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I sorrisi svogliati di Fushiguro si conservarono immutati nel corso dei giorni che seguirono la sua rottura con Naori

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I sorrisi svogliati di Fushiguro si conservarono immutati nel corso dei giorni che seguirono la sua rottura con Naori.
Per quanto gli avesse chiesto di non farsi più sentire, Megumi non riusciva a smettere di aprire la loro conversazione e sperare invano di veder comparire un messaggio.
Un segnale.
Un seppur banale cenno di vita.
Ma sotto quelle ultime due nuvolette grigie, per quanto forte potesse sperarci, non se ne palesarono altre.

-Rosso o bianco il vino? E sì, insisto a portare almeno quello
-Giuro, non è per avere indizi sui piatti ;D

A furia di scrollare i messaggi in su pur di vederne comparire di nuovi, Fushiguro stava rischiando di farsi venire l'artrite.
Persino a distanza di quattro giorni quelle due scritte erano ancora in grado di scaldargli il cuore esattamente come quando le aveva ricevute, mentre stava preparando la cena della disfatta.
E dire che anche in quel preciso istante, mentre spadellava in cucina, si era detto ben consapevole di ciò che lo avrebbe atteso nel giro di poche ore.
Il tipo di dolore che gli aveva causato, però- quello no, Megumi sentiva di averlo ampiamente preso sotto gamba.
«Fushiguro-», lo richiamò per l'ennesima volta Kugisaki, scuotendolo poi alla spalla.
Riemergendo dai suoi stessi pensieri, il giovane la guardò con aria piuttosto distratta- quasi a dire "che vuoi ancora?, io il mio l'ho fatto- adesso sta a lui".
«In effetti- non è che possiamo aspettarci dei miracoli da uno come Itadori»
«Te l'ho detto. L'importante è che si ricordi di lasciarle il suo numero- o di scriversi il suo, fa lo stesso», sospirò, scacciando a fatica dalla mente il ricordo del momento in cui lui aveva fatto altrettanto con Naori, ormai quasi due mesi prima. L'aveva raggiunta in ritardo quel giorno- nonostante le ferite riportate in missione si era fatto quattro quartieri in corsa pur di vederla. Da lì la corsa in ospedale e...
Sorrise, chiudendo di nuovo gli occhi per ricacciare indietro le immagini di quel pomeriggio di neanche metà settembre- e tornare nel presente.
Era già ottobre inoltrato, ormai.
Di tempo da allora ne era trascorso abbastanza- e al contempo incredibilmente poco.
«Andiamo- i piccioncini si sono decisi a lasciare il nido», lo sgomitò Nobara, riportandolo nuovamente al tavolo del café.
Era lì dentro che, all'incirca due ore prima, la ragazza aveva fatto comunella con quella Yuko Ozawa, un'amica di Itadori che si trascinava dietro la cotta per lui sin dai tempi in cui erano stati compagni di classe.
«Non sei arrabbiato perché ti ho coinvolto, vero?»
«Perché dovrei?»
«Non lo so», alzò le spalle Kugisaki. A lei inizialmente aveva dato fastidio sapere che persino Yuji avesse una spasimante.
Va bene Fushiguro- poteva ancora capirlo.
Ma lui?!
Guardandolo di sottecchi, si domandò se avesse peccato di indelicatezza- come al suo solito, del resto.
La sua rottura con quella Naori era ancora piuttosto fresca.
«Smettila di fissarmi così», sospirò Fushiguro, tenendo d'occhio i due nuovi innamorati per seguirli con lei a debita distanza. «Non è che se è andata male a me, allora automaticamente mi aspetto che vada male anche a tutti gli altri», aggiunse. «E poi- lei mi sembra una tipa a posto».
Già.
Come Naori.
Che palle, pensò, esasperato ormai dai suoi stessi pensieri, incastrati in una ripetizione costante di immagini, parole, suoni e sensazioni che finivano per ricollegarsi inevitabilmente a lei.
Dall'altro lato, per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Kugisaki tastò con mano il profondo divario tra la maturità di Fushiguro e la sua, nonostante avessero entrambi quindici anni.
Lei, si disse, ne aveva ancora parecchia di strada prima di potersi liberare da certe manie egocentriche ed egoiste del suo essere.
«Certo che tu non sembri per niente un ragazzo della tua età- fattelo dire», commentò, del tutto ignara del tipo di effetto che le sue parole avrebbero avuto su di lui. «A-ah! Non guardarmi così. Il mio non era affatto un complimento- anzi, il più delle volte ragioni come mio nonno».
Ma l'occhiata subitanea di Fushiguro aveva già fatto in tempo ad incupirsi sotto parecchie altre tonalità di scuro, di perché, di ma allora e di pensieri che si muovevano sulla medesima lunghezza d'onda.
Di farne dello spirito non ci sarebbe riuscito nemmeno volendo o sforzandosi.
«Ti senti bene?»
«Sì. Cosa intendevi dire»
«Ti riferisci a mio nonno? Ah, era un tipo giusto, il genere di uomo tutto d'un pezzo, hai presente?, con la sua etica e la sua morale-»
«Sì, l'ho colta quella parte», tagliò corto Fushiguro, spostando la domanda su di sé. «In che modo- io non sembro un ragazzo della mia età?»
«Fai sul serio?», sghignazzò Kugisaki, soffocando subito dopo la risata. «Fushiguro, ti vesti- con abiti di alta moda che singolarmente costano più del mio intero guardaroba e parli e ti atteggi come un trentenne consumato. No, d'accordo- forse trentenne è esagerato... ma diciamo che se ti dovessi dare un'età senza conoscerti, scusami se te lo dico- sotto ai venticinque faticherei a scendere».
Il volto di Megumi si distese impercettibilmente.
E poi si scurì di nuovo, ché per quanto si potesse illudere che Kugisaki stesse dicendo il vero, anche in quel caso i suoi quindici anni sarebbero rimasti tali ed invariati.
Così come i ventitré di Naori.
«Bella fregatura», sbuffò beffardamente tra sé, rendendosi conto che parte della sua maturità precoce dovesse proprio trovarsi anche in quel suo non concedersi una seppur breve illusione, prima di tornare coi piedi per terra- ben saldi nella realtà di ciò che è possibile e di ciò che invece non lo è.
«Che cosa?»
«Uh?»
«Hai detto- bella fregatura», si accigliò Nobara, scrutandolo fitto in volto. «E hai fatto quella faccia da enigma»
«Nulla, stavo pensando ad alta voce»
«Sì, come no», insistette. «Avanti, sputa il rospo».
Infilandosi le mani in tasca, Fushiguro scivolò gli occhi su Itadori e la sua amica, per poi volteggiarli tutt'attorno con evidente aria combattuta.
Ormai aveva lanciato il sasso- e a giudicare dall'espressione sul volto di Kugisaki si disse certo che non lo avrebbe lasciato in pace finché non si fosse deciso a vuotare il sacco.
«Va bene», si arrese. «Diciamo che- Naori era convinta fossi più grande», confessò, faticando enormemente a pronunciare quel nome ad alta voce a distanza di soli quattro giorni.
Più che enormemente, anzi- era stato troppo presto per farlo e difatti se ne pentì all'istante, quando la gola gli si serrò nella morsa di quel dolore ancora fresco.
Quel che gli tornava sempre più indiscutibile, però, era che Gojo avesse avuto una ragione spropositata a riguardo: le prime volte, di qualunque genere fossero, erano davvero emotivamente destabilizzanti.
E in esse figurava decisamente anche la prima volta in cui si rompe con qualcuno- ritrovandosi col cuore spezzato.
«Un momento-».
Al suo fianco Kugisaki si bloccò, restando indietro di qualche passo.
Fushiguro la squadrò attonito, voltandosi senza capire. Poi scosse il capo. «Non le ho mentito sulla mia età, se è questo che pensi», la anticipò. «Però-»
«Però?», lo incalzò lei in tono asciutto.
«Beh non ho fatto neanche nulla per correggerla, quando si è detta certa che avessi almeno vent'anni».
Le spalle di Kugisaki si afflosciarono sotto il peso di quella confessione, quasi che parte di esso le fosse scivolato addosso per osmosi.
«È per questo, allora», affermò in un soffio di voce, cercando conferma nel suo sguardo.
E Fushiguro annuì, negandole però il suo. «Stavamo per-», provò a dirle, ma si bloccò e scosse subito dopo il capo. «Non me la sono sentita»
«E così le hai detto tutto»
«Sì- non ce la facevo più a tenerglielo nascosto»
«L'errore però è stato suo», affermò la ragazza. «È lei che ti ha dato più anni di quelli che-»
«Ma che razza di discorso sarebbe?! Stava a me correggerla e avrei potuto farlo almeno una dozzina di volte nell'ultimo mese-», sbroccò, serrando le dita nel giaccone con tanta forza da sentire le unghie affondare nei palmi. «Senti- chiudiamola qui. È andata come è andata. Me ne farò una ragione»
«Fushiguro-»
«No», tuonò lui, inchiodandola sotto uno sguardo truce. Dopodiché si voltò nuovamente in avanti. «E adesso muoviti. Quei due stanno per entrare in stazione- se non li raggiungiamo, quell'imbranato di Itadori le farà sbagliare treno».
Affondandosi i denti nel labbro, Kugisaki si schiodò a forza dal marciapiede e si affrettò a raggiungerlo.
L'argomento non venne più riaperto- né tanto meno sfiorato alla lontana.
Ore dopo, quello stesso pomeriggio, il prof Gojo chiamò Fushiguro affinché si affrettassero a tornare il prima possibile in Istituto.
A quanto sembrava la professoressa Utahime dell'Istituto di Kyoto aveva mosso qualche passo avanti, in quei giorni, ed era riuscita a stanare la spia che passava informazioni allo stregone nero responsabile degli attacchi perpetrati negli ultimi mesi.
Quello che, scaltro e spietato, aveva mosso ciascuna delle singole maledizioni di livello speciale contro le quali i ragazzi si erano misurati fino ad allora, manovrandole come pedine su uno scacchiere dai piani ancora avvolti in un fitto alone di mistero.

Fushiguro, Itadori e Kugisaki raggiunsero Kyoto la mattina seguente, incontrandosi in gran segreto con la professoressa Utahime per discutere delle sue scoperte senza preoccuparsi di essere ascoltati.
E ogni sospetto pareva inchiodare il suo studente del secondo anno, nato con un giogo divino perfettamente in antitesi rispetto a quello della senpai Zenin.
Mechamaru.
O, per meglio dire, lo stregone che manovrava a distanza tali marionette intrise della sua potentissima energia malefica: Kokichi Muta.
Egli era infatti nato con una condizione fisica piuttosto rara, la quale gli aveva da sempre impedito di poter camminare alla luce del sole senza restarne brutalmente ustionato. A compensazione di tale tremenda menomazione era stato tuttavia battezzato con un quantitativo spropositato di energia malefica, ponendolo agli antipodi rispetto ad individui come Maki e Toji Zenin, il cui giogo divino funzionava esattamente all'opposto.
Era stata Mai Zenin a scoprire il luogo in cui Kokichi viveva segregato da anni, manovrando a distanza i suoi Mechamaru.
Tuttavia, raggiunto quello scantinato umido e ricoperto di muffa indicato dalla giovane Zenin, lo stregone delle marionette aveva già fatto sparire ogni traccia di sé- portando la professoressa Iori e i tre studenti di Satoru Gojo ad un enorme buco nell'acqua.
«Avevi promesso, Mai!», esclamò Miwa, inorridendo dal tradimento dell'amica. «Come hai potuto?!»
«Io?! Come ho potuto- io?!!», ribatté la Zenin, squadrandola attonita. Ma subito dopo si morse la lingua- ché i tre di Tokyo erano fin troppo a portata di orecchio. Specialmente quella tizia col caschetto decolorato. E lei le era parsa parecchio legata a Maki, perché potesse lasciarsi sfuggire anche una sola considerazione da sorella preoccupata sull'intera faccenda inerente lo stregone nero e le maledizioni di livello speciale che avevano attentato più volte alla vita degli studenti di Satoru Gojo.
«Rischia di essere giustiziato! Lo capisci?!!»
«E chi se ne frega!», esclamò, ignorando l'occhiata di Megumi Fushiguro. «Non avrei fatto di certo il suo gioco per farti felice, Miwa-»
«State- zitte! Lo volete capire o no che siamo costantemente ascoltate e monitorate a distanza dalla spia- che sia lui o meno?!»
«Professoressa», ansimò angosciata la bella studentessa dai capelli singolari, incredula che ritenesse fondati i suoi sospetti su Mechamaru.
«Credevo fossimo d'accordo che non si tratti più di un sospetto», affermò Fushiguro. «E anche se ci stesse ascoltando in questo momento, comunque non abbiamo la più pallida idea di dove si sia andato a nascondere. Dico bene?», aggiunse, inchiodando la ragazza dai capelli blu sotto uno sguardo acceso di fervore.
«I miei studenti non sanno niente più di quel che mi hanno già riferito- te lo posso assicurare, Megumi», s'intromise Utahime.
«Di quel che Mai- le ha riferito», ribatté asciutto il ragazzo, senza schiodare gli occhi dal volto della senpai. «Ma lei-»
«Avanti, Fushiguro- non c'è bisogno di essere così duri, adesso», cercò di moderarlo Itadori.
«Sukuna ha preso il controllo sul tuo corpo- e ti ha strappato il cuore dal petto per colpa di quel pezzo di merda. O te ne sei già dimenticato? Perché io no».
Occhi negli occhi, Yuji non poté che abbassare lo sguardo di fronte a quelli del compagno, d'un tratto accesi nel vivido ricordo di quella tremenda occasione appena evocata.
«Fushiguro ha ragione, Itadori», affermò Kugisaki. «Per quel che ne sappiamo, potrebbe averlo avvertito e fatto fuggire lei, prima che potessimo raggiungerlo»
«Grazie», asserì cupo Megumi.
Utahime si allarmò di un sincero timore all'idea che gli studenti di Kyoto macchiati di una tale onta non fossero uno- ma due.
Gli occhi della dolce Miwa, però, così annegati di lacrime e riempiti di sincero sgomento, le diradarono all'istante ogni dubbio.
No. Lei non era una complice di Mechamaru. Al contrario, non riusciva neanche a credere possibile che fosse coinvolto in una faccenda simile.
«Torniamo in istituto», esordì. «E non voglio più sentire una sola parola sulla questione- sono stata abbastanza chiara?», li ammonì uno ad uno, riportando una parvenza di ordine e subordinazione tra i ragazzi. «Per oggi sarete nostri ospiti- vi inventerete che la nostra scuola vi ha offerto supporto per una missione», dispose. «Voi due, invece- non una parola con gli altri ragazzi o vi farò pentire di avere una lingua in bocca».
Miwa, Mai e i tre studenti di Tokyo acconsentirono senza battere ciglio- agitare le acque all'interno delle mura in cui la spia si muoveva ancora nell'ombra sarebbe stato controproducente per tutti.
E al momento, a differenza di quasi due mesi prima- si trovavano tutti schierati dalla stessa parte del campo.
Una volta tornati in Istituto, Utahime incaricò le sue due studentesse, Nishimiya e Kamo di andare a preparare le stanze per i ragazzi e di raggiungerla poi in cucina per aiutarla col pranzo.
«Non serve che vi disturbiate tanto- il prof Gojo ci ha lasciato la sua carta di credito», la informò Fushiguro.
Kugisaki sogghignò. «Ciò significa che potremmo portarvi tutti quanti a pranzo fuori- sulle spalle di quell'idiota bendato-»
«Ma!, Kugisaki!», la rimbeccò Itadori.
«Sì, in effetti è un'ottima idea», concordò invece Fushiguro, lasciando l'altro del tutto attonito. «In questo modo aumenteremo le probabilità di rimanere fuori dal raggio d'azione della spia»
«Ma-».
Utahime, a differenza di Yuji, non ci mise molto a lasciarsi convincere dal pupillo di Satoru e così nel giro di pochi minuti l'intero gruppo di studenti andò a prepararsi per l'uscita fuori porta- pagata gentilmente dalle tasche di un povero ed ignaro professor Gojo.

L'Autunno di FushiguroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora