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La notte in cui Fushiguro perse la verginità, fu seguita da uno dei giorni più piovosi della stagione autunnale

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La notte in cui Fushiguro perse la verginità, fu seguita da uno dei giorni più piovosi della stagione autunnale.
Il cielo rimase coperto di nuvoloni scuri e densi di pioggia da mattino a sera, riversando sulla terra secchiate d'acqua in grado di inzuppare da capo a piedi in una manciata scarsa di secondi chiunque si fosse trovato sprovvisto di un riparo.
La mente ancora frastornata, le orecchie piene dei lamenti di Mai, gli bastava chiudere gli occhi per rivedere il suo volto contorto dal godimento, mentre si alzava e si abbassava su di lui senza concedergli un solo istante di tregua per prendere atto di ciò che stavano facendo.
Avevano fatto sesso. In quell'angusto sgabuzzino, in piedi contro un anonimo scaffale di ferro, si era concesso a lei e ad un sesso rude e crudo.
Concretizzando così la sua prima volta.
Più ci pensava, più si sentiva sporco e sgomento- ché non riusciva a capacitarsi di quanto terribilmente gli fosse piaciuto.
E così, chiuso nei suoi pensieri fra loro in lotta, Megumi percorse l'intero tragitto dalla stazione di Tokyo all'Istituto, camminando sotto quell'acquazzone impossibile e senza tuttavia lamentarsene una singola volta. Una parte di sé, quella che dagli Zenin si era discostata totalmente, sperava potesse bastare a smacchiarsi.
Più che pioggia scrociante, Fushiguro la visse come un'abluzione dell'anima e forse era già scontato dire che di quella prima volta si sarebbe portato dietro non solo il ricordo- ma anche il pentimento.
Lui aveva desiderato fino all'ultimo che accadesse con Naori.
Ma per quanto potesse sforzarsi di negare ora l'esistenza di quel minuto di perdizione, alla fine la realtà non gli ritornava che una sola: aveva fatto sesso per la sua prima volta con Mai Zenin, in uno sgabuzzino dell'Istituto di Arti Occulte di Kyoto.
Contro un sudicio scaffale ricoperto di polvere.
Serrando i denti dal disappunto, continuò ad arrampicarsi sotto la pioggia scrosciante su per i gradini al confine con la barriera, reprimendo a forza quelle torride istantanee che continuavano ad emergere con prepotenza nella sua mente.
«Cavoli, Fushiguro», mugugnò Itadori. «Mi stai facendo sentire un sacco in colpa- non ti ho proprio fatto chiudere occhio?»
«No», rispose Megumi, seguendolo al riparo dall'acqua. «Alla fine sono andato a dormire sui divani in area comune».
Il compagno si sentì ancora più mortificato. «È per questo che sei tanto arrabbiato? Non hai ancora spiccicato parola da stamattina».
Fushiguro non gli rispose e si limitò a ricordare loro delle lezioni in procinto di cominciare.
«Dormirò oggi pomeriggio, se ci sarà occasione».

Nel frattempo, le ricerche di Kokichi Muta erano già state avviate, occupando parecchi stregoni nei dintorni di Tokyo e Kyoto.
Lo stesso Satoru Gojo vi prese parte, certo più che mai che ritrovando lui avrebbero anche messo mano sullo stregone nero che se n'era servito fino ad allora.
«Non abbiamo alcuna certezza che si trovino ancora in una delle due prefetture. E anche in quel caso è come cercare un ago in un pagliaio», affermò Fushiguro, avanzando lungo il marciapiede di una nota strada di Shinjuku. Dall'altra parte del telefono, Gojo gli parlava dalla prefettura di Shiga, dopo averne battuto insistentemente buona parte del territorio. Ma anche lui non aveva ancora risolto alcunché.
«Itadori adesso è a Shinagawa, mentre Kugisaki si è appena spostata dalla periferia ad Harajuku», gli rispose, fermandosi per qualche istante in ascolto sotto l'acquazzone.
Non avevano ricevuto alcun tipo di indicazione né da Utahime né tanto meno dal preside Gakuganji per quella caccia all'uomo- e tutti e tre gironzolavano senza meta ormai da tutto il pomeriggio.
Gojo ritenne inutile che proseguissero anche loro in quella folle impresa. Avrebbe avuto più senso sollecitare le finestre delle varie prefetture a che tenessero gli occhi ben aperti sul loro territorio, piuttosto che sguinzagliare gli studenti in giro per la Nazione senza uno straccio di itinerario da seguire.
«Va bene», concordò Fushiguro. «Avviso anche gli altri, allora».
E detto ciò, scrisse a Kugisaki e a Itadori di rientrare.
Ma di non aspettarlo.
Sotto la pioggia, si incamminò così fin sotto casa di Naori e da lì decise che non si sarebbe mosso finché non l'avesse vista uscire dal portone.
Il sole fece in tempo a tramontare.
La pioggia continuò invece a battere incessante.
Fushiguro, ormai, non la percepiva nemmeno più, zuppo com'era da capo a piedi.
Del tutto insensibile a qualsiasi stimolo fisico che non fosse la sofferenza e il rammarico che gli pulsavano nell'animo, restò in sua attesa per tre lunghe ore.
Fino a che, dal fondo della via, non vide approssimarsi la sua piccola vettura color panna.
I fari lo illuminarono a poco a poco in pieno viso, nascondendogli alla vista colei che con un solo cenno avrebbe potuto risollevargli l'animo dal baratro in cui stava lentamente scivolando.
Abbacinato e col cuore che gli sgomitava furioso in gola, Megumi si schermò gli occhi dalla luce e si tirò a lato del cancello, rimanendo poi in disparte a guardarla.
Dall'altra parte del finestrino laterale rigato di pioggia, Naori stava fissando immobile il parabrezza di fronte a sé, carezzato ritmicamente dai tergicristalli.
I suoi enormi occhi non sembravano più in grado di batter ciglio, paralizzati e costretti a forza com'erano a non girarsi di lato per il timore di incontrare quelli di Megumi.
Sotto la pioggia, con le mani in tasca, questi continuò a lasciarsi sferzare e inzuppare senza colpo ferire- sia dall'acqua che dal silenzio immoto di lei, del tutto intenzionato a non schiodarsi comunque di un solo passo.
Finalmente, quando il cancello automatico si fu interamente aperto, Naori ruppe la sua posa statuaria e si afflosciò vinta tra le spalle, girando il viso nella sua direzione.
Gli occhi le si riempirono all'istante di lacrime nel vederlo fradicio e al contempo tanto risoluto.
«Megumi-», rantolò senza fiato. La gola già stretta nella morsa del pianto le doleva terribilmente. La maledisse.
Così come maledisse anche se stessa nel trovarlo ancora una volta tanto irresistibile, mentre se ne stava immobile a due passi dalla sua macchina, senza dire o fare alcunché.
Solo per il fatto che fosse lì.
E che la stesse guardando con una determinazione in volto tanto grezza da risultarle impossibile accostarla ad un ragazzino di solamente quindici anni.
No.
La sua età non era cosa per cui potersi dare pace.
E lei non sarebbe mai riuscita ad accettarla completamente.
Inghiottendo una buona dose di amarezza e rabbia, allentò il piede sulla frizione e spinse sull'acceleratore, conducendo l'auto dall'altra parte del cancello elettrico.
Dopodiché abbandonò il veicolo e tornò in strada sotto la pioggia, che su di lui sembrava non potesse alcunché.
Non appena se lo ritrovò ad un passo, dovette mordere con tutta se stessa la forza di volontà per impedirsi di gettarglisi al petto.
Fushiguro la stava guardando dall'alto, gli occhi socchiusi per schermare le pesanti gocce di pioggia e le labbra lievemente schiuse.
«Dimmi che sei appena arrivato-», gli disse, pur consapevole che la realtà fosse ben altra.
«Ieri sera, al telefono- stavi piangendo», ribatté lui, scrutandola attentamente. «Io... ti ho sentita».
Naori annuì al ricordo di quelle lacrime e affondò i denti nel labbro per contenerne un'altra ondata.
Dopodiché prese un profondo respiro e si lasciò guardare negli occhi.
«Se sei passato per accertarti che stia meglio-»
«Sono passato perché è evidente che tu mi vuoi ancora», ribatté lui, contenendo un fremito all'idea che lei potesse sostenere il contrario. «Così come io voglio te. E- l'idea era di non andarmene da qui finché tu non mi avessi guardato negli occhi e mi avessi detto che le cose stanno diversamente»
«Sai perfettamente come stanno, Megumi-»
«Sì, è vero», la anticipò con prontezza. «Io non ho nemmeno sedici anni, mentre tu nei hai già compiuti ventitré»
«E ti sembra poco?»
«Mi sembra ridicolo visto quel che ci comporta il volerlo ritenere a tutti i costi un ostacolo insormontabile».
Sbattendo le palpebre per schermarsi gli occhi dalla pioggia, Naori si strinse nel giaccone ed esitò.
«Parliamone al riparo-»
«No»
«Ma perché no?»
«C'è un motivo se ti ho chiesto di non cercarmi più, Megumi», ribatté lei, stringendosi ancora di più fra le braccia. «Io... non voglio rischiare di-»
«Di finire a letto con me?»
«Esatto. E considerando che sarebbe persino la tua prima vol-»
«Su quello non c'è più pericolo», affermò Fushiguro, storcendo le labbra nell'amarezza che quelle sole parole contribuirono a fargli salire in gola.
Gli occhi di Naori si alzarono fulminei in quelli di lui, trovandovi un rimpianto ed un'afflizione tanto schiette da ferirla.
«C-cioè hai-»
«Sì».
Brutale e cinico, la squadrò dall'alto con aria ferma e risoluta.
Nonostante non fosse significato nulla, sarebbe rimasta comunque la sua prima volta- inutile girarci attorno o fingere altrimenti.
«Avrei preferito ricordarla con te, però», si sforzò di dirle.
Lo sguardo di Naori era acceso di un fastidio genuino, di quelli impossibili da nascondere o mascherare. Per quanto Megumi lo stesse leggendo come un'ennesima prova che non fosse affatto finita, non poté che condividerne lo sdegno.
«Capisco», fremette lei, indietreggiando sul marciapiede. «O-ora io... è meglio che vada», disse, ma un battito di ciglio dopo si ritrovò stretta al petto di lui, con un polso cinto dalle sue dita e quelle dell'altra mano sul mento.
Le palpebre le si fecero pesanti sotto la potenza di quel bacio.
Dolci e bagnate di pioggia, le labbra di Fushiguro si impressero sulle sue, schioccando poi nello scrosciare dell'acqua battente.
Le carezzò lieve il viso, aggrottando le sopracciglia per lo stordimento di essere tornato a respirare a pieni polmoni.
Dopo un'intera settimana trascorsa a lottare per restare a galla, gli era bastato baciare le sue labbra per strapparsi da quello stagno gelido e putrido di sofferenza in cui era scivolato.
La guardò per qualche istante negli occhi, trovandoli luminosi e allo stesso tempo tristi.
«Se potessi», sussurrò afflitto. «Se ne avessi il potere- farei in modo di raggiungerti con gli anni», le disse in un soffio di voce, saettando gli occhi tra i suoi e le sue labbra. «Non c'è cosa che stia desiderando maggiormente in questi ultimi due mesi».
Deglutendo nella gola ormai gonfia, Naori gli strinse la mano sotto la sua e la riabbassò dal suo viso, dando libero sfogo alle lacrime.
«Torna a casa- Megumi», singhiozzò, stringendogli le dita fra le sue, prima di lasciarle andare.
Lo guardò un'ultima volta negli occhi, riempiendo i suoi della sua immagine investita dalla pioggia sferzante.
Dopodiché si incamminò verso il cancello e combatté contro se stessa fino all'ultimo pur di non voltarsi neanche una volta.
Allora, rilasciato un sospiro rassegnato, Fushiguro distolse lo sguardo dal portone dietro cui Naori era appena scomparsa.
Si sfilò quindi il cellulare dalla tasca e prese la chiamata in arrivo da un numero sconosciuto.
«Pronto?», si accigliò.
Era la professoressa Utahime.
Avevano trovato Mechamaru.

L'Autunno di FushiguroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora