Capitolo 18 - Lascia che ci uccida

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Mi toccai le labbra per un totale di cinquantatré volte

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Mi toccai le labbra per un totale di cinquantatré volte.

La prima volta che lo feci fu subito dopo aver ricevuto quel bacio tanto furioso quanto dolce.

E, da quel momento, ogni scusa divenne buona per poter portare i polpastrelli a sfiorarmi la bocca.

Lo feci mentre ballavo con Boobs, mentre vendevo droga agli acquirenti più generosi e al tempo stesso assuefatti di Providence, e persino nel momento in cui mi ero trovato a dover usare uno dei bagni più sporchi dell'intero globo.

Talvolta mi concedevo di poter guardare Dawn.

Quando ero sicuro che Boobs non mi stesse studiando a sua volta, lasciavo che le mie iridi cercassero le sue.

Lei mi sorrideva, mordendosi il labbro inferiore e abbassando il capo come imbarazzata.

Se ne stava lì, accanto a King, seduta nel nostro privé, con l'aria di chi con lo sguardo distratto stesse immagazzinando ogni cosa.

Ogni qualvolta ripetevamo quella scenetta, mi ritrovavo a ricambiare le sue espressioni come se lei fosse stata il riflesso del mio volto.

Combattevo con il cavallo dei miei pantaloni, cercando più volte di placare il desiderio che avevo di lei.

Boobs era quasi sempre nei paraggi e io avevo il terrore che potesse leggermi dentro.

Per quanto volesse fingere di non avere sempre un occhio rivolto a me, io riuscivo a sentirmelo addosso come fosse un tatuaggio. E più continuavo a guardare Dawn, ignorando i sentimenti della mia migliore amica, e più mi sentivo in colpa a desiderare con tutto me stesso qualcosa che le avevo promesso non avrei mai fatto.

Eppure, per quanto l'attenzione nei confronti di Boobs fosse elevata, anche Dawn continuava a essere il centro dei miei pensieri.

Sentivo ancora la sua bocca sulla mia.

La sua lingua che sbatteva contro il palato.

Il modo in cui spingeva la parte inferiore del suo corpo contro la mia erezione incontrollata.

Ricordavo ogni sospiro, persino ogni gemito soffocato.

Me ne stavo appoggiato alla parete, con una bustina di molly tra le mani come fosse un giocattolo con cui passare il tempo, e gli occhi fissi sui nostri ricordi.

Mi distrassi riflettendo su quanto quello avrebbe potuto essere senza dubbio uno dei frangenti più complicati della mia vita, diviso tra due attrazioni opposte ma così simili. In realtà, per quanto quel momento si fosse rivelato ostico, qualche secondo più tardi si dimostrò soltanto il preludio di un problema veramente grosso.

«Vega», King urlò all'improvviso nel mio timpano sinistro, «ti prego non uccidermi», aggiunse, malgrado mi fossi ritratto spaventato.

Sbattei lentamente le palpebre, come a prendermi quell'unico istante necessario per tornare alla realtà.

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