14. Happy Birthday T. (Marcus)

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🎧
End of beginning, Djo

And when I'm back in Chicago (Wattpad),
I feel itttttttt
*non potevo non metterla e fare un po' di autoironia 🫶🏻

Ciao ⚡️
So che non aggiorno da un po', ma come ben sapete, il 20 febbraio ho pubblicato il cartaceo di CVN ed è stato un periodo molto full per me. Bello e intenso, ma full.
Vi ringrazio ancora per tutto il sostegno e per avermi aspettata 🥹

Ma ora: eccomi qui con un bel capitolo appena prima di Pasqua 🐣, e con la speranza che non vi siate scordati di M&M 🙏🫣

Vi avviso che questo flashback di Marcus sarà abbastanza lungo e un po' forte 🥹

Buona lettura!
Scatenatevi nei commenti 🫶🏻⚡️

Per chi ancora non mi seguisse, vi lascio la mia pagina ig: hellen_ligios_autrice

Marcus 15 Mildred 14

È una sera di tempesta elettrica.
I fulmini e i lampi squarciano il cielo grigio, danzando come coreografie celesti mentre illuminano la scuola con bagliori sinistri.
Io sono nel cortile, sotto il diluvio, con i tuoni che rimbombano nelle orecchie, i capelli fradici e gli occhi fissi su quel panorama apocalittico. Sembra quasi che la natura abbia deciso di riflettere la mia ansia interiore.

È il 17 novembre, il giorno del mio compleanno, e non solo.
Dopo la partita che si sarebbe disputata da lì a breve, il coach avrebbe annunciato chi sarebbe stato il capitano della squadra di hockey della Jefferson e se ci saremmo candidati come squadra ufficiale al campionato.

Un'occasione che avrebbe potuto segnare il mio trionfo come hockeista.

Mentre cammino verso il palazzetto, sento il macigno della responsabilità che grava sulle mie spalle.
Per anni non sono stato nient'altro che l'ombra di mio padre, l'ex stella dell'hockey costretto a ritirarsi per un infortunio sul campo, un peso da cui non sono mai riuscito a liberarmi.

Ma oggi, avrei dovuto dimostrare a tutti il contrario.
Sono concentrato, determinato a dare il massimo per la mia squadra, per me stesso, e a dimostrare il mio valore.

Negli spogliatoi, nessuno dei miei compagni scherza e ride come al solito.
Al contrario, grava su di noi uno strano silenzio.
Lo spezzo, afferrando la mia mazza, poggiandone l'estremità sul pavimento e aspettando che tutta la squadra mi segua in quel gesto di solidarietà. Una volta che tutte le lame si toccano, si alza un grido che ci rincuora e finalmente entriamo pronti a giocare la partita più importante della nostra vita.

Sul campo, osservo il pubblico che riempie le tribune del palazzetto e poi, il volto teso dei miei compagni di squadra.
Ma io non sono spaventato né agitato.
Al contrario, avverto un'energia bruciare dentro di me come un fulmine pronto a scatenarsi.

Poi il fischio dell'arbitro è il gioco inizia.

La partita è combattuta.
Il coach ci aveva avvisati mentre ci allenava duramente che ad aspettarci, non ci sarebbero stati più incontri amichevoli tra ragazzini, ma qualcosa di più serio e pericoloso.
Siamo adulti adesso, grossi, e spietati.
E me ne accorgo dal modo in cui ci stiamo contendendo il controllo del puck.

Entrambe le squadre lottano con tutte le loro forze per ottenere la vittoria.
Sul finale, noi siamo leggermente in svantaggio. Non riusciamo ad essere coordinati, ci stiamo concentrando sulla violenza, su chi dà spintoni più forti, piuttosto che sulla tecnica e l'astuzia e iniziamo ad essere stanchi.
Di questo passo avremmo perso.

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