Prologo - V

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Quindici anni prima

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Quindici anni prima

La sedia di legno strideva sul pavimento in cotto del mio terrazzo.

Quel rumore assordante scandiva l'inizio e la fine della mia felicità.

Lo udivo al tramonto e, poi, come un gesto del tutto involontario, lo riproducevo nuovamente al sorgere del sole.

Era così che le mie giornate si articolavano sin da quando la mia esistenza aveva iniziato ad assumere un senso.

Non ero capace di fare nient'altro che consumare i miei occhi lungo il percorso illuminato tracciato dalle stelle nel cielo scuro della notte, per volgere poi le mie spalle all'alba, composta da quelle luci fin troppo sgargianti per essere tollerate dalle pupille di un cieco.

Tramonto, prime luci del buio, stelle, pianeti, luna, sole flebile, sonno profondo.

E, poi, di nuovo.

Come nell'eterno ritorno nietzschiano.

Lasciavo che il freddo del muro bocciardato alle mie spalle mi intirizzisse le membra.

Alzavo lentamente il capo, stringendo le palpebre così forte da non vedere nient'altro che il nero.

Attendevo un minuto che le mie pupille si abituassero al nulla e, poi, come se non fosse stata un'azione che compivo ogni giorno, allo stesso orario, nello stesso modo, spalancavo gli occhi.

Mi sembrava di essere in grado di vedere per davvero soltanto quando puntavo le mie iridi all'insù.

Ero parte dell'Orsa Maggiore, pezzo inscindibile di Cassiopea, un tutt'uno con la stella Polare, scavato come la Luna, fiamma appiccata da Venere.

Ero tutto ciò che volevo essere, e qualsiasi cosa non sarei mai stato.

Mi sentivo libero.

Credevo di avere una vita intera davanti a me.

E solo allora, in quei frangenti preziosi, mi sembrava possibile decidere per me stesso e per il mio futuro.

L'alba mi ripeteva che così non era, ma fino a quando il cielo nero sarebbe stato tempestato di gemme di luce, io avrei continuato a credere in un epilogo diverso.

Conoscevo a memoria ogni diamante visibile a occhio nudo dal mio emisfero.

Ero giovane, molto più di quanto voi potreste mai immaginare. Eppure, avevo già completato per conto mio studi che persino un uomo con il triplo dei miei anni avrebbe faticato a comprendere.

La solitudine faceva di me un genio.

La mia, però, non era nient'altro che noia.

Tuttavia, una notte che all'apparenza avrei definito, senza neppure averla vissuta, "l'ennesima", una nuova arrivata fece breccia nel mio cielo.

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