un poderoso pugno lo colpì allo zigomo sinistro facendogli perdere l'equilibrio. L'uomo annaspò un po' prima di trovare appoggio nel muro dietro di lui.

Si massaggiava la zona colpita alzando un sopracciglio.
«Parola mia che siete diventato un mammalucco, un tempo mi avreste steso al tappeto con un solo colpo. Questo l'ho appena sentito. Mi auguro che vostra moglie sia un pelo più sensibile se lo zelo è lo stesso.»

Goffredo si fece minaccioso avvicinandosi, al che sir William alzò una mano.
«Va bene! Va bene! La smetto. Ma non sono io il vostro nemico.» e ammiccò al giovane Kenington che finito di suonare stava di nuovo abbracciando Cecilia.

Goffredo si diresse verso i due.
«Mi presentate il vostro amico mia signora?»

Cecilia che non si era accorta del suo arrivo sobbalzò. Oramai aveva le molle. Era sempre più nervosa man mano che si avvicinava la notte.

Rossa come le fiammeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora