Capitolo 4 - Takedown

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Ciao belle persone che leggete e commentate,
Qui le cose cominciano a farsi serie, e per preservare il vostro candore è stato censurato. Immaginatevi cos'era prima. Mi preme ricordarvi che tutto quello che succede nella storia, per quanto violento possa sembrarvi, non è un abuso. È tutto concordato fra le parti, è totalmente consensuale. Vi sembra strano che a qualcuno possa piacere essere picchiato? Umiliato? Ok, ci sta, ma resta una SUA scelta. Noi non dobbiamo giudicare i suoi gusti, ma accettare che quello è ciò che vuole. L'importante è che il consenso sia chiaro e chiaramente espresso. Poi ognuno può fare ciò che vuole.
Adesso godetevi il capitolo.
Buona lettura.
Baci.
Noy

S. sfiorò il telefono e fece partire la musica nelle cuffie, Filistata degli Stolen Babies. Si sistemò contro lo schienale della sedia, tirò su una gamba e appoggiò il piede, scalzo, sulla seduta. Aumentò il volume, socchiuse le palpebre, era isolato dalla realtà.

Lo stomaco e l'intestino si contrassero, il membro gli pulsò contro i pantaloni grigi della tuta. Stava per arrivare.

Riaprì gli occhi, posò gli avambracci sulla scrivania e sfiorò l'icona di Instagram. L'app si aprì, fece scorrere il dito sullo schermo, colori in movimento, non leggeva nemmeno, a malapena coglieva frasi e parole qua e là.

Stava per arrivare.

Si era trovato poche volte nella situazione di 'assalito', avrebbe potuto contarle sulle dita di una mano e gli sarebbero avanzate. L'attesa era terribile. Eccitante, ma terribile. Era in balia della volontà dell'altra persona che avrebbe deciso quando iniziare. Chiuse gli occhi e deglutì, lo stomaco diede un'altra stretta. Lo odiava. Odiava dover stare fermo, quando cazzo sarebbe arrivato quel bastardo?

Inspirò e aprì gli occhi, era passato un minuto. Solo un minuto? Il cuore aumentò l'intensità dei battiti, rimbombava nella cassa toracica e gli bloccava il respiro in gola. La tensione lo assaliva a ondate di calore e brividi sulla schiena e le spalle.

Quanto cazzo avrebbe dovuto aspettare ancor-

Un braccio gli circondò il collo, da dietro, una mano si posò sulla spalla e S. venne sollevato dalla sedia all'indietro. Afferrò il braccio che lo stava strozzando con due mani e gli impedì di chiudere la presa, spinse con i piedi sulla seduta, seguendo il movimento dell'assalitore.

S. diede uno scatto con il bacino e girò verso l'interno. Crollarono entrambi a terra, insieme alla sedia. Liberò la testa dalla presa, ruotò ancora il busto e gli finì addosso, bloccandogli la schiena sul pavimento. «Sei fottuto.» Gli afferrò le braccia e gliele incrociò sull'addome, gli balzò a cavalcioni sul ventre. Non gli diede nemmeno il tempo di capire il guaio in cui si era cacciato.

La furia della lotta gli infiammava gli arti, il membro gli tendeva, pulsava contro i pantaloni della tuta e sulla pancia di Edoardo.

Gli strinse un braccio attorno al collo, con l'altro chiuse la presa sulla gola, il petto pressava su quello di Edoardo. Gli serrava i fianchi con le cosce.

Edoardo ansimava e si muoveva, provò a puntare le gambe e a liberare le braccia da sotto il petto di S.

«Patetici tentativi inutili» gli sibilò nell'orecchio. Avrebbe potuto iniziare a colpirlo e farla finita, oppure lasciarlo andare e dargli un'altra possibilità.

Allentò la presa e lasciò che Edoardo liberasse un braccio.

Il pugno gli colpì la testa, una fitta di dolore alla tempia gli trapanò il cervello, S. cadde sul fianco. Venne afferrato per la felpa, sollevato da terra e buttato sul letto, finì a pancia sotto sul materasso. Altri cazzotti gli colpirono le costole, due, tre, quattro. Una mano gli afferrò i capelli sulla nuca e gli spinse la faccia sul copriletto.

Dom S. Non potrai farne a menoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora