32. (Spoiler alert per i solo-anime!)

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Il tragitto che separava casa di Naori dall'ospedale occupò loro all'incirca un'ora e mezza di cammino

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Il tragitto che separava casa di Naori dall'ospedale occupò loro all'incirca un'ora e mezza di cammino.
Per tutto quel tempo, tuttavia, Yuta e Megumi non si scambiarono una singola parola.
Chiuso nel suo silenzio fatto di morte e sofferenza, il volto del giovane Fushiguro era ormai scolpito nella più agghiacciante delle apatie. I suoi occhi sembravano non trovare più alcun desiderio o interesse a rialzarsi dal suolo.
Persino i passi, lenti e trascinati, faticavano a sorreggere il suo stesso corpo.
A poche ore dal tramonto i due giunsero nei pressi del General Hospital di Shibuya.
«Non serve che entri anche tu», esordì Fushiguro. «Vai pure a cercare Itadori- io vi raggiungerò nel posto che mi hai indicato».
Lo stregone di livello speciale gli rivolse un'occhiata guardinga e confusa, risolvendosi tuttavia incapace di proferire alcunché.
«Devo solo accertarmi che sia in mani sicure», aggiunse Megumi, alzando gli occhi verso la parete laterale dell'edificio ospedaliero.
La luna quel tardo pomeriggio era già alta nel cielo, uno spicchio brillante che tagliava la volta celeste con la sua pallida luce.
Ma era lontana.
Troppo lontana.
E fin troppo pallida.
«Se avrai intenzione di ucciderlo, né io né lui saremo in grado di fermarti», proferì. «E se anche dovessimo crepare nel tentativo, in fin dei conti non sarebbe così sbagliato»
«Megumi-»
«Ti raggiungerò appena avrò sistemato le cose con Tsumiki», ripeté il giovane, serrando i pugni lungo i fianchi. «Tu però- promettimi che libererai il professor Gojo, anche a costo di perdere la vita».
Di nuovo, Yuta non disse nulla e restò a guardare il giovane Fushiguro allontanarsi oltre le porte in vetro dell'ospedale.

Quando il sole tramontò, Yuta Okkotsu aveva già assolto al suo incarico.
Itadori era morto- e con lui anche Sukuna.
Megumi non se ne sarebbe detto sorpreso- al contrario, lo aspettava già seduto nel luogo accordato, osservando rapito le fiamme di un fuocherello danzare instancabili e spandere nello spiazzo tutt'attorno delle lunghe ombre tremolanti.
In lontananza l'urlo squillante dell'allarme di un automobile.
E a pochi passi da lui l'uggiolio sempre più impaziente del suo shikigami.
Riemergendo coi pensieri dal fuoco, Megumi lo guardò di sfuggita, gettandosi poi un'occhiata alle spalle.
«Lascialo in pace», lo ammonì, rilasciando poi un sospiro. «Sono ancora un estraneo per lui».
Sul margine del parco, l'enorme testa di Duca faceva capolino dal muretto che divideva lo spiazzo dalla strada.
Grugniva sommesso il gigantesco alano, fiutando l'aria con gli enormi occhi pigri fissi su Megumi. Dopodiché li scivolò ancora più diffidenti sul cane lupo a pochi passi dal giovane. Il Cane di Giada, da quando Fushiguro lo aveva evocato, non aveva ancora smesso un istante di osservarlo, invitandolo anzi ad avvicinarsi con guaiti e uggiolii continui.
«Piantala», ripeté Fushiguro, afferrandolo bonariamente dalla collottola. «Lo stai spaventando».
Era tornato a prenderlo, subito dopo aver lasciato l'ospedale.
Per Naori non aveva potuto fare alcunché, se non occuparsi del suo corpo avvertendo chi di dovere del suo ritrovamento.
"Per favore", aveva detto loro, "avvisate la sua famiglia, è molto lontana. È probabile- che non sospettino minimamente della sua morte".
Parole del genere erano state pesanti persino per uno come lui da proferire e assimilare nella loro interezza.
A quindici anni, Megumi era pur sempre un ragazzino, prima ancora che uno stregone.
Un ragazzino, sì.
Di carne e sangue, con un cuore che aveva battuto intensamente nei primi morsi dei sentimenti per Naori.
Con gli occhi immersi nel fuoco, si domandò se i suoi genitori fossero stati già messi a conoscenza della morte tanto assurda e prematura della figlia.
Chissà cosa si saranno sentiti raccontare.
Chissà- se la seppelliranno in Francia, per averla in un certo modo più vicina, o qui in Giappone, dove è nata e cresciuta.
Ma non aveva importanza.
Ormai Fushiguro dubitava fortemente che avrebbe avuto modo di visitare il suo tumulo.
E difatti Yuta arrivò in quel preciso momento, emergendo dalle tenebre della strada come una presenza che per quanto familiare aveva comunque del minaccioso.
Insieme a lui Megumi notò anche una seconda figura alta ed imponente. Avanzava lenta dietro Okkotsu, trasportando in spalla il corpo di Itadori.
Un altro.
Un altro corpo senza vita- di una persona cui aveva voluto bene.
Serrando i denti, Fushiguro si rialzò a stento sulle gambe e andò loro incontro, preparandosi ad abbracciare il suo destino.
«Vedo che alla fine hai deciso di prenderlo con te», gli sorrise Yuta, voltandosi indietro verso il muretto, dove Duca se ne stava ancora acquattato.
Fushiguro annuì vago, lottando fieramente contro i tremori delle sue membra quando lo sconosciuto e Itadori gli passarono accanto in direzione del fuoco.
Deglutì, scivolando gli occhi in quelli calmi del senpai.
L'aveva fatto davvero. Aveva ucciso Itadori e con lui anche quell'abominio che albergava nel suo corpo- eppure non c'era una sola traccia di smarrimento o rammarico sul suo volto disteso e rilassato.
«Ho dovuto farlo, Meg-»
«Non ho detto nulla», lo interruppe, sciogliendo i muscoli uno dopo l'altro. «Dimmi solo- se si è battuto fino alla fine»
«Contro ogni mia aspettativa, sì».
Fushiguro si accigliò, non troppo convinto di aver compreso la sua risposta.
Ammorbidendo il volto, Yuta liberò allora un tenue sospiro dal naso. «Quando l'ho trovato aveva già abbandonato ogni speranza. In un certo senso sembrava persino sollevato dall'idea che fossi lì per ucciderlo», gli spiegò. «Ma poi ha detto- che gli dispiaceva, ma non poteva ancora morire».
Il petto di Megumi si gonfiò di costernazione.
Chinò il capo, arrendendosi ad una realtà che di ora in ora si stava facendo tanto terrificante da rendere anche a lui il pensiero della morte una vera e propria liberazione.
Gojo.
Kugisaki.
Naori.
E adesso anche Yuji.
«Dovresti provare con questi», esordì poi il senpai, pescando dalla sua giacca un pacchettino di plastica. «Rika ne va pazza, anche se non ho ancora ben chiaro il perché-».
Megumi lo squadrò accigliato: di che diamine stava parlando?
«Prova a usarli col cane- per avvicinarlo», delucidò Yuta, puntando il pollice alle sue spalle. «Da me poco fa li ha accettati», aggiunse, sorridendo sempre più affabile.
E Fushiguro stralunò.
Gli stava davvero dando dei consigli per avvicinare Duca, dopo essersi macchiato le mani col sangue dell'ultima persona che aveva a cuore rimasta in vita?!
«Grazie- ma non voglio perdere altro tempo. Fa' ciò che devi, senpai Okkotsu», tuonò risoluto, preparandosi a combattere. «E visto che Itadori ha lottato, non gli sarò da meno-»
«Ah, ma non è morto!», si affrettò a dirgli il maggiore. «Cioè, l'ho ucciso, sì- ma è rimasto senza vita solo per pochi istanti».
Sempre più attonito, Megumi gli schiantò in volto uno sguardo furente di emozioni tra loro in contrasto, cui Yuta reagì ridendone colpevole.
«Avrei dovuto dirlo subito, perdonami. Ero convinto avessi colto le mie frasi, oggi pomeriggio»
«Ma allora-»
«Ho dovuto ucciderlo per via del vincolo stretto coi Piani Alti- ma una volta che il suo cuore ha smesso di battere, l'ho riportato indietro con la mia tecnica inversa».
Voltandosi indietro verso il fuoco, Fushiguro sentì il cuore scalpitare di un sollievo indicibile.
Non è... morto?
Yuji non è morto?!, continuava a ripetersi nella mente, ormai ridotta ad un groviglio ingarbugliato di pensieri confusi ed emozioni altalenanti.
Quella prima lieta notizia sciolse un po' di ghiaccio attorno al suo animo, gettando un primo raggio di luce a rischiarare le tenebre che erano calate sulla sua giovanissima esistenza.
«Non è morto-», ansimò senza voce.
«Esatto. Avanti, prendi qua e prova a darglieli», ripeté Yuta, passandogli il pacchetto di croccantini. «Gli animali sono creature intelligenti, sono certo che saprai fartelo amico».
Afferrando il sacchetto di plastica dalla sua mano, Megumi lo guardò scivolargli accanto e incamminarsi verso il fuoco, dove l'altro individuo misterioso aveva appena posato a terra il corpo ancora esanime di Yuji.
Gli si riempirono gli occhi di lacrime, pensando al cuore del compagno.
Batteva ancora.
Come il suo.
E, come i loro, seppur relegato da qualche parte lontano da entrambi, batteva anche quello di Gojo.
Fremendo tra i denti, Fushiguro serrò le dita e si asciugò gli occhi umidi.
«Senpai-»
«Non serve, Megumi», lo precedette Yuta. «I Piani Alti hanno commesso un grave errore scegliendo me per far fuori il recipiente di Sukuna. Non avrei mai potuto- né avrei mai permesso che accadesse».
Okkotsu aveva trascorso buona parte della sua esistenza portando con sé la maledizione di Rika.
La regina delle maledizioni, che lui stesso aveva contribuito a generare.
«Se non fosse stato per Gojo- io sarei morto già da tempo», sostenne fermamente, girando il capo per sbirciare in volto il compagno stregone. «È stato lui a chiedermi di tenere d'occhio Itadori e proteggerlo. Era certo che avrei compreso la sua condizione meglio di chiunque altro- e che per questo, come lui stesso aveva fatto con me, anche io mi sarei battuto per non farlo giustiziare. Yuji non ha colpe-»
«Sì, lo so», sussurrò Megumi, serrando ancora di più i pugni.
«Così come non ne hai nemmeno tu», aggiunse subito dopo Yuta, percependo l'animo del ragazzo agitarsi nel senso di colpa. «Il sangue di quelle persone non macchia le vostre mani. Macchia quelle di Sukuna e basta».
Le labbra di Fushiguro si contrassero nel sollievo più amaro e sofferente che avesse mai provato, all'udire le parole confortanti del senpai.
Ma Naori- lei faceva purtroppo parte di quelle persone.
E per quanto si stesse straziando il cuore nel tentativo di non considerarsi responsabile della sua morte- alla fine restava comunque lui la persona che aveva insistito per prima affinché Itadori rimanesse in vita.
Ed era stata quella sua sola decisione ad aver poi messo in moto tutta una serie di conseguenze che li avevano portati dritti sino a quel punto- coi piedi calcati in cima ad una montagna di vittime innocenti.
Per una vita.
Per la vita di Yuji- Megumi ne aveva condannate a morte migliaia di altre, compresa quella della prima ragazza di cui si era innamorato.
Raggelando, si domandò se avesse avuto paura. Se avesse capito cosa stava accadendo- o se la vita avesse abbandonato il suo giovane corpo prima ancora che lei avesse potuto rendersene conto.
Serrò gli occhi, augurandosi che non avesse sofferto- e subito si irrigidì nel percepire la mano di Okkotsu stringersi alla sua spalla. Quella stretta gli dissolse i pensieri nella mente come aria vaporosa.
Lo guardò, ricambiando il suo sguardo morbido di dolcezza e comprensione- senza tuttavia sentirsene meritevole.
«Una volta una persona mi ha detto che l'amore- è la più contorta delle maledizioni, Megumi», disse Yuta. «Direi che forse non aveva torto».
Fushiguro scosse debolmente il capo. «No», sospirò. «Non è l'amore- è la vita ad essere contorta e spietata, talvolta»
«Tu dici, eh?», sorrise Yuta.
E lasciatagli andare la spalla, riprese a camminare verso il fuoco.

Megumi restò seduto sul muretto perimetrale del parco per un'infinità di minuti, perdendo la cognizione del tempo e accettando la sola compagnia del silenzio che proveniva dal vicinato.
Al suo fianco, Duca aveva fatto piazza pulita dei croccantini in pochissimi bocconi, senza tuttavia abbassare la guardia.
Si quietò solamente quando Megumi abbandonò infine il margine dello spiazzo per tornare dagli altri.
Itadori si era svegliato.
E se aveva colto bene le parole del senpai Okkotsu, le sue condizioni mentali ed emotive si trovavano nella peggiore della loro forma: era da dirsi un fatto certo che Yuji avesse trascorso i giorni successivi gli eventi di Shibuya straziandosi il cervello, odiando la sua stessa pelle centimetro per centimetro e desiderando la morte, pur di porre fine a tutte quelle tragedie che la sua sola esistenza aveva causato.
Poco a poco, allora, mentre tornava indietro dal suo amico, il suo ingranaggio tornò a funzionare, rimettendosi in sesto dopo aver incespicato per un'intera giornata.
Era giunto il momento di reagire- e in nome della vendetta o della giustizia non avrebbe fatto alcuna differenza, ché si trattava solo del mezzo per raggiungere un unico fine: esorcizzare il male, qualunque faccia avesse e a qualunque nome rispondesse.
Una volta e per tutte.
No.
Non c'era davvero più spazio per quel tipo di attitudine passiva- era il momento di tornare a combattere.
«Fushiguro! Ci sei anche tu?!».
Fermo e risoluto, Megumi inchiodò il compagno con uno sguardo freddo che non ammetteva obiezioni di sorta.
La vedeva nuda e schietta sul suo volto l'espressione della resa.
La stessa che aveva indossato lui stesso sul suo viso da quando aveva posato gli occhi sul corpo freddo della sua amata.
Scacciandolo dalla mente, Fushiguro si resse con forza su quel poco di terreno residuo che gli era rimasto sotto ai piedi.
E forzò il compagno a fare altrettanto.
«Tu non capisci-»
«Non mi importa. Non puoi decidere di arrenderti- come se la battaglia fosse solo tua», lo rimproverò Megumi, irrigidendosi in viso. «È proprio in nome di tutte quelle persone che sono morte a causa nostra che ora dobbiamo combattere per salvarne quante più possibile».
Yuji lo squadrò, fremendo combattuto tra la rabbia e la rassegnazione.
«E questo è sempre stato il tuo credo, o mi sbaglio?».
Non si sbagliava. Ma Yuji era stanco di vedere le persone che aveva vicino soffrire e morire senza che lui potesse fare alcunché per impedirlo.
«Fushiguro-»
«Inizia aiutando me- Itadori».

Inizia.
Aiutando me.
Prestami la tua forza, gli chiese.
E aiutami a salvare quante più persone possibile.
Aiutami a liberare il professor Gojo.
E a salvare la vita di mia sorella.

L'Autunno di FushiguroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora