Capitolo 32 - Epilogo

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Epilogo

S. picchiettò le unghie sul bracciolo della poltroncina rossa dell'ingresso, un'altra serata per scambisti, ma non sarebbe stata noiosa. Una coppia sui cinquanta, un uomo e una donna, gli passò davanti, stavano discutendo ad alta voce, qualcosa sul Confessionale che era pieno di gay. Sogghignò, in effetti era pieno di gay.

Due coppie di donne passarono accanto ai due, ridevano e mossero una mano per salutarlo. S. fece un cenno del capo, chissà cosa avrebbero pensato i due, se avessero saputo che due delle quattro ragazze erano trans?

Ma soprattutto, il bastardo sarebbe venuto? Michi gli aveva spergiurato che l'invito gli era stato recapitato. Avrebbe resistito?

Si mordicchiò l'interno di una guancia, Lù era andata a salutare le ragazze e stava tornando indietro.

«Come sta Melissa?»

La Monitor si accomodò con grazia felina, nonostante l'abito di pelle bianco fosse corto a metà coscia e attillato e i tacchi fossero vertiginosi. «Bene, ti saluta.» Asciutta, comunicazioni ridotte al minimo e cordiali al limite della freddezza.

Avrebbe dovuto chiederle scusa. Samuel arricciò il naso, chiedere scusa, lui?

«Ehi, Lù...», si schiarì la gola, «hai presente quella cosa di cui non volevo parlare?»

La domme mantenne lo sguardo fisso sulle persone che scorrevano per entrare oltre le tende blu, tirò le labbra in una linea retta. «Mh.»

Samuel si grattò la testa con l'unghia dell'indice. «Beh, ho risolto...»

Lù accavallò una gamba sull'altra e si ispezionò i guanti neri di pelle lunghi fino al gomito. «Bene.»

Il gelo di quella parola avrebbe potuto risolvere il surriscaldamento globale.

«E, senti, mi dispiace non... è che non volevo parlarne...»

Faceva pena con le scuse e solo una persona molto generosa avrebbe potuto prendere quei balbettii incoerenti per tali.

«Non preoccuparti, Dom, a quanto pare non siamo altro che colleghi», Lù si alzò in piedi e si avviò verso una coppia di ragazzi che la salutavano sbracciandosi, «non mi devi spiegazioni né scuse.» Si fermò e si voltò, l'espressione ferita. «E di sicuro non mi devi le tue confidenze. Scusa se ho insistito tanto.»

Il cuore gli si rimpicciolì di cinque taglie, divenne piccolo, piccolo. Non c'era più freddezza nelle sue parole, ma solo dolore. Samuel posò le mani sui braccioli e fece forza, l'avrebbe raggiunta e cosa? Si bloccò, impietrito. Era certo che lei sarebbe stata contenta di non dover essere gravata dal peso della sua amicizia. Perché era ferita, invece? Come avrebbe potuto immaginare che non fosse ciò che anche lei avrebbe voluto?

Come si muoveva, sbagliava.

Come Samuel, sbagliava, Dom S. non sbagliava mai. Si appoggiò all'indietro contro lo schienale e aggrottò le sopracciglia, avrebbe dovuto concentrarsi e finirla con quelle scemenze. A Lù sarebbe passata, era adulta, le cose sarebbero tornate come al solito.

Michi si chinò su di lui, di fianco alla poltrona e gli sussurrò: «Dom, è arrivato.»

I capezzoli si indurirono all'istante.

«Ottimo. È da solo?»

Il manager annuì e arretrò, tornando al suo posto appena oltre la coda dell'occhio. Era incredibile a scomparire.

Dal corridoio spuntò la figura alta e impettita del tenente Malgherini, in divisa, sul volto aveva un mezzo sorriso arrogante.

I capezzoli avrebbero potuto tagliare il marmo, erano duri come diamanti. Forse spuntavano addirittura dalle maglie strette della canottiera a rete.

Dom S. Non potrai farne a menoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora