Capitolo 15 - Stella

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Mi alzai i pantaloni senza neppure ripulirmi dai suoi umori

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Mi alzai i pantaloni senza neppure ripulirmi dai suoi umori.

Avevo le labbra gonfie, il volto bagnato dalla sua saliva e il cuore che pompava a mille.

Ma cosa cazzo era appena accaduto?

Mi premurai di raccogliere le sue cose: lottai con il suo reggiseno per farlo entrare in tasca insieme alle mutandine, mentre artigliai dai gancetti della chiusura le sue scarpe.

Non cercai neppure di rendermi presentabile, semplicemente la seguii nella sua folle corsa senza guardarmi attorno.

Provai a chiamarla più volte mentre zigzagavamo tra tutte le persone presenti, ma lei sembrava così presa dal panico da non riuscire a sentire più nulla.

Quando la vidi schizzare all'esterno, scalza, sulla ghiaia affilata, capii che forse non era il caso andarle dietro.

A quel punto l'unica scelta possibile mi parve quella di cercare aiuto.

Perlustrai il salotto alla ricerca disperata della sagoma di King.

Doveva essere da qualche parte in quella sala, non aveva certo avuto il tempo di abbandonare la festa. Lui era veramente l'unico a cui io potessi fare una confessione simile. Infatti, avevo giurato a Big e a Cece che avrei evitato di complicare le cose. E alla fine avevo finito per fare anche peggio di quanto si aspettassero.

Dopo qualche istante, finalmente, lo individuai disteso su un divanetto. Avrei indovinato alla perfezione i grammi precisi di cocaina che aveva tirato dal modo scomposto in cui stava seduto, quasi riverso su se stesso.

«King», lo chiamai già da lontano, per prepararlo all'uragano.

«Amico», si stropicciò gli occhi, «ho finito tutto per stasera.»

«Ti sei sniffato tutto o hai venduto tutto? Perché sono due cose diverse», lo minacciai velatamente, rimanendo in piedi davanti a lui che ancora restava seduto.

«Mi sono fatto soltanto due strisce», alzò gli occhi al cielo, «come puoi vedere sono super in me», mi guardò con quel suo sorrisetto sghembo.

«Devo dirti una cosa e soltanto tu puoi aiutarmi», provai a prendere coraggio.

«Perché hai una protuberanza enorme che ti esce dai pantaloni?», sgranò gli occhi ed io immediatamente abbassai lo sguardo per essere sicuro che non si trattasse del mio cazzo.

Allungò un dito a rallentatore, neanche fosse stato l'Adamo della Creazione della Cappella Sistina. Tastò piano, quasi spaventato che potesse fuoriuscirmi un animale dalla tasca.

«Ma è un reggiseno?», scoppiò a ridere.

«Stavo scopando finché la ragazza con la quale lo stavo facendo non è fuggita», iniziai a raccontare, eludendo per il momento il dettaglio più importante.

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