Capitolo 1 - Grace

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La sveglia suonò, ma io ero in piedi già da un pezzo.

Non ricordavo quando era stata l'ultima volta in cui ero rimasta a poltrire nel letto.

Dormire sembrava essere diventato un lusso.

Sbuffando, mi diressi verso il letto e spensi l'oggetto rumoroso. Avevo già mal di testa e non erano nemmeno le sei.

Mi concessi il tempo necessario per agganciare l'orologio al polso e afferrare il taccuino che tenevo sempre a portata di mano. Ero un tipo vecchio stampo. Preferivo appuntarmi tutto nella mia usurata agenda e non trascrivere ogni appuntamento sul pc o sul tablet. Odiavo girare con quei così infernali nella borsa poi, l'unica che aveva accesso all'agenda ero io, mentre scrivere qualcosa su un qualsiasi dispositivo tecnologico significava diventare rintracciabili.

Cielo, ragionavo come una mafiosa.

Eppure, quando si trattava di custodire i miei segreti, ma anche quelli dell'uomo per cui lavoravo, mettevo in pratica ogni precauzione possibile.

Tirai il laccetto che usavo come segnapagina e gli impegni della giornata mi apparvero davanti.

H 8:00 am Briefing con Governatore

H 9:30 am Riunione Centro igiene pubblica

H 11:00 am Meeting Centri di Primo Soccorso

In realtà, quelli erano appuntamenti del Governatore Alec Peterson e non i miei. Io mi limitavo ad assisterlo in ogni cosa potesse aver bisogno.

H 12:00 Bruch mamma

Lo stomaco si annodò. I polpastrelli iniziarono a prudermi per la voglia di afferrare la penna e cancellare quell'ultima nota.

Chi è che mette la propria madre nella lista degli impegni giornalieri?

Il fatto che la mia ci fosse, diceva molto su di me, o su di lei.

Odiavo l'idea di bruciare un'ora della mia giornata a farmi rimproverare aspramente su quanto poco fossi realizzata nella vita, sulla mia messa in piega moscia o sul colore delle mie unghie che non erano adatte a una come me.

Che poi, come doveva essere una come me?

La domanda interiore mi spinse a sollevare lo sguardo sullo specchio che avevo davanti. Quello che vidi non mi piacque per niente. Ero... plastificata. Tailleur stirato in modo magistrale, di una tonalità che non mi faceva rimanere sullo sfondo, ma che non era nemmeno pretenziosa. La lunghezza arrivava a metà ginocchio, come era richiesto dal "bon ton della segretaria modello". Le scarpe venivano direttamente dall'epoca scorsa, con quel tacchetto un po' largo e non troppo alto che rispecchiava la forma anonima che mi ero cucita addosso. Trucco naturale, per coprire le imperfezioni, ma non per apparire migliore. I capelli castano ramato, che fino a qualche tempo prima erano lunghi fino al sedere, avevano una lunghezza media. Riuscivo ancora a legarli in uno chignon basso, ecco spiegato uno dei motivi del mal di testa.

In una parola, apparivo gelida.

Santo cielo, somigliavo a nonna Dorotea.

Lo stomaco si strinse in uno spasmo al solo pensiero. Quello che mi ero fatta era un insulto bello e buono e, se mia nonna fosse stata ancora viva, vedendomi, avrebbe tirato fuori il suo frustino preferito e mi avrebbe bacchettato alle cosce.

Odiavo quando da piccola lo faceva.

Era mortificante, oltre che antieducativo.

Ero cresciuta nel terrore di sbagliare, con la paura di non essere mai abbastanza e con la puzza sotto al naso. La mia famiglia era abbastanza in vista, ecco perché, secondo loro, era assolutamente sconveniente che io facessi la segretaria.

Per loro, il fatto che fossi l'assistente personale del Governatore del Montana, Alec Peterson, equivaleva a una figuraccia pubblica. Gli Smith erano grandi avvocati, notai, politici influenti. Erano loro che guidavano e non che venivano guidati.

Dio, quanto era stancante la mia vita.

Avevo sentito spesso Samantha, la moglie del Governatore, etichettarmi come una Despota. Il cuore si era sentito punzecchiare, ma non me l'ero presa più di tanto. A quanto pare, la ragazza non aveva metro di giudizio e se avesse visto mio padre mi avrebbe giudicata come la donna più divertente del mondo.

Con una smorfia stampata in viso, lasciai la camera da letto e mi diressi in cucina. Il mio appartamento era immacolato e... anonimo, proprio come me. Niente foto. Niente colori. Tutto era nel tono del beige, le pareti erano spoglie eccetto per un Mondrian dipinto con tonalità grigie che mia madre aveva insistito per appendere.

Sapevo che, aprendo il frigo o la dispensa, non avrei trovato altro che cibo bio e dietetico. Prodotti saturi di grassi e senza zuccheri aggiunti.

Mi piaceva mangiare salutare? Sì, ma non ai livelli maniacali a cui mi avevano abituato.

E sì sa, che le brutte abitudini sono dure a morire.

Ci avevo provato, giuro. Almeno una volta l'anno mi prendeva quella che chiamavo "Febbre della Ribellione." Riempivo il frigo di schifezze, l'armadio di vestiti appariscenti. Una volta aveva anche comprato un cuscino a forma di cacca gigante. Purtroppo per me, questi periodi duravano troppo poco. Il senso di colpa iniziava a risalirmi le vene e tutto ciò che avevo acquistato finiva nel cestino dei rifiuti o donato ai senza tetto.

Lasciarmi andare sembrava qualcosa che ero incapace di fare.

Il mio unico, vergognoso, inconfessabile, segreto, era sotto ai vestiti. Il mio intimo avrebbe potuto competere con quello di una spogliarellista. Adoravo i laccetti, le cose provocanti. Mi piaceva sentirmi sexy, anche se in un modo in cui gli altri non avrebbero potuto vederlo.

Il mio corpo non era niente di che, ma si poteva definire accettabile. Taglia medium, quasi un metro e settanta, terza coppa C di reggiseno.

Una donna normale che non sarebbe riuscita a spiccare nella massa. Proprio quello che volevo. Odiavo sentirmi osservata.

Quel pensiero portò la mia fantasia a scontrarsi direttamente con un paio di occhi scuri che mi mettevano a disagio più di quanto avrei mai ammesso.

Dylan McLogan.

La mia nemesi.

L'uomo che riusciva a farmi sentire nuda anche avvolta da numerosi strati di vestiti.

Odiavo ammettere quanto quel tipo riuscisse a mettermi a disagio. Avrei volentieri fatto a meno di incrociare la sua strada, ma purtroppo per me, era uno dei gorilla che proteggeva il Governatore.

Dove andava uno, andava l'altro. E dove c'erano loro, ahimè, c'ero anche io.

Riportai lo sguardo di scatto all'agenda e fissai l'ultimo appuntamento della giornata.

H 17:00 pm Riunione Squadra di Sicurezza

Cielo.

Quel giorno, la mia proverbiale calma fredda sarebbe stata messa a dura prova. Per un attimo, valutai l'idea di darmi malata.

Non ci sarei mai riuscita, lo sapevo anche io. Senso del dovere o qualche cazzata del genere, ma quanto mi sarebbe piaciuto poterlo fare.

Sbuffando, chiusi di scatto l'agenda e la gettai nella tracolla che mi trascinavo sempre dietro. Era ora di calare di nuovo la maschera e affrontare il mondo.

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