24 - Moulin rouge

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Il Confessionale era stato addobbato con enormi teloni di velluti e sete scarlatte, veline rosse erano state applicate sui fari e l'aria sembrava infuocata.

S. era seduto sulla sua poltroncina di pelle rossa nell'ingresso, la fronte aggrottata e una smorfia di insofferenza verso la fila di persone accalcate al freddo oltre al vetro. Da tutte le parti era stato scritto e sottolineato che il tema della serata fosse Moulin Rouge e che ci sarebbe stato uno stretto dress-code da osservare per entrare. E, invece, come si era agghindata la maggior parte della gente che spingeva per entrare? Come se andasse in una qualsiasi discoteca del cazzo. «Credi che sia esagerato lanciare il gas lacrimogeno per farli sloggiare?»

Lù, seduta sull'altra poltroncina, finse di aspirare il fumo dal lungo bocchino di argento e soffiò il niente verso l'alto. «Sì, in più l'abbiamo finito.»

«Potremmo passare direttamente alle bombe a mano, allora.» S. si alzò in piedi, facendo forza sul pomello di vetro tagliato a diamante del bastone da passeggio. Era meglio una sala mezza vuota, con persone abbigliate come si doveva, o una sala piena di imbecilli che non sapevano leggere? «Michi.»

Il manager comparve al suo fianco. Era incredibile come riuscisse a rendersi invisibile, pur standogli sempre a pochi passi di distanza.

«Tiriamo fuori i boa, i cilindri e il resto e iniziamo a far entrare qualcuno.»

Michi annuì. «Avevi ragione, come sempre.»

«Già.» S. si diede un colpetto al cilindro di seta sintetica nera e si incamminò verso il vetro. Gli interessava solo l'arrivo di una persona. Una persona che avrebbe sottomesso entro la serata così da vincere la scommessa. Kay non si vedeva ancora da nessuna parte, però.

Pagliacci con cappellini piumati e cilindri di plastica iniziarono a sfilargli davanti e a fluire dalla porta del guardaroba verso le tende blu.

«Pensi che si farà vedere, stasera?» La voce di Lù lo scosse.

S. aggrottò le sopracciglia e si voltò verso di lei. «Chi?» Ritornò alle poltroncine, non potevano mettersi a urlare per farsi sentire.

«Indovina chi. Gabriele, no?»

Lo stomaco si contrasse, per un attimo. «Non lo so e non mi interessa.» Freddo, altero. Algido, anzi.

«Non è per lui che sei in ansia e che attendi come una principessa al ballo?» Lù finse di nuovo di aspirare dal bocchino.

«Direi di no.»

Come aveva fatto Lù, e chiunque altro facesse parte della sua stupida vita, a sapere che si erano mollati, era un mistero. S. tornò a fissare la massa di umani che si stringevano nei loro soprabiti. Ci mancava solo Gabriele, come se non avesse già altri problemi.

«Sarà. Mi piaceva, sei stato quasi sopportabile per un paio di settimane.» La Domme scavallò le gambe e, facendo forza sui braccioli, si issò in piedi. La gonna di broccato color terra d'ombra bruciata sfarfallò nell'aria attorno a lei, era corta davanti e lunga dietro. Lù si aggiustò il corpetto di satin color taupe fermato da stecche di velluto mogano scuro, una mantellina di pizzo riprendeva il marrone della gonna e le scendeva fino a metà schiena. Fece schioccare lo scudiscio e gli premette la linguetta di cuoio sulla giacca rossa all'altezza del torace. «Sei troppo vestito, chi ha voglia di aspettare che tu ti tolga la giacca, il gilet, il papillon, la camicia, i guanti e poi?»

S. scrollò le spalle e spinse il frustino all'indietro verso di lei. «Dal momento che non ho nessuna intenzione di spogliarmi, direi che non è un problema.»

Lù lo allontanò e glielo fece roteare davanti al viso. «Tu», calcò sulla parola, «che non hai intenzione di spogliarti?» Sbuffò dal naso una mezza risatina.

Dom S. Non potrai farne a menoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora