Mancano davvero pochi giorni alla pubblicazione, quindi vi facciamo un regalino, un altro capitolo, sbrigatevi a leggerlo perchè poi sparirà!
Baci.
NoyS. passò una mano tra i capelli sciolti di Kay, lunghi e neri, gli scendevano sulla schiena, incurvata all’insù dalla posizione restrittiva. «Bentornato tra noi», mormorò. Erano setosi, gli scivolavano tra le dita e avrebbe potuto stare ore ad accarezzarli, ipnotizzato dalle forme che prendevano e dai colori con cui la luce giocava tra di essi.
Kay farfugliò qualcosa, impedito dalla ball gag, scosse la testa e i capelli gli caddero dalle dita, dimenò le gambe e le braccia, bloccate dalle polsiere e dalle cavigliere, che cigolarono appena.
«Sì, alla fine ti ho legato e imbavagliato lo stesso.» S. fece scorrere le ginocchia sul lenzuolo di cotone bianco e toccò le giunzioni di metallo tra i quattro arti, in alto, sopra alla schiena di Kay. «Ma che bel maialino allo spiedo che abbiamo…» sogghignò tra sé e sé, non c’era nessuno che avrebbe potuto apprezzare la battuta. Certo non il maialino.
Avrebbe potuto chiamare Kay così.
«Che ne dici se ti chiamo maialino? Porcellino?»
Il sub si agitò di nuovo e farfugliò qualcosa, fili di bava scesero dai lati della pallina rossa.
«Non dovresti parlare, lo sai che poi è peggio», S. sospirò, certi sottomessi non imparavano mai. «Che cosa potrei farti? Che cosa potrei farti…»
Aveva la mente vuota. Non c’era un solo pensiero, una sola idea, immagine, desiderio che la attraversasse. Non su cosa avrebbe potuto fare a Kay, almeno. Lo aveva lì, a disposizione, proprio come aveva desiderato da quando lo aveva visto entrare al Confessionale qualche settimana prima, e non sapeva cosa farne.
A parte accarezzargli i capelli.
Non si era nemmeno svestito, perché era moscio come quando ascoltava i discorsi dei politici, e non era il caso di metterlo in bella vista. A Kay aveva tolto solo la giacca e il papillon e non certo perché non aveva avuto il suo consenso a spogliarlo. No. Perché gli era salita la nausea e non gli era ancora passata. Si massaggiò la pancia e scivolò giù dal letto.
C’erano un sacco di cose che avrebbe potuto fargli, perché non gliene veniva in mente nemmeno mezza? Cazzo.
Kay aveva smesso di muoversi e lo fissava con le sopracciglia corrugate. Era perplesso, forse preoccupato? Difficile da dire con la faccia deformata dalla pallina.
Un filo di nervosismo gli incrinò la voce. «Cosa?» S. gli slacciò la fibbia della gag e gli liberò la bocca. «Su, parla, avanti!»
Il sub tossicchiò e si schiarì la gola. «Che succede?»
S. sbatté la cinghia di cuoio del bavaglio sul letto, a mezzo centimetro dal suo volto e lo fece trasalire. «Non so di che parli.» Convincente quanto un bambino che dice che non vuole niente per Natale. Ma la reazione di Kay era stata deliziosa. Sbatté di nuovo la cinghia sul letto, dall’altro lato del suo viso e lo fece trasalire ancora. «Beh? Abbiamo perso la lingua?»
Kay chiuse gli occhi e si prese qualche istante per respirare. Era il momento di approfittarne, aveva le difese abbassate, era ancora più vulnerabile!
Per l’amor di Dio, doveva fare qualcosa!
Una fitta gli serrò lo stomaco e la nausea gli risalì la gola, che si strinse in un conato a vuoto. S. si voltò, portandosi una mano davanti alla bocca, e gli diede le spalle. La schiena era coperta da brividi urticanti che gli risalirono fin sulla testa.
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Dom S. Non potrai farne a meno
General FictionDom S. è l'immagine del Confessionale, la discoteca queer con club privato di pratiche BDSM più famosa della città. Un venerdì sera come tanti tre avvenimenti gli sconvolgono la vita. Dovrà decidere se affrontare il trauma o rifugiarsi in relazioni...