Capitolo 6 - Rosso di fuoco

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La stamberga che io chiamavo casa, o la casa che io chiamavo stamberga, aveva una sola regola: nessuno avrebbe potuto varcare la sua soglia senza la mia approvazione

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La stamberga che io chiamavo casa, o la casa che io chiamavo stamberga, aveva una sola regola: nessuno avrebbe potuto varcare la sua soglia senza la mia approvazione.

L'avevo chiarito, sin dal primo giorno in cui ci eravamo incontrati, a tutti i membri del gruppo sgangherato che io definivo "amici" o che talvolta appellavo come "famiglia".

Lo sapeva Big, lo sapevano King e le ragazze che ogni volta a notte fonda mi pregava di ammettere, e ovviamente lo sapeva Boobs.

Non era da lei infrangere quell'unica legge.

Prima di tornare a casa, quando King mi aveva avvisato della presenza sul nostro divano di un'intrusa, avevo cercato di rispondere a tutti gli interrogativi che improvvisamente avevano iniziato a frullarmi per la testa.

Non capivo come Boobs potesse mettere in pericolo la nostra attività e la serenità della nostra convivenza per una persona che appena conosceva. Si erano incontrate soltanto il giorno precedente e lei era già disposta a rischiare una mia sfuriata pur di non mandarla semplicemente a dormire in un albergo.

Amavo Boobs per quel suo modo puro di essere. Tutti l'amavamo allo stesso modo. Persino Big che avrebbe dovuto farlo un po' di più non riusciva a superare il grado di amore che provavamo per lei io e King.

Ma era proprio ciò che più ci faceva provare affetto nei suoi confronti a renderla vulnerabile agli occhi degli altri.

Mi preoccupavo sempre troppo, dicevano in tanti.

E avevano ragione.

Ma come potevo far finta di niente? Come potevo fingere che a un passo dal mio letto, in quella stanza chiusa da un semplice lucchetto, non vi fosse una partita di droga di dimensioni colossali? Nemmeno gli altri sapevano a quanto ammontasse con precisione il nostro patrimonio - non soltanto in termini economici - ma io che ne ero consapevole, perdevo un anno di vita ogni volta che un estraneo varcava l'ingresso della nostra abitazione.

Un dollaro in più, un grammo in più, una pasticca in più sarebbero equivalsi per me a un anno di libertà in più.

Nessuno conosceva le vere ragioni che mi avevano spinto a immergermi fin sopra i capelli in quel mondo che i capelli me li stava facendo perdere, a ciocche intere li rinvenivo sul fondo della doccia, almeno un centinaio sul cuscino al mattino. Nessuno sapeva chi fossi, nessuno sapeva da dove venissi, nessuno sapeva cosa mi costringesse a condurre una vita che non sentivo mia. Nessuno sapeva che tra la vita e la morte, io tempo addietro avevo creduto di scegliere la prima per poi ritrovarmi incastrato come nella più angusta delle prigioni in una non-vita.

Come potevo, allora, restare tranquillo quando una sconosciuta entrava a mettere a soqquadro il mio mondo?

Non aveva idea della nostra professione, o almeno era ciò che credevo, e poi si ritrovava nel mio salotto con il mio spacciatore più promettente e con i due proprietari del club più frequentato di Providence, e misteriosamente tutto ciò che accadeva al di là del suo naso non pareva sconvolgerla.

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