Capitolo 9 - Il ristorante

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Non siamo neanche a 10 capitoli e già abbiamo raggiunto la soglia psicologica delle 1000 letture? Ma siete fantastic*.
Continuate a leggere e ricordatevi: i vostri commenti ci aiutano a capire in che direzione debba andare la storia, quindi.... Commentate! O vi mando S.!
Baci a caso.
Noy

La cameriera si fermò al loro tavolo con le mani ingombre dai vassoi. «Ecco qua.» Posò quello con la carne in mezzo al tavolo, le patate al forno dalla parte di S. e gli spinaci, in un piatto, davanti a Gabriele. «Buon appetito.»

Il sub le regalò uno dei suoi sorrisi più affascinanti: aperto, fossette sulle guance e un guizzo di malizia. «Ti ringrazio.»

La ragazza abbassò lo sguardo, tratteneva un sorrisino timido, mosse una mano nell'aria e si allontanò verso un altro tavolo.

S. sbuffò dal naso. «Vedi di non ucciderla prima del dolce, ok?»

La testa di Gabriele scattò verso di lui, stupore misto a incertezza si alternarono sul suo viso. «Ho fatto qualcosa di male?»

«Cerca almeno di non farmi morire di sete e di fame, mh?» S. mosse una mano verso la bottiglia e i vassoi. «E di rispondere a quello che ti ho chiesto.»

«Subito, scusa», Gabriele appoggiò il piede a terra e si allungò verso i vassoi. «Non ho fatto in tempo, è arrivata la-»

«Meno scuse e più impegno.» S. sbuffò, dalla bocca, abbassò le sopracciglia, il capo e il tono della voce. «Questo è quello che ti aspetterebbe, se tu dovessi accettare la mia proposta. Quindi, pensaci bene.»

Il sub incassò la testa nelle spalle, la mano gli tremò nell'afferrare la bottiglia. «Sì», mormorò, teneva la testa china. Gli versò l'acqua nel bicchiere, fece tintinnare i vetri.

«Sei un incapace», S. digrignò i denti. «Sì, cosa? Devo leggerti nel pensiero?»

Gabriele mugugnò un suono indistinguibile, a bocca chiusa, rovesciò alcune gocce d'acqua sulla tovaglia, si ritrasse sulla sedia con la bottiglia in mano.

S. si passò le dita sulla fronte e inspirò un lungo respiro. Sibilò. «Devo commentare la tua inettitudine a compiere anche il gesto più elementare o ci arriva persino quel tuo cervellino minuscolo?»

Il sub scosse la testa e appoggiò la bottiglia sul tavolo. «Scusa.»

«Scusa niente, muoviti, la carne si sta raffreddando e mi fa schifo. Devo farlo io? È questo che vuoi?»

«No, no. Perdonami.» Squittì Gabriele, tremante, e si degnò di prendere il vassoio con la carne, le pinze, e di servirlo.

«Alla buon'ora.» S. prese il bicchiere e lo svuotò. Gabriele armeggiava con le patate e gli spinaci, la parte inferiore del corpo era nascosta di nuovo dalla tovaglia, avrebbe dovuto chiedergli di spostarla. Voleva vedere.

Il sottomesso appoggiò le mani in grembo, non si era riempito né il bicchiere né il piatto. S. prese coltello e forchetta e tagliò un pezzo di carne. Il liquido rosato colò nel piatto e si allargò fino alle patate, il profumo invitante del cibo gli avvolse le narici e gli fece brontolare lo stomaco. Masticò la carne, tenera, succulenta, a occhi chiusi. Era deliziosa. Mosse la forchetta verso i vassoi. «Fai pure», deglutì, «e sposta la tovaglia, non privarmi della tua vista.»

Gabriele prese il tovagliolo, scostò la tovaglia e se lo posò in grembo. Il rigonfiamento era aumentato, il sub apprezzava. Un sorrisetto incurvò le labbra di S.

***

S. lasciò le posate sul piatto e si appoggiò all'indietro contro lo schienale. Gabriele stava ancora finendo le patate, non tremava più e il rigonfiamento era diminuito e non era più distinguibile. Samuel gli sfiorò il braccialetto e il sottomesso si irrigidì.

Il tono di Samuel si addolcì. «Che ne pensi? Ti potrebbe piacere?»

Gabriele ingoiò l'ultimo pezzetto di patata e annuì. «Mi hai... mi hai, non mi vengono nemmeno le parole», posò la forchetta sul piatto e accennò un timido sorriso, «la scarica di eccitazione che mi ha annebbiato il cervello, la paura, l'umiliazione di essere in pubblico», strinse le gambe, «è stato straordinario. Non vedo l'ora di continuare.»

«Bene, mi fa piacere», S. sfiorò la tovaglia con le dita, «non sarò sempre così duro. E soprattutto», inspirò e si voltò a cercare gli occhi scuri del compagno, «vorrei che avessimo una relazione al di là dei ruoli.»

«Come Gabriele e Samuel, vuoi dire?»

«Sì.»

Lo aveva detto e Gabriele gli avrebbe risposto di no. Era ovvio. Perché avrebbe dovuto scegliere di sopportarlo pure nella vita privata? La nausea gli strinse lo stomaco e gli risalì lungo la gola.

Gabriele posò una mano sopra al dorso della sua, gli diede una stretta, un sorriso dolce gli illuminava il volto. «Nulla mi farebbe più contento. Voglio conoscerti, conoscere il vero te, non la versione patinata, perfetta e intoccabile di Dom S.», incurvò un angolo delle labbra, da dolce il sorriso si fece allusivo, «non che mi dispiaccia.»

Lo stomaco di Samuel fluttuò fuori dal suo corpo nell'iperspazio, la gola si chiuse. Girò la mano e gliela strinse, Gabriele si sarebbe stancato nel giro di poche settimane delle sue menate, ma almeno si sarebbe goduto quel primo periodo.

«Dimmi la verità», S. gli tenne la mano stretta, la fece scivolare sulla tovaglia, verso di sé, e abbassò la voce fino a un sussurro, «hai qualcosa infilato su per il culo?»

Gabriele sgranò le palpebre e distolse lo sguardo. «Come hai fatto a...?»

«Ah!» esclamò S., mollandogli la mano, «lo sapevo!» Un ghigno di pura malignità gli oscurò il viso. «Ora sei davvero nei guai.»

Il colorito di Gabriele aveva virato verso il porpora, aveva la voce strozzata: «Come hai fatto a capirlo?»

«Tesoro mio, non ti avevo nemmeno toccato e già ce l'avevi duro. Ok che sono bravo, ma non così bravo,» S. sogghignò e si sfregò le mani, «adesso sei in punizione, però. Uno, non me lo hai detto e due, non avevi il permesso di farlo.» Sollevò l'indice, «ah Gabri, non voglio sentire proteste. Non mi interessa se quando lo hai fatto non stavamo giocando, sei venuto a pranzo con me già preparato, quindi è come se avessimo iniziato la sessione nel tuo bagno.»

Gabriele abbassò lo sguardo sulle proprie mani. «Qual è la punizione?»

«La puoi immaginare benissimo.» S. posò i gomiti sul tavolo e nascose la bocca dietro le mani chiuse a pugno una sopra l'altra, «non hai il permesso di avere un orgasmo fino a nuovo ordine. Non ti puoi toccare, se non per lavarti.»

Il sottomesso serrò le palpebre, un singhiozzo silenzioso gli contrasse le spalle e il petto.

«E voglio che ti togli quel coso dal culo, ora, immediatamente, e me lo dai.» si alzò in piedi e sbatté il tovagliolo sul tavolo «Trova il modo di farlo senza farti scoprire. Non fare cose disgustose per farci cacciare.» si chinò su di lui e sibilò. «Vado a pagare, ti aspetto fuori.»

Gli ordini impartiti e l'espressione arrendevole di Gabriele, prono a ogni suo capriccio, gli provocarono un brivido di eccitazione che gli strinse le palle e gli fece pulsare il membro, stretto nei jeans scuri. Appena arrivato a casa si sarebbe masturbato fino allo sfinimento.

Dom S. Non potrai farne a menoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora