Capitolo 8 - Primo appuntamento

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Ciao ragazz*,
Siamo oltre le 800 letture. GRAZIE!!!
Continuate a leggere, mi raccomando e se c'è qualcosa che non vi convince, che pensate dovrebbe essere fatto diversamente, fatecelo sapere. Questa è una prima stesura, dopotutto. 😉
Buona lettura.
Baci a caso.
Noy

Samuel raggiunse Gabriele, fermo a pochi passi dall'entrata del ristorante. Il lungo cappotto nero complimentava la figura alta e atletica dell'uomo, così come il ciuffo alto e sfumato sui lati donavano a quel viso dai tratti spigolosi e l'accenno di barba metteva in risalto la bocca, che un artista aveva disegnato solo per inquietare i suoi sogni. Il cuore aumentò i battiti e lo stomaco si arrampicò su per la gola e sparì.
Poteva avere una cotta come un tredicenne?
Samuel infilò le mani delle tasche del cappotto, molto simile a quello di Gabriele, e si fermò davanti a lui. «Buongiorno». 

Gabriele sollevò un angolo della bocca e fece guizzare quel suo sorriso dolce e furbetto, ammaliatore. «Buongiorno. Come ti senti?»

«Come se avessi passato alcune ore tra le braccia di un uomo bellissimo.»
L'aveva detto sul serio? 

Gabriele allargò il sorriso e si avvicinò fino a cancellare la distanza tra loro, passò due dita sul bavero del cappotto, risalendo dal petto fino al colletto, lo sguardo che si altalenava tra gli occhi di Samuel e la sua bocca. «Pensa che ho anch'io passato una serata così» aveva la voce roca, pervasa di oscurità. 

«Ah, sei andato da qualche parte dopo che ci siamo salutati?» Samuel sogghignò e si beò dell'espressione confusa che passò sul viso di Gabriele, per un istante. 

L'amico scosse il capo e gli posò le labbra sulle sue, mormorando un «Taci» leggero. Samuel premette contro la sua bocca e si allontanò, tra i lamenti di protesta di Gabriele, gli accarezzò una guancia con le nocche. Se avesse continuato il bacio, non sarebbero mai entrati nel ristorante.

Gabriele abbassò il viso, con un ampio sospiro. «Ti odio.»

Samuel gli prese le mani e le strinse. «Ti va di giocare? Ora, a pranzo.»

L'amico aggrottò le sopracciglia e si lanciò un'occhiata attorno. «Che vuoi dire? Nel ristorante?»

«Sì», Samuel si avvicinò all'orecchio, immergendosi nel suo profumo inebriante, «protocollo invisibile, onorifici innocui e», gli sfiorò il braccialetto, «ogni volta che lo tocco, significa che voglio che tu faccia qualcosa.»

Gabriele tratteneva il respiro. «Tipo cosa?»

Samuel allontanò il viso. «Farò in modo di fartelo capire, ma niente di sconveniente. Atti di servizio.»

Gabriele spostò lo sguardo alle spalle di S., in silenzio, per alcuni secondi. Si leccò il labbro inferiore e abbassò la testa. «Va bene, come ti devo chiamare?»

Una scarica di elettricità gli percorse la spina dorsale e gli infiammò l'inguine. «Dal momento che vorrei avere una conversazione quanto più naturale possibile, hai il permesso di guardarmi negli occhi», fece una pausa, «e di chiamarmi Samuel, ma non Samu o altre abbreviazioni.»

Il sub annuì, ma non sollevò lo sguardo. Era davvero stato educato bene.

«Hai delle domande?»

«No, signore.»

«Bravo, sei davvero bravo» S. accennò un sorrisino e si incamminò verso l'entrata del ristorante.

***

S. si tolse il cappotto e lo porse al sub, Gabriele lo prese e lo posò sullo schienale della sedia, per poi fare lo stesso con il proprio. Era naturale, nessuna esitazione o smanceria di servilismo.
«Perfetto.» S. spostò la sedia e si accomodò, Gabriele era in piedi e ci sarebbe rimasto finché lui non avesse dato il permesso. Cosa si sarebbe inventato, per giustificare quel comportamento agli occhi del pubblico? Avrebbe disobbedito?

Dom S. Non potrai farne a menoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora