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Nei complessi ingranaggi che da sempre muovono il karma, Fushiguro si era sempre sentito nulla di più che una rotella filettata

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Nei complessi ingranaggi che da sempre muovono il karma, Fushiguro si era sempre sentito nulla di più che una rotella filettata.
Che girava.
Girava.
E girava.
Il suo non era un compito troppo diverso da quello di molti altri, eppure era fondamentale al corretto funzionamento del tutto.
Non si era mai sentito un eroe.
Né tanto meno un paladino della giustizia.
Lui non salvava le vite sulla base di un dettame assoluto- la sua era più una discrezionalità fondata sull'istinto.
Solo coloro che possedevano un animo buono avevano diritto di continuare a vivere.

Solo chi lo meritava davvero.

Lui aveva sempre creduto fermamente in questo.
Ma quel pomeriggio, per la prima volta nella sua vita, la sua rotella filettata incespicò- e i suoi ideali vacillarono pericolosamente sotto dettami ben più stringenti.
Quelli del cuore.

Il boato assordante al secondo piano riverberò fin dentro le sue ossa, riducendogli lo stomaco in poltiglia.
La finestra del soggiorno di Naori era esplosa e ora, a mezz'aria, enorme, grottesco e gocciolante di malvagità, l'enorme spirito maledetto veniva trangugiato dalla potente regina delle maledizioni.
Esorcizzato da Rika, quell'essere immondo cessò così di esistere.
Senza rendersene pienamente conto, Megumi mosse un passo verso il cancello, trattenendo il fiato.
Quella maledizione, pensò raggelato, era in casa di Naori.
Con la mente ridotta in cenere, Fushiguro divorò le scale e si fiondò all'ingresso, raggiungendo il soggiorno col cuore in gola.
Paralizzato, inchiodò gli occhi alle spalle di Yuta: sul basso tavolino, i resti di una cena improvvisata e la confezione aperta di un dvd.
Tutt'attorno regnava il silenzio.
Un'inquietante e freddo silenzio.
Poi, dall'angolo accanto al televisore, un uggiolio improvviso ed agonizzante.

Rigenerate le profonde ferite di Duca, Okkotsu si voltò indietro, ricambiando lo sguardo al giovane Fushiguro.
Era riuscito ad intervenire, ma solamente per salvare il corpo di una delle due ragazze. L'altra era già stata divorata dallo spirito maledetto.
«Megumi- aspetta, non-».
Del tutto sordo, Fushiguro barcollò in avanti, scivolando oltre il senpai in direzione del divano.
Lo aggirò.
E le labbra gli si contrassero in una smorfia di dolore.
I colpi del dominio innato di Sukuna erano arrivati davvero fin lì.
Abbandonata contro la sponda, con un braccio sanguinante proteso nel vuoto, Naori era stata raggiunta da un taglio netto che le aveva reciso le carni dalla spalla al bacino.
Gli occhi sgranati nel freddo abbraccio della morte erano ancora aperti e fissi nel vuoto.
Megumi non riuscì ad emettere un suono.
In silenzio, dopo un'infinità di secondi, si accovacciò, abbandonandosi prostrato sulle ginocchia. Tremanti, strinse allora le dita nella mano insanguinata di Naori e soffiò tra i denti la sua disperazione.
Non una lacrima.
Solo quel tenue sibilo.
Il calore del suo corpo, ormai livido e freddo, se n'era già andato.
Le sue dita, sulla guancia, non avevano più il tocco morbido e delicato delle loro solite carezze- e tuttavia se le strinse comunque al viso, avvicinandosi di più a lei e trattenendo a forza gli spasmi involontari che lo stavano trafiggendo al ventre.
Le baciò le labbra, macchiandosi del suo sangue- e anche quelle le trovò insopportabilmente fredde. Alla ricerca spasmodica di un qualunque accenno di calore e di vita rimasto in quel corpo, intrecciò le dita fra i suoi capelli e affondò il viso nel suo collo.
Solo allora liberò il respiro, che riempì il silenzio di un lungo e doloroso gemito.
Yuta lo lasciò così, prostrato su quella ragazza, con le braccia avvolte attorno al suo corpo e il volto nascosto nella sua maglia imbrattata di sangue.

Trascorsero interi minuti, prima che Megumi riuscisse a trovare la forza per separarsi da quel corpo.
Sciolto l'abbraccio, si ritirò e la guardò in viso, sentendosi comprimere il petto da un senso di colpa deturpante.
Era morta.
Naori- era morta davvero.
Il suo sangue macchiava le mani di Sukuna.
Di Itadori.
E anche le sue.
Ma una morte tanto meschina e atroce non poteva trovare alcun tipo di senso neanche nel quadro degli eventi decisi dal karma più spietato.
«Mi dispiace-», ansimò e, scivolandole le dita fra i capelli, trovò ancora più meschino e beffardo il ricordo delle ultime parole che le aveva sentito pronunciare in lacrime, al telefono.
Quella frase riecheggiò nitida nelle sue orecchie, mischiandosi alle prime, cristalline e limpide, che la giovane gli aveva rivolto.
Chiuse gli occhi, sporgendosi ancora un'ultima volta sulle sue labbra.
Di nuovo le baciò.
E fremendo, le parlò.
«Anche io, Naori», le rispose, gemendo in un sussurro. «Ho sbagliato anche io...».

Sì.
Aveva commesso il suo stesso errore.
Si era innamorato di lei.
E comunque- dirlo adesso non aveva già più alcun senso.

L'Autunno di FushiguroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora