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All'interno della società Jujutsu le famiglie più potenti ed influenti che tenevano da sempre le fila del resto della comunità occulta erano in tutto tre: il Clan Gojo, il Clan Kamo e il Clan Zenin- o Zen'in

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All'interno della società Jujutsu le famiglie più potenti ed influenti che tenevano da sempre le fila del resto della comunità occulta erano in tutto tre: il Clan Gojo, il Clan Kamo e il Clan Zenin- o Zen'in.
Di questi clan, tuttavia, il più numeroso era indubbiamente l'ultimo.
Di impronta patriarcale e di stampo maschilista, gli Zenin erano una famiglia in cui diritti e privilegi non erano garantiti alla nascita, risolvendosi più delle possibilità concesse dal capostipite in virtù delle abilità maledette ereditate e manifestate in tenera età.
In aggiunta a questo aspetto di per sé già castrante, nascere donna all'interno di quel sistema tossico e dai principi obsoleti risultava già sufficiente per vedersi precludere ogni forma di diritto o di tutela alla propria dignità come individuo sin sulla linea di partenza.
Era stato questo il clan spregiudicato cui Megumi Fushiguro era stato venduto dal padre Toji Zenin, rinominato poi Fushiguro in adozione del cognome della consorte.
Per intervento di Satoru Gojo, subentrato come tutore legale del ragazzino a seguito della morte del padre, tuttavia, tale negoziato non era mai stato condotto ad adempimento e il giovane Fushiguro aveva così potuto crescere ben lontano dalle insidie della sua famiglia d'origine, affinando sotto gli insegnamenti dello stregone dei Sei Occhi un potere che, anche grazie alla Tecnica delle Dieci Ombre, lo aveva già reso il degno successore del capofamiglia, Naobito Zenin.
Una storia di certo amara, la sua, ma non più costellata di traumi e difficoltà rispetto a quella che avevano invece dovuto sostenere le sue due lontane cugine Maki e Mai Zenin.
«Itadori- il sale!», ripeté Kugisaki, indispettita dalla lentezza del compagno.
Yuji era parecchio distratto, in effetti.
Seduto al tavolo di fronte alla bella Mai, era dalla prima portata che stava faticando enormemente a soffermare il suo sguardo ovunque fuorché davanti a sé, temendo di risultare sfacciato ed inopportuno.
L'intero campo visivo frontale, infatti, sembrava riempito solo delle forme a dir poco generose e prorompenti che la ragazza non si era neanche premurata troppo di nascondere o velare.
E puntualmente, a ragion di ciò, gli occhi di Yuji finivano con l'inciampare e scivolare su quelle curve vertiginose.
Sbuffando seccato, Megumi afferrò il sale dalla tavola imbandita e lo allungò a Kugisaki, pestando poi un piede a Yuji perché si riavesse dall'incanto.
«La smetti di comportarti come un imbecille?!», sibilò mezzo fra i denti.
«Cosa? Eh?! Ah!», sogghignò mortificato il recipiente di Sukuna, grattandosi il capo con evidente imbarazzo. «Hai ragione, scusami- però è anche un po' colpa sua», sussurrò, perché la sua voce non giungesse all'altro lato del tavolo. «Che bisogno c'era di- vestirsi così per un pranzo? Anzi, di svestirsi così-».
Pur con qualche riserva mentale, Megumi dovette dargli in parte ragione: Mai si era decisamente impegnata per fare sfoggio di sé e delle sue curve giunoniche- e in effetti quel bustino aderente e scollato era quanto di meno idoneo ad un'uscita del genere, trattandosi di un innocuo pranzo tra coetanei sedicenni.
«Biondina- passalo a me», sospirò la ragazza sporgendo busto, braccio, mano e tutta la mercanzia sul tavolo per allungarsi verso Kugisaki.
Giusto per esporsi un po' di più- o, meglio, per spalmarsi direttamente sulla tovaglia e far schiantare a terra la mandibola di Yuji.
Persino Fushiguro, che aveva prontamente inchiodato lo sguardo in tutt'altra direzione, era arrossito violentemente.
È impossibile non guardarle, che diamine!, considerò tra sé e stritolò il piede di Itadori sotto al tacco del suo scarponcino, così da indurlo a ricomporsi la mascella e darsi un tono.
Se Maki fosse qui, caverebbe gli occhi dalle orbite a tutti e due, pensò poi, raggelando di un genuino terrore.
«Tieni», sprezzò Nobara, passandole il sale. «E- biondina, vallo a dire alla tua amica streghetta».
Sbuffando un sorriso, Mai si ritirò al suo posto con un movimento fluido e studiatamente provocante, scoccando un'occhiata furtiva alle gote rosate di Megumi.
La sua reazione fisiologica bastò a farla gongolare appagata.
E Kugisaki, notandolo, si sentì schizzare il sangue al cervello.
«Come diamine fai ad essere la sua gemella, per me resterà un mistero», sibilò, adducendo subito dopo che non si capacitava nemmeno di saperla imparentata con Fushiguro.
Il giovane stregone, visivamente concorde, sospirò.
«Oh!, è vero!», si illuminò Itadori. «Non ci avevo mai pensato- e a che grado di parentela sareste collegati voi due?»
«Cugini- alla lontana»
«Il sangue che condividiamo non è che una goccia», ridacchiò Mai, ravvivandosi i corti capelli corvini con le dita. «Per farla breve, non ci sarebbe alcun intoppo genetico- se volessimo unire le forze per mandare avanti la discendenza degli Zenin».
Preso in contropiede dalla sua risposta, Megumi si strozzò con la sua stessa saliva e cominciò a tossire.
«Ma dai, ti è andato di traverso qualcosa Fushiguro? Bevi un po' d'acqua»
«Sto bene- Itadori, non serve», gracchiò l'altro, lottando fieramente pur di non farsi intercettare dallo sguardo languido della- lontana- cugina.
«Se certe teste vuote non si fossero intromesse a tempo debito, il titolo di prossimo capofamiglia spetterebbe a te, Megumi», aggiunse Mai, puntellando i gomiti sul tavolo e intrecciando fra loro le belle mani affusolate- sempre per incorniciare il generoso décolleté e offrirlo alla vista dei suoi commensali. «Lo sai- vero?»
«A chi ti riferisci con teste vuote, al prof Gojo?», sibilò stizzito fra i denti. Se non fosse stato per lui, Fushiguro si sarebbe ritrovato costretto ad unirsi a quegli ignobili gretti per via della trattativa avviata da suo padre. E dubitava fortemente che ci sarebbe stato anche un solo aspetto per cui rallegrarsi.
«Anche», rispose lei. «E a quella zuccona di mia sorella- che mi ha costretto a seguire la strada più difficile. Non fosse stato per lei, a quest'ora starei conducendo una vita molto più comoda e tranquilla-»
«E la sua scelta in che modo dovrebbe riguardare me?»
«Ti riguarda eccome, dolcezza. Una moglie sa essere anche un'ottima consigliera! Ed io sarei stata molto più utile come madre dei tuoi figli, piuttosto che come stregone impegnata sul campo, non credi?».
Sbuffando dal naso, Fushiguro le riconobbe quanto meno la sfacciata presunzione nel dirsene convinta. «Può darsi», replicò, guardandola apertamente in viso.
«Che significa può darsi?», si rabbuiò lei.
«Hai appena lasciato intendere che come stregone lasci parecchio a desiderare, no? Forse hai ragione. Non sei lontanamente al livello di Maki, infatti», spiegò in tutta calma, facendole sfoggio di un'espressione quanto più apatica ed indifferente possibile alle sue attenzioni. «Però- affermare che daresti molto di più come moglie e madre non rende affatto giustizia all'ambiente in cui sei nata e cresciuta e da cui dovresti invece desiderare di affrancarti. Per questo ho detto può darsi- in un modo o nell'altro, in sostanza, non ti avrei certamente chiesto in moglie, visto il tuo modo di ragionare».
Sul tavolo, intanto, era calato un silenzio denso di sconcerto per via di quello scambio tra Megumi e Mai. Persino Noritoshi Kamo scrutava il giovane Fushiguro con un'espressione accesa di sincero stupore.
Le aveva appena dato un due di picche di quelli che difficilmente sarebbe stato possibile dimenticare.
E subito dopo, sotto lo sghignazzare convulso di Kugisaki, si era alzato in tutta tranquillità per allontanarsi verso il fondo del patio e telefonare al professor Gojo, così da avvertirlo sui nuovi risvolti della loro missione.
Rimasta al tavolo, Mai non sembrò in alcun modo toccata dalle risatine beffarde di Nobara né tanto meno dagli sguardi imbarazzati del resto dei suoi compagni.
Al contrario, a giudicare dal sorriso che le era appena emerso in volto, era rimasta piacevolmente colpita dalla risposta di Fushiguro.
Si voltò a cercarlo con lo sguardo, trovandolo in piedi all'angolo delle piccole aiuole che circondavano il cortile interno del ristorante. Parlava al telefono, voltato di spalle nella sua camicia tanto bianca e inamidata da abbacinare la vista.
Forse- considerò- quella zucca vuota con gli occhi bendati aveva preso la decisione più saggia della sua intera vita, strappando Fushiguro al loro clan di appartenenza ed agli artigli venefici dei suoi membri.
Il suo animo, quanto meno, si era così potuto preservare incorrotto e pulito, portandolo ad essere il giovane che era poi diventato.

L'Autunno di FushiguroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora