- Coltello -

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Alessandro's POV

Non ho fatto apposta. È come se il mio corpo avesse preso il controllo sulla mente, e la mia mano è partita, le ho tirato uno schiaffo sonoro sul suo bellissimo viso. Sì ero arrabbiato, ma mai avrei pensato di poter tirare uno schiaffo all'amore della mia vita. Certo, se lo meritava, ma non avevo veramente l'intenzione di colpirla. Perché se lo meritava? Perché mi sono sentito tradito. Oltre al fatto che è uscita con Andrea, che ormai per me è morto, non lo posso vedere, ma anche per il semplice motivo che ieri le avevo detto di fare una cosa, molto facile anche, quella di non prendere il pullman e rimanere a casa da scuola perché saremmo usciti assieme. E lei? Lei si è permessa di ribellarsi. È andata a scuola e per di più si è anche presa la libertà di uscire con Andrea e Agostino. Per non parlare di quell'abbraccio che si sono dati prima che lei salisse a casa. Io l'ho lasciata fare, ma deve capire che se si oppone a quello che dico, pagherà le conseguenze. Certo, non volevo punirla così, oggi l'ho picchiata ma non ci ho nemmeno pensato prima, non era in programma e non mi sarebbe mai passato per la testa di farlo, anche perché picchiare una donna per me è sempre un dolore, soprattutto dopo quello che accadde con mia madre... Il mio problema è l'ingestibilità della mia rabbia dovuta a questioni frivole. Non avrei mai pensato di toccare (T/N) nemmeno con un fiore, e questo gesto di violenza è più che sufficiente per farle capire di non sganciare il guinzaglio a suo piacimento. Avrei preferito utilizzare altri metodi più diplomatici per farla ragionare, ma oramai ciò che è stato fatto non si può più disfare.

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Dopo aver fatto l'amore e aver dialogato su ciò che ho fatto precedentemente, siamo andati a dormire, e non so per quale motivo, ma sono estremamente esausto da far sì che io appena tocchi il letto sprofondi in un mondo nero, buio e silenzioso. Devo dire che le sue parole mi hanno toccato molto, più per il fatto che hanno riportato alla mia memoria quel giorno. Evito sempre di parlarne, evito sempre di ricordarlo, ma la morte di mia madre mi ha fatto sentire una vera e propria merda. E la cosa che fa più male è che io lo ero sul serio e lo sono ancora. Mio padre e mia madre erano entrambi due pazienti oncologici, tutti e due erano affetti da cancro, mia madre al pancreas, mio padre al cervello. Però avevo due punti di vista diversi riguardo ai miei genitori: mio padre era un grande lavoratore nonostante il suo tumore al cervello, incurabile, come quello di mia mamma. Era sempre presente nei cantieri, ma sempre assente a casa, tornava la sera tardi dopo cena. Nel periodo in cui lavoravo con lui, nelle pause pranzo e nelle cene fuori assieme ai suoi dipendenti, mi parlava della mamma, che per me era sempre stata la donna più forte che avessi mai conosciuto nella mia vita. Ma mio padre smontò la sua figura. Mi diceva che per quanto lei fosse malata di cancro, la sua non era una giustifica a non fare niente. Mia madre non faceva nulla perché era disoccupata, ha studiato tutta la vita e non è arrivata comunque a niente. Era una grandissima amante del sapere, talmente tanto che se quest'ultimo fosse stato una persona probabilmente avrebbe lasciato mio padre per lui. Per questo mio padre la riteneva una fallita, nonostante la sua immensa saggezza e intelligenza.
"Tua madre è, e sarà sempre una fallita, fino alla fine dei suoi giorni. Guarda me: io ho un cancro al cervello, eppure sono sempre qua, a sfaticare e a portare il pane a casa. Lei passa le giornate su quei libri di merda da tutta la vita.
Meno male che tu hai preso da me figlio mio. Non farti mai mettere i piedi in testa dalle donne. Quelle sono capaci di rovinarti la vita."
Forse mi diceva così perché mio padre è stato 'vittima' della conoscenza di mia madre. Talmente intelligente da traviare la sua vita in qualcosa che lui non voleva. Onestamente non so ancora a cosa si potesse riferire dicendomi quelle cose, ma sta di fatto che quando mi parlava di questo io avevo tra i quattordici e i sedici anni. Si capisce bene, quindi, come il mio giovane cervello potesse venire influenzato da questi termini in maniera negativa, perché non capivo direttamente il succo del discorso. Ero un ragazzino, non prendevo parte in niente, e io sono comunque state sempre molto influenzabile. Così ciò che mi diceva ripetutamente, traviò il mio pensiero su mia madre, e cominciai piano piano ad odiarla, fino a che non la odiai totalmente una volta che mio padre morì, tra l'altro pochi mesi prima di lei.

~ 𝑆𝑐𝑎𝑟𝑝𝑒 𝑅𝑜𝑠𝑠𝑒 ~ 𝑆ℎ𝑖𝑣𝑎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora