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Recarsi alla festa di Jugoya si risolse all'istante una scelta a dir poco perfetta

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Recarsi alla festa di Jugoya si risolse all'istante una scelta a dir poco perfetta. Una spintarella alla Satoru Gojo di quelle meglio riuscite.
«L'idea non è stata mia- ma ammetto che tra tutte è stata la migliore», confessò Megumi, compiaciuto dell'entusiasmo di Naori mentre si inoltravano fra le prime doppie file di bancarelle posizionate lungo la strada principale.
«Se hai fame possiamo già fermarci ad una di queste- ma mentre venivo da te ho letto che ce ne sono molte altre nello spiazzo della festa», le propose. «Non dovrebbe essere molto lontano ancora, si sente la musica fino a qui».
Naori annuì felice, seguendolo lungo la via e fermandosi di tanto in tanto a guardare qualche gioiello o veste tradizionale esposta dai venditori dei vari baracchini.
Ce n'erano davvero un'infinità e rivendevano di tutto- da statuette di legno intagliato, a pietre e artefatti in cristallo, incensi, vestiti, monili, giocattoli, cappelli, sciarpe, borse e cibarie per ogni gusto e sapore.
Sul fondo della strada principale, la festa si immetteva in uno slargo ricavato da un enorme parcheggio urbano, che a sua volta si abbassava dolcemente in un parco altrettanto esteso e ben sfruttato: Fushiguro e Naori decisero di comprarsi delle frittelle dolci e andare ad esplorarne un po' le attrattive, ma senza allontanarsi troppo. Per come erano stati organizzati gli spazi della fiera, era chiaro che l'obiettivo fosse quello di convogliare man mano le persone dalle bancarelle allo spiazzo cementato, a ridosso della depressione naturale di quell'estesa zona verde. Da qualche parte lungo il margine opposto di essa era quindi logico pensare che sarebbero stati sparati i fuochi dello spettacolo pirotecnico.
Finite le loro frittelle, lasciarono la panca in pietra nei pressi della fontana centrale, coi piccoli stagni ed acquitrini ispirati all'arte fengshui, e si spostarono in direzione delle stradine alberate che costeggiavano i due lati del parco.
«Sono ciliegi? Questo parco in primavera deve essere meraviglioso!», considerò Naori, scivolando la mano sul tronco di uno degli alti arbusti. «Molti artisti sostengono che il respiro dei ciliegi in fiore sia un toccasana per l'estro e l'ispirazione»
«Beh, sono sicuramente molto belli da vedere- sfiderei chiunque a non restarne ispirato», commentò Megumi, camminando al suo fianco con le mani in tasca.
«Vero? È quel che penso anche io», sorrise lei, piegando il capo. «A te piace molto la letteratura, giusto? Ti ho visto spesso leggere al Komeda Café».
Megumi annuì. «Da come parli, sembra che te ne intenda anche tu»
«Amo più scrivere che leggere, in realtà», rispose lei, incedendo al suo fianco lungo la strada alberata. «Sono laureata in editoria e tecniche di scrittura mediatica- te l'ho mai detto?».
Megumi serrò le labbra, scuotendo il capo.
Laureata, ripeté tra sé, percependo uno scossone nell'animo.
«È una triennale poco frequentata, ma per chi ama scrivere garantisce comunque un ottimo titolo di partenza», spiegò lei, sollevando poi gli occhi sul volto del povero Megumi, che già sentiva vibrare nell'aria la fatidica domanda. «Tu invece? Quale facoltà frequenti?».
Reagendo tempestivo, Megumi inchiodò lo sguardo sul fondo del viale e si gettò poi un'occhiata tutt'attorno. «Vieni, torniamo indietro», disse, avendo superato ormai di qualche metro l'ultimo quarto del parco. «Comunque- studio storia»
«Caspita!».
Sì, nel senso che era la materia teorica che prediligeva di più, tra quelle che si studiavano al suo Istituto Superiore per giovani stregoni.
«In effetti ce l'hai proprio del professore umanistico».
Megumi sbuffò un lieve sorriso a sentirglielo dire. Se avesse saputo ciò che trattava davvero il suo percorso accademico, dubitava fortemente lo avrebbe ripetuto.
Preferì veicolare altrove l'argomento, domandandole di più della sua vena artistica. Desiderava conoscere quanti più aspetti possibili su di lei e ogni chiacchierata, dalle più recenti a quelle scambiate in precedenza, sembrava finire sempre per non bastargli mai.
Esaurito un argomento cercava di aprirne subito un altro, domandandole dei suoi sogni, delle sue passioni, della sua famiglia e delle sue origini. Scoprì che sua madre era di nazionalità europea. Nata e cresciuta in un paesino della Provenza, si era trasferita in Giappone all'età di diciannove anni per studiare l'arte e la cultura orientale, di cui era sempre stata follemente innamorata ed affascinata.
Suo padre, invece, era un ingegnere idrogeologico.
«Vivi ancora con loro?»
«No- siamo rimasti solo io e Duca qui», rispose lei. «Un anno fa i miei si sono trasferiti in Francia. Mio padre ha ricevuto un'offerta di lavoro laggiù e dato che mia madre sentiva la mancanza della sua famiglia e delle sue radici- hanno deciso di andare a vivere in Europa»
«Pensi di trasferirti anche tu?».
Sul viso di Naori sbocciò un sorriso dimesso a quella domanda tanto carica di apprensione. Ma non disse nulla. Si limitò a precisare che Duca era un enorme cagnone piuttosto pigro e allergico a cambiamenti tanto drastici.
Raggiunto nuovamente il margine superiore del viale alberato, si spostarono verso lo spiazzo, seppur tenendosi fuori dalla ressa: lo spettacolo pirotecnico stava per avere inizio.
«La tua, invece?»
«La mia cosa?»
«La tua famiglia», precisò Naori, sostando al suo fianco sull'erba. «Com'è?»
«Ah- beh, non c'è molto da dire su di loro in realtà», rispose lui, infilandosi le mani in tasca. Per ovvie ragioni non gli era mai piaciuto neanche dilungarsi troppo a parlarne. «Ho una sorella maggiore- non di sangue. E un professore che in un certo senso è sempre stato più una sorta di benefattore per entrambi. Un tutore legale, ecco»
«Quello- del numero di telefono sul volantino e degli altri discorsi?»
«Sempre lui».
Naori annuì, scivolando gli occhi sul suo profilo. «Ma- cos'è successo?»
«Nulla, a dire il vero. Mia madre non l'ho mai conosciuta», rispose asciutto. «Mentre mio padre, quando ha incontrato la madre di Tsumiki- ha deciso di andarsene insieme a lei»
«Cioè- vi hanno abbandonati?».
Megumi annuì. «Ma il prof Gojo si è fatto carico di entrambi»
«Caspita. Dev'essere un uomo straordinario».
Per altre ovvie ragioni, Fushiguro serrò le labbra e represse un sorrisetto beffardo. «È- una persona particolare»
«Però gli vuoi bene»
«Uh?»
«Lo nomini spesso. Si sente da come ne parli che gli vuoi bene».
Avrebbe voluto dirgli che il novanta percento del tempo lo trovava irritante e invadente, ma i fuochi d'artificio non sembrarono d'accordo col suo appunto e cominciarono pertanto ad incendiare l'immenso cielo stellato di colori e giochi pirotecnici.
Il volto di Naori, illuminato di azzurro, di giallo e poi di rosso e ancora di azzurro, non perse il sorriso neanche per un attimo.
Fushiguro la trovò ancora più bella del solito.
«Che meraviglia», commentò la ragazza, tenendo il nasino puntato all'insù e gli occhi rivolti allo spettacolo di luci.
No. Non lo avrebbe detto anche lui- non sarebbe scivolato in un simile cliché. Di recente aveva visto un film con Itadori in cui, in una scena molto simile, il protagonista rispondeva di trovarli meravigliosi, salvo tenere lo sguardo fermo sul profilo della sua innamorata.
E questa gli aveva sorriso subito dopo, cogliendo al volo che si stesse riferendo a lei.
Lo aveva trovato melenso e banale da risultargli persino fastidioso- e poi a lui non serviva ricorrere a certi espedienti per vederla sorridere.
Naori lo faceva spesso, senza bisogno di forzarla.
«Ti piacciono?», gli domandò all'improvviso, trovando il suo sguardo fisso sul suo volto.
«Molto», rispose allora lui, voltando gli occhi al cielo in un guizzo immediato.
E forse, la risata di lei, più che dello stucchevole ebbe del beffardo.
Non fece comunque in tempo ad estinguere il rossore sulle guance, che Naori decise di averne abbastanza dei fuochi. Afferrato dalla manica della giacca, Fushiguro si ritrovò così a seguirla nuovamente in direzione del viale alberato sulla destra.
La luna piena del raccolto, che era anche la vera protagonista della festa, a detta della bella scrittrice era un filino troppo messa in ombra da tutti quegli artifici nel cielo.
Superata la fila di ciliegi, i due uscirono così dal parco passando da un corto ponticello di legno che sovrastava un rigagnolo.
E sbucarono sul retro di un'officina malamente illuminata.
Alta nel cielo, la bellissima luna settembrina riprese allora vigore e bellezza, rilucendo nei loro occhi di tutta la sua pienezza naturale.
Naori, fermandosi a ridosso del confine con la proprietà privata, le rivolse un sorriso radioso.
Anche Fushiguro se ne riempì gli occhi, mentre il vociare lontano della folla e i botti sopra le loro teste scivolavano già in sottofondo alle parole del professor Gojo.
Solo se ti senti pronto.
Megumi non aveva idea se fosse arrivato il momento giusto. Sapeva solo che sotto quell'enorme luna, tanto vicina alla terra da poterla sfiorare, non riusciva a pensare ad altro che prendere il viso di Naori tra le mani e baciarla.
E così, quasi che avesse sbirciato tra i suoi pensieri, la vide voltarsi e muovere un passo verso di lui per riempire le distanze.
Megumi deglutì, irrigidendosi da capo a piedi.
«Almeno noi le stiamo dando credito», disse la voce d'acqua fresca di Naori.
Il ragazzo, però, seguitò a non fare un fiato. D'improvviso la sua mente era ridotta ad un groviglio caotico di pensieri e sensazioni tanto assordanti da stordirlo.
Ma aveva avuto sei anni e mezzo all'epoca del suo primo incontro maledetto. E certe percezioni, una volta affinate, sarebbe stato impossibile non coglierle all'istante anche in un momento tanto intenso.
Quel tenue pizzicore alla base della nuca si prese l'interezza della sua attenzione, veicolando il suo sguardo dal volto sempre più vicino di Naori ad un punto preciso alle sue spalle.
Lunghi e vibranti, i brividi gli corsero lungo la colonna vertebrale ed affiorarono in superficie in un velo di pelle d'oca, individuando la presenza di una maledizione nelle immediate vicinanze.
«Ti senti bene?», domandò Naori, voltandosi indietro verso il punto fisso su cui si erano inchiodati gli occhi di Fushiguro.
«Sì, ma dovremmo-».
Non fece in tempo a parlare.
Lungo e strisciante, lo spirito maledetto sgusciò fuori dall'ombra di un container e si avviluppò come il tralcio di una vite attorno all'unico lampione della rimessa.
Mordendo a fondo la calma, Fushiguro prese un profondo respiro: anche l'essere immondo lo stava osservando. Affondando gli artigli delle innumerevoli membra nel ferro del palo, fece contatto coi fili elettrici, causando un temporaneo corto circuito nel lampione e incendiando l'aria di uno stridio assordante.
Ronzando sinistra, allora, la luce tremolò e granulò statica a intermittenza.
Naori si voltò indietro con uno scatto.
«Tranquilla», la afferrò Fushiguro, sospingendola ad indietreggiare con lui verso il ponticello.
«Ma- cos'è stato?»
«Nulla- forse un gatto o un cane randagio», rispose prontamente, incalzandole il passo per tornare al viale.
Approfittando del buio, avrebbe attirato la maledizione fino a lì per poi gettarla in pasto al Cane di Giada.
«Non voltarti- cammina», le disse piuttosto ruvido, scivolando via le mani dalle tasche. «Se era un cane randagio non è il caso di farsi raggiungere».
Naori annuì, avanzando spedita verso il viale alberato.
Fushiguro unì allora le mani in evocazione dello shikigami, facendogli subito dopo cenno di occuparsi della maledizione che, alle loro spalle, si era già mossa con l'intento di raggiungerli.
Digrignando feroce, il Cane di Giada gli balzò addosso in un lampo, scuotendolo dal lungo corpo vermiforme e smembrandolo tra le enormi fauci.
Le grida della maledizione incendiarono l'aria, mescolandosi allo strascicare continuo di arti e zampe nell'erba e ai colpi inferti e subiti dallo shikigami delle Dieci Ombre.
I due ragazzi continuarono a camminare spediti.
Finché i due spiriti maledetti, lanciati in una furiosa battaglia attorno a loro, non finirono per schiantarsi con violenza contro un tronco, agitandone i rami sotto la potenza dell'urto.
Naori sussultò, scattando ancora una volta indietro.
«Ma che-».
Immediato, Fushiguro le fece da schermo col suo corpo e, afferrandole il viso, la attirò a sé...
Chiuso.
Rigido.
Megumi sgranò gli occhi.
Le sue labbra erano impresse su quelle di lei con tanta forza da non ricordare lontanamente un bacio.
Eppure... Naori aveva socchiuso le palpebre, scivolando le dita sul suo petto.
Infuocato dalla quantità di contatto tra i loro corpi, Fushiguro si sentì sciogliere i muscoli uno per uno.
Morbida, la sua bocca si modellò allora alla forma di quella di lei, aprendosi poi lieve per liberare un fremito.
Solo allora riprese a respirare.
Tutto... liscio, pensò.
E scivolandole negli occhi, riprese a baciarla con un sorriso.
Umidi e bagnati, gli schiocchi delle loro labbra spazzarono via ogni altro suono o rumore per miglia e miglia.
L'intero Giappone ammutolì nelle orecchie di Megumi, sorde persino agli uggiolii del suo shikigami.
Riempitosi la pancia del suo spuntino maledetto, neanche l'enorme cane lupo riuscì a sovrastare il dolce suono di quel primo bacio o a distoglierne l'attenzione del suo padrone.
Stizzito, provò anche a spingergli il muso contro la gamba e a guaire sommesso, ma Fushiguro lo scacciò con un gesto delicato della mano, per poi riportarla subito sul viso di Naori. Del tutto rapito, il giovane stregone piegò quindi il capo e continuò a perdersi fra le labbra di lei.
Morbide e fresche, le assaporò ancora per qualche attimo, mordendole piano e respirandone i corti ansimi.
Infine gliele lasciò andare in un ultimo schiocco che si sciolse nell'aria.
«Cominciavo a chiedermi», sussurrò la ragazza, «quanto ancora avresti aspettato, prima di farlo».
E sfiorandogli teneramente il naso con la punta del suo, gli riempì gli occhi di un'esplicita premonizione.
Quel bacio non sarebbe stato che il primo di una lunga serie.

L'Autunno di FushiguroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora