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Liscio

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Liscio.
Tutto liscio.
Per il resto della notte, Megumi non riuscì a pensare ad altro che a quello.
A quanto quel primo bacio e tutti i seguenti- scambiati di sfuggita sulla metropolitana e in strada durante l'ultimo pezzo a piedi mentre la accompagnava a casa- fossero davvero andati lisci, spontanei, del tutto naturali.
Certo, durante il viaggio di ritorno Fushiguro avrebbe anche potuto renderli più lunghi, ma per quanto il vagone fosse per lo più vuoto, al ragazzo bastava anche solo uno sguardo da qualche pendolare per indurlo a ricercare un certo distacco.
Non che non avesse voglia di baciarla ancora- al contrario- ma la sua ritrosia sorgeva spontanea e perfettamente proporzionale al numero di occhi nelle vicinanze.
Si era tuttavia sentito in colpa all'idea che Naori si fosse sentita rifiutata- e così, una volta arrivati di fronte al cancello di casa di lei, Megumi si era premurato di baciarla un po' più a lungo, approfittando del buio e della strada completamente vuota.
E fu proprio quest'ultimo bacio a restargli maggiormente appiccicato addosso, incastrato dietro le palpebre e in bocca, attorcigliato alla lingua su cui si era aggrovigliato e sciolto in quella danza che aveva mandato subito in corto circuito i suoi sensi, colorandoli di tutta una serie di pulsioni che ancora il giovane stregone sentiva di non aver smaltito.
Alzando una mano nel vuoto sospeso sopra il suo letto, prese un profondo respiro dal naso e la scrutò per qualche istante muoversi e tagliare la penombra, seguendo nuovamente i suoi ordini.
Che cosa le fosse preso da stringerle tanto forte il fianco, mentre si stavano divorando in quel modo le rispettive bocche, Megumi non riusciva davvero a spiegarselo.
«Megumi?».
La voce del professor Gojo lo riscosse dai suoi pensieri con uno strattone.
Non era più notte e lui si era alzato dal letto già da una buona ora, per quanto confuso potesse ancora sembrargli l'essersi recato a lezione con gli altri due compagni in totale inerzia ed autonomia.
Satoru ne ridacchiò lieve, incrociandosi le braccia sul busto con fare piuttosto compiaciuto.
«Ma bene bene- qualcosa ti distrae?»
«No, la stavo ascoltando», brontolò il ragazzo, mollando la presa sulla penna. «Stava parlando dell'utilizzo di un quasi dominio per contrastare l'espansione di un dominio più articolato e preciso del nostro».
Gojo, seppur non bevendosela, annuì. «È importante, ragazzi. Prima saprete farne uso anche voi e prima potrete dirvi veramente pronti per affrontare delle maledizioni di livello speciale- come faccia ricucita».
Megumi chinò il capo. Gli studenti di Kyoto ricordava avessero utilizzato la tecnica del quasi dominio della Scuola Shinkage già durante l'Incontro di Scambio di poche settimane prima. E persino elementi come quella ragazzetta dai capelli singolari cui nessuno avrebbe dato un centesimo, a detta di Maki, si trovava ad un livello degno di tale pratica.
«Bene! Introduzione finita! Ora- prima di andare da Ijichi- prego Megumi», sorrise l'insegnante, scoprendo loro l'intera dentatura bianca abbacinante. «Deliziaci!»
«Uh?».
Al suo fianco, anche Itadori stava sorridendo in maniera del tutto speculare al professore. «Avanti, racconta!».
E riecco il ricordo della mano. Delle bocche. Della lingua che si fa morbida e famelica. E Megumi, trapassato da quelle istantanee, si rialzò dalla sedia per non rischiare di restarci inchiodato.
«Non c'è niente da raccontare», sussurrò, dissimulando alla meglio un imbarazzo ormai già visibile sulle sue gote rosate.
«Oooh- avaaantiii!»
«Ma la piantate di fare gli idioti?!», sprezzò, inchiodando l'uno alla scrivania e l'altro al banco.
Nobara sbuffò, spalmandosi oziosa sul suo. «Che palle- devo già accettare che ti sei fidanzato prima di me, quanto meno potresti rendere questo incubo più divertente!», si lamentò. «Sei noioso, Fushiguro-»
«Sì- lo è sempre stato», annuì Gojo. «Sul serio! Pensate che una volta, quando andava ancora in quarta elementare, mi sono presentato da loro con pizza e patatine per guardare insieme le finali delle Nazionali di Sumo», raccontò, ignorando l'occhiataccia bieca del ragazzo. «Ma lui nossignore!, doveva finire di studiare le tabelline», lo scimmiottò, agitando le mani in aria.
«E cosa ci sarebbe di sbagliato nell'essere degli studenti responsabili?!».
Lo sguardo di Gojo si affinò di noia sul suo viso. «Avevi otto anni»
«Beh, allora?», sbuffò contrariato Fushiguro, avanzando verso la porta.
«Almeno dicci se vi siete baciati!».
Messo spalle al muro dalla domanda di Itadori, Megumi si inchiodò davanti all'uscita e si vietò categoricamente di voltarsi indietro, temendo di portarsi in faccia ciascuno di quei singoli baci che avevano costellato l'intero epilogo dell'appuntamento.
E il suo silenzio- lo fregò.
Ululando e sbraitando di incredulità una e di felicità- quasi euforica e per niente contenuta- l'altro, Yuji e Nobara si lanciarono in un terzo grado serrato, accartocciando del tutto la pazienza già inesistente del compagno.
«Sì- ci siamo baciati! Contenti?!», sbroccò, ignorando lo sguardo acceso del professore. «Ma solo perché-»
«Perché?», lo incalzò questi.
«Ci siamo allontanati dalla fiera. Siamo incappati in una maledizione che ci ha visti e seguiti. Allora ho evocato il cane perché se ne occupasse mentre la portavo via, ma- deve aver comunque percepito lo scontro, così per evitare che si accorgesse di altro, io... io l'ho-»
«Aaah! L'hai baciata per distrarla», concluse Kugisaki.
«Sì- è andata così».
Nel silenzio, gli sguardi di quei tre si inchiodarono su Megumi con fare piuttosto sorpreso.
«Wow», esordì infine Gojo. «Piuttosto pittoresco»
«Sì- adesso possiamo andare?».
Di fronte alla sua sintomatica reticenza, gli altri tre non poterono che alzare bandiera bianca e archiviare il discorso per prepararsi alla missione.
Non fu particolarmente difficile, per quanto la maledizione fosse un primo livello. Yuji, Nobara e Megumi la affrontarono al meglio delle loro ormai sempre più spiccate abilità, provando ad integrare anche la spiegazione del professor Gojo sull'espansione di un quasi dominio con cui avrebbero potuto potenziare ulteriormente le loro tecniche maledette.
Purtroppo, come primo approccio non fu degno di particolare nota.
«Macché- non sono riuscita a levarmelo di dosso un solo istante per provarci»
«Già... nemmeno io», sospirò Itadori. «E tu, Fushiguro? Ottenuto qualcosa?»
«No», rispose asciutto. Per quanto ci avesse provato a concentrare l'energia malefica ed espanderla fino ad un raggio di almeno un metro dal suo corpo, gli era riuscito solo di garantirne l'afflusso in ogni membra. Da lì, tuttavia, sospingerla all'esterno per generare un quasi dominio gli era risultato estremamente sfiancante.
I requisiti per espanderlo con successo richiedevano una concentrazione focalizzata ed assoluta, oltre che una precisa visualizzazione di sé e dello spazio extra corporeo da riempire.
E Fushiguro- inutile dirlo- non era affatto nelle condizioni per soddisfare l'uno o l'altro.
«Ci riproverete», sorrise Gojo, tutt'altro che sorpreso o deluso dal fallimento dei tre studenti. «Non è per niente facile- consideratelo come il gradino immediatamente sottostante la piena comprensione dell'energia malefica. Molti stregoni professionisti non si sono mai spinti o schiodati da quel punto»
«So che il signor Nanami non ne è in grado».
Gojo annuì. «Vero- ma lui fa eccezione. Le capacità di Nanami sono già di per sé ottimali e precise nell'uso della sua tecnica unita alla forza fisica, il suo sette a tre si può dire sia un colpo garantito da espansione del dominio», spiegò. «Inoltre, ha una resistenza incredibile ai colpi garantiti dei domini altrui».
Itadori ricordava ancora molto bene la loro battaglia alla scuola superiore di Junpei. In quell'occasione Nanami era riuscito a contrastare i colpi garantiti nel dominio di quell'essere ripugnante col volto rattoppato, pur non essendosi difeso con l'uso di un quasi dominio.
Fushiguro, però, sentiva che in una qualsiasi altra occasione gli sarebbe riuscito di portare a termine l'espansione del suo. Quel giorno non gli era riuscito di concentrarsi nemmeno sugli attacchi più elementari.
«Che facce da funerale», sbuffò Gojo, scrutando i volti adombrati dei suoi giovani allievi. «Guardate che nemmeno io sono riuscito ad accedere a Vuoto Incommensurabile nel giro di un giorno- datevi del tempo!, siete comunque ad un ottimo livello-»
«Sì- d'accordo, ma potremmo fare molto meglio di così», sostenne Megumi e il professore piegò le labbra con fare sospetto. «Almeno- parlo per me»
«Già, mi ci metto anche io»
«E pure io», si unì Itadori, scivolando gli occhi al finestrino.

L'umore grigio di Megumi non parve rasserenarsi neanche verso sera, quando si sdraiò a letto per chiacchierare un po' al telefono con Naori.
L'idea che avesse avuto un pensiero per lui a fine giornata lavorativa lo rese felice, ma non abbastanza per distoglierlo dalla fastidiosa- e in lui ricorrente- sensazione di non essersi rivelato all'altezza delle aspettative altrui.
«Si sente tanto?», sogghignò, quando la ragazza gli domandò della sua aria cupa. «No- tutto bene, davvero. Solo- una giornata un po' storta».
A saperlo, ci avrebbe pensato volentieri lei a raddrizzarla un po'.
E nel sentirselo dire, Megumi arrossì, scivolando istintivamente lo sguardo sulla sua mano.
Con un sospiro poi, se la posò in petto e le domandò come fosse andata la sua giornata.
Fu felice di sapere che per lei era stata piuttosto tranquilla, senza alcunché di rilevante per cui lamentarsi, ma non passò molto prima che la bella Naori si decidesse ad avanzare un nuovo tentativo di rendere quella chiamata più colorata.
E così gli notificò il suo sentirsi piuttosto sola- in casa.
«Cioè?», si accigliò Megumi, non cogliendone l'implicito invito.
Mordendo una risata, Naori ripeté che starsene tutte sole in una casa molto grande non era piacevole.
Ma in due- forse...
«Oh», si illuminò finalmente.
Quella volta, più che la mano, fu un altro punto del suo corpo ad agire in completa autonomia. Reagendo prontamente, Fushiguro si tirò a sedere sul letto e si passò una mano sul volto infuocato.
«Sì- sono... sono ancora qui», si affrettò a rispondere. Le sopracciglia aggrottate al limite, tanto da fargli male, si incurvarono ancora di più in un maldestro tentativo di sfogare la tensione fisiologica che- allo stesso modo- non aveva mai percepito con tanta arroganza.
D'istinto avrebbe voluto chiudere la chiamata e uscire a prendersi un po' d'aria, ché ne aveva un enorme bisogno e la necessitava in abbondanza, fresca, sul volto. Ma Naori, dall'alto dei suoi modici otto anni in più, era ormai del tutto intenzionata ad ottenere ciò che voleva.
E lei, da quel poco che aveva già potuto capire Megumi, desiderava la sua compagnia.
In casa.
E in quel momento.
Io e lei?, da soli in casa?!
Le parole di Maki gli schioccarono nella mente, tra basi e terze basi, prassi d'uso comune, regole non scritte e abilità bocca-mano. Ma quella sarebbe stata la loro seconda uscita e Fushiguro a stento poteva dire di essersi già ripreso dai baci della prima- con enfasi maggiore sull'ultimo, in particolare.
Gli bastava chiudere gli occhi per sentire ancora il freddo rigido delle sbarre del cancello di casa sua impresse contro la schiena, mentre Naori gli stava addosso in quel modo, afferrata al suo collo e con buona parte della bocca nella sua.
Se poi pensava a come si erano comportate le sue mani, mentre la stringevano ai fianchi quasi fossero roba sua...
«Naori-», si schiarì la voce, serrando le dita a pugno sul materasso. Aprì di nuovo le labbra, deciso a declinare l'invito e rimandarlo ad un secondo momento.
Ma la sua voce non sembrò collaborare.
Tolte le ansie e le paure di ciò che sarebbe potuto accadere, Megumi sarebbe già andato lì.
E allora perché diamine si sentiva così paralizzato?!
«No- non sono impegnato, è che-». Di nuovo, la voce gli venne meno, soppiantata dal tamburo impazzito del suo cuore che gli rimbalzava furioso tra petto e orecchie. Deglutì, chiamando a raccolta le parole del professor Gojo.
Se lo avesse desiderato, sarebbe andato tutto liscio.
E questo sarebbe equivalso per ogni singola prima volta.
Anche quella?, si domandò, affatto convinto.
Ma se non avesse provato quanto meno a muoversi in quella direzione, non lo avrebbe mai potuto sapere.
E anche questo lo ritenne vero.
D'accordo, ma lo vorresti o no?!
«Sì- va bene, intendo- dammi una mezz'ora e arrivo».
Salutata poi la ragazza, coi piedi del tutto sporti nel vuoto in cui si era lanciato da solo, Megumi si lasciò cadere di schiena sul materasso e conficcò gli occhi nel bianco del soffitto.
Veloci, i pensieri cominciarono a rincorrersi alla rinfusa nella sua mente, delineando scene che lui nemmeno aveva mai vissuto prima e che ora già bastavano a porgergli il fatidico quesito se sarebbe stato in grado di riprodurle e viverle insieme a lei.
Non se ne disse affatto certo, ma ormai le aveva detto che in capo ad una trentina di minuti l'avrebbe raggiunta- quindi, mancandone solamente venticinque, il ragazzo decise fosse il caso di alzarsi e darsi una mossa.
«Ijichi, la disturbo?».
Sperò di no, ma l'assistente stregone non era proprio il tipo da farsi trovare con le mani in mano o già a casa a gozzovigliare, subito dopo l'orario di cena.
E difatti si trovava in macchina, a qualche miglio dall'istituto.
«Deve tornare qui? Va bene, perfetto- sì, avrei bisogno di un passaggio. Il posto non è troppo lontano, ma con i mezzi temo che ci metterei di più vista l'ora».
Nessun problema, ma doveva farsi trovare pronto in capo ad una decina di minuti.
«Per il ritorno mi arrangio- la ringrazio».
Chiusa anche quella chiamata, prese l'ennesimo profondo respiro della serata e si affrettò quindi a pescare i suoi migliori vestiti dall'armadio.
Niente camicia per quella sera- optò invece per un maglione chiaro e un paio di jeans scuri.
Rassettati velocemente i capelli, s'infilò quindi gli stivaletti marroncini... ed era pronto.
Pronto, sì.
Ma a cosa- preferì non chiederselo.

L'Autunno di FushiguroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora