Capitolo 9 - Il silenzio della felicità

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Sin da quando ero bambina, la musica era stata una parte importante della mia vita

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Sin da quando ero bambina, la musica era stata una parte importante della mia vita.

Non avevo mai fatto caso ai nomi degli artisti, al loro genere di appartenenza, né tantomeno alla popolarità che le loro canzoni potevano avere nel momento in cui le ascoltavo.

C'erano soltanto due elementi che, talvolta l'uno, talvolta l'altro, erano necessari a catalizzare la mia attenzione.

In periodi particolari avevo bisogno di parole profonde che potessero in qualche modo esprimere al posto mio ciò che non avrei mai saputo pronunciare, in altri momenti, invece, tutto ciò di cui necessitavo era un ritmo frenetico che potesse farsi specchio delle mie vittorie.

Quando riproducevo i brani di ElleR venivo rapita dalla sua voce e dalla verità che le sue parole cercavano di nascondere dietro un milione di simboli diversi; al contrario, non appena mi capitava di ascoltare un motivo coinvolgente, non facevo altro che muovere il mio corpo cercando di imitarne l'andatura.

Da anni, ormai, quando avevo voglia di esprimere le emozioni positive che sentivo di star vivendo, mi capitava di ascoltare più volte al giorno su spotify: Hipnotized dei Purple Disco Machine e di Sophie and the Giants.

Quella canzone pareva perfetta proprio per quel momento.

Ero tornata da poco nell'appartamento che dividevo con Cece, contenta di come fossero andate le cose nelle ultime ventiquattro ore. Quando avevo usato quella chiave inglese per innescare gli eventi che mi avevano portata a passare la notte a casa di Vega, non avrei mai potuto ipotizzare quanto soddisfacente sarebbe stata la mia permanenza.

Per quella ragione mi sentivo più euforica di quanto non lo fossi da secoli.

Tempo addietro, mi concedevo attimi come quello che stavo per vivere molto più spesso.

Ma, da quando le cose erano cambiate, avevo smesso di farlo con una cadenza regolare.

Erano rare le volte in cui mi sentissi pronta a festeggiare per qualche obiettivo.

L'ultima occasione era stata proprio quando avevo saputo di essere stata ammessa alla Brown. Senza quel traguardo, infatti, non avrei mai potuto innescare il piano che mi avrebbe permesso di ottenere la mia vendetta.

Avevo già indossato rapidamente una gonna di jeans a vita altissima, con uno spacco vertiginoso lungo la coscia, mentre il mio petto era coperto soltanto da una reggiseno in pizzo bianco. 

Essendo già praticamente pronta, avendo ancora molto tempo a disposizione, decisi di alzare al massimo il volume della mia cassa bluetooth, e iniziai a muovere il corpo come se fosse percorso da spasmi incontrollabili e come se io non fossi sull'orlo di uno svenimento ogni qualvolta mi permettevo di sprecare più energie di quante ne avessi per fare sforzi simili.

Ero da sola in casa e quale istante migliore di quello sarebbe potuto essere azzeccato per sfogare tutte le mie aspettative in quel ballo improvvisato.

I'm coming home

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