10. Sola sulla Titanika

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Quando scesi dalla navetta Red Scarab, mi trovavo in un enorme parcheggio, uno spazio liminale illuminato da luci al neon blu che ronzavano leggermente, tutte ordinate in una griglia su un soffitto altissimo.

Il Grigio mi fece strada attraverso un percorso segnato da frecce di cui, per via dell'illuminazione ambientale, non potevo intuire il colore. Tutte le navette nel parcheggio erano identiche fra loro, immaginai che fossero ognuna della stessa sfumatura di rosso, e che ognuna di esse avesse al suo interno un Baby Red pronto a fare da guida.

«Signora Datsyuk» Disse il grigio «Soffre di problemi deambulatori che le impediscono di camminare per seicento metri?»

«No» risposi.

Avevo gambe molto solide e la mia valigia era in realtà un trolley. Ero pronta a camminare per trenta chilometri, se necessario.

Il grigio mi guardò per un istante dritta in faccia, con quegli occhi lucidi ed assolutamente enormi, resi estranianti dal modo in cui riflettevano il blu dei neon.

«Allora cammineremo fino alla prima scala mobile».

Sapevo che c'erano circa seicento scale mobili dentro la Titanika, ma in quel momento la mia testa sembrava non aver ancora recepito bene dove mi trovavo, perciò mi chiesi perché ci fosse una scala mobile alla fine di un parcheggio... ma durò solo un attimo: ovviamente l'astronave da crociera doveva essere adattata non solo ad ogni tipo di disabilità, ma anche (e questo era persino più difficile) alle differenti composizioni corporee di innumerevoli razze che provenivano da innumerevoli pianeti. Era difficile salire le scale, se si era fatti come una specie di gelatina, o se si avevano piante-radici bloccate in un vaso, o magari se si aveva un'altezza media di dieci centimetri.

Perciò, ecco, scale mobili.

O meglio, tappeti rossi mobili. Quando lo vidi, mi scappò un sorriso: questa sì che era un'accoglienza da red carpet! Non c'erano vere e proprie scale, ma più che altro un tappeto (tipo tapis-roulant) di velluto rosso, che risaliva con una pendenza piuttosto bassa. Doveva essere un inferno, pulirlo ogni volta.

Mettendoci sopra i piedi, mi accorsi che in realtà c'erano dei gradini, ma che erano minuscoli: nascosti sotto il tappeto, formavano una sorta di zigrinatura percepibile solo se un peso (tipo quello del mio corpo) abbassava il tappeto abbastanza da farlo aderire contro suddetti gradini.

Rimanendo ferma in piedi, guardai in alto. Il soffitto inclinato era grigio, ma decorato con una serie di piccolissimi disegni geometrici proprio al centro, che sembravano quasi animarsi mentre, senza muovere i piedi, risalivo. Era un po' come guardare in un primitivo flipbook: le freccette, i triangoli, i poligoni, si animavano e si trasformavano fondendosi gli uno negli altri, in un piacevole caleidoscopio dai colori spenti.

Ero così distratta da quei decori che per poco non mi persi la trionfale visione del primo ponte della nave.

«Signora Datsyuk, benvenuta sul ponte Gomatron» Disse il grigio, che era proprio dietro di me

«Grazie» risposi «Signor...?»

«Signorino Parcheggi»

«Grazie, signorino Parcheggi».

I grigi non avevano l'istituzione del matrimonio, per cui per loro non avrebbe dovuto esserci differenza fra "signore" e "signorino". Io li avevo sempre chiamati "signore" e a loro era sempre andato bene, perciò mi chiesi cosa spingesse il signorino Parcheggi ad identificarsi con la sua condizione di single.

Ritornando al primo ponte, quello con l'altisonante nome di Gomatron, era un enorme corridoio dipinto di un rosso spento, con decorazioni color oro (dubitavo che fosse vero oro) a forma di piccole anemoni, bastoncini e ghirigori vari che correvano sulla parte bassa delle pareti. Il pavimento, un enorme pezzo unico senza piastrelle, era di quella che sembrava (ma che sicuramente non era) malachite: verde e nero, con le sue ipnotiche e irregolari spirali, liscio e lucente. Alle pareti erano appesi grandi dipinti che illustravano personaggi e scene della nota opera letteraria "Gomatron", inframezzati a intervalli regolari da portelloni di metallo che certamente conducevano ad ogni sorta di intrattenimento e delizia.

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