4.

233 10 0
                                    

Si rividero ancora, proprio come si era augurata lei

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Si rividero ancora, proprio come si era augurata lei.
La prima volta, solo due giorni dopo, Megumi varcò la soglia del locale attorno all'orario di apertura. Era molto presto e Gojo, Itadori e Nobara erano andati in missione senza di lui.
Ijichi sarebbe passato a prenderlo per scortarlo invece alla sua missione in solitaria, pertanto si era deciso a fare una bella colazione e spostare l'incontro proprio al Komeda Café.
A Takadanobaba.
«Nero, come al solito», gli aveva detto, portandogli la tazza colma di caffè fumante al tavolo, insieme ad un dolcetto a forma di coniglio paffuto.
Colto alla sprovvista, Megumi la squadrò dal basso. «Uhm-»
«Tranquillo, questo lo offre la casa. Per la brioche, c'è da aspettare ancora un paio di minuti, ti chiedo scusa-»
«Oh, no- nessun problema», rispose subito lui. Nel caso, l'avrebbe portata via imbustata per mangiarla durante il tragitto in macchina.
«È carino vero?».
Megumi annuì. «Come stanno la tua amica e il bambino?»
«Bambina, avevamo ragione!», rispose euforica lei, sfilandosi il telefono dalla divisa per mostrargli qualche foto. «Non è adorabile?»
«A guance direi che batte il coniglio»
«Vero? Sapessi che versetti che fa!».
Fushiguro ne sorrise e rialzò gli occhi dallo schermo del telefono, più contagiato dalla gioia che emanava il suo intero viso, che dalle fotografie della bambina.
«Questa vorrei tanto stamparla, guarda... eccola!, sì, lascia perdere la mia faccia, avevo appena finito di piagnucolare».
Era un'istantanea bellissima: Naori reggeva tra le braccia quella piccola creaturina appena nata, sorridendo tanto spontaneamente da suscitare il sorriso anche di Megumi.
«È molto bella», concordò, scorrendo gli occhi sul volto felice di Naori sia in carne ed ossa che in versione virtuale sul telefono.
«Che nome le hanno scelto?»
«Tanjiro», rispose lei, trattenendo un sorrisetto beffardo. «Sto scherzando, perdonami- era troppo allettante-».
Piccato, Fushiguro le scoccò un'occhiata bieca, ma non riuscì a trattenere un ghigno. In effetti, dovette ammettere che come battuta sul suo nome rientrava fra le più originali che aveva ricevuto in sedici anni di vita.
«Le hanno messo il nome della madre di lui, che è venuta a mancare pochi anni fa», disse poi. «Fumiyo».
Bel gesto, pensò Megumi, ma Naori suonava infinite volte più femminile- e seducente.
Sgranando gli occhi, afferrò la tazza e se l'avvicinò alle labbra, sperando di ustionarsi la lingua e sciogliere con essa anche certi pensieri intrusivi.
«Ti piace molto, eh?».
Per poco Fushiguro non si strozzò.
«Il caffè nero, intendo», precisò la ragazza. «Ordini sempre quello. Anche oggi senza i tuoi due amici?».
Megumi la guardò di sottecchi, scuotendo poi il capo. «Oggi sono in- a lezione da solo»
«Studi anche tu qui in zona?».
Merda.
«No, frequento un istituto in periferia- e infatti sono qui per delle ricerche, prima... della lezione».
Mi sto scavando la fossa da solo.
«Capisco», sorrise lei, deliziata dalla facilità con cui le gote di quel ragazzo si tingevano di scarlatto. «Il caffè nero è proprio linfa vitale per gli studenti universitari, non trovi?»
«G-già».
Sempre più profonda, ancora una bugia e si sarebbe ritrovato seppellito laggiù, sotto a tutte le menzogne che avrebbe dovuto propinarle a catena da quel momento in poi. Cosa diavolo gli stava dicendo il cervello?
Farle credere di essere un ventenne, quando non aveva neanche compiuto sedici anni!
Però, pensò subito dopo, guardandola intimidito dal basso, lei pensa davvero che io lo sia.
Forse dovrei dirle la verità.
Il telefono, tuttavia, prese a vibrargli in tasca, segnalando una chiamata in arrivo: doveva trattarsi di Ijichi.
«Di già», sospirò, sfilando l'iPhone dal taschino della divisa. «Ijichi? Sì, va bene. D'accordo, allora finisco il caffè e la raggiungo».
Affrettandosi, Naori si dileguò nelle cucine per recuperargli la sua brioche.
Con orrore notò che erano ancora tutte pallide.
«Ti chiedo scusa, Megumi... l'impasto è ancora crudo-», lo informò, mortificata. Ma non appena si affacciò in salone, lo vide trangugiarsi il coniglietto paffuto e mandarlo giù con dei sorsi di caffè.
Dopodiché vuotò la tazza e la raggiunse in cassa.
«Il coniglietto andava benissimo», la rassicurò con voce seria e ferma. «Ma vorrei pagarlo-»
«Quello era un mio regalo», gli sorrise lei.
«Ma-»
«Non preoccuparti, davvero. Mi fa piacere».
Contrariato, Megumi le accordò il gesto, riservandosi mentalmente di presentarsi con qualcosa per lei, per la prossima occasione.
«Allora, buona ricerca!»
«Grazie, ci vediamo», rispose lui, voltandosi verso l'ingresso.
E Naori si sporse oltre il bancone. «Io stacco alle quattro!».
Inchiodandosi di fronte all'ingresso, Fushiguro sentì quelle quattro parole raggiungerlo alle spalle come dardi di fuoco.
Si voltò a guardarla brevemente, dopodiché tirò la maniglia e guadagnò l'esterno.

L'Autunno di FushiguroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora