Anastasya
Cadice - 12 anni
Il sangue avvolge la mia sorellina come fosse una coperta calda, respira a fatica e io non posso fare nulla.
Gli uomini che hanno ucciso la mamma e il papà mi trascinano via.
«Trixy» urlo forte fino a sentire le fiamme bruciare nella gola «Trixy ti ritroverò! Non avere paura piccola libellula»
Lei mi guarda con occhi vitrei e l'uncino per le unghie stretto nella mano. Vorrei abbracciarla e stringerla forte a me, chissà come sarà spaventata.
Non voglio lasciarla sola in questo posto.
Sono triste perché hanno appena ucciso i nostri genitori ma è lei quella che mi preoccupa di più. Bea non vive senza di me e io non vivo senza di lei.
Siamo l'una il respiro dell'altra.
Le lacrime calde che solcano il mio viso mi annebbiano la vista finché la mia piccola libellula dai suoi grandi occhi neri non c'è più.
Vengo scaraventata all'interno di un furgone e penso che questi uomini stiano per uccidere anche me, ma non voglio arrendermi. Non posso e lo devo fare per Bea che è stata così coraggiosa nel difendersi da queste bestie.
Non ha esitato nemmeno un secondo.
È stato nostro padre a insegnarci a combattere e io sono così fiera di lei.
Sento il fiato sul collo di uno dei miei rapitori mentre sto di schiena sulla lamiera fredda del furgone. Le ruote stridono sul terreno sballottandomi a destra e sinistra mentre uno dei miei carcerieri mi infila la mano sotto la maglietta.
«Deve restare vergine, non fare cazzate o Romero Santana ci ucciderà tutti» sbraita il tizio alla guida.
«Sua sorella ha ucciso Perez, mi prenderò qualcosa in cambio. Tranquillo, ci sono molti buchi che possono essere riempiti» emette una risata profonda mentre le sue dita indugiano sul bordo dei miei leggings ma quando sta per tirarli giù, mi roteo sui fianchi e aggancio il suo collo con le gambe.
E stringo, stringo forte.
Mi giro mettendomi al lato del corpo dell'uomo che lotta con le mani aggrappate sulla mia coscia per racimolare aria.
Stringo sempre di più.
«Cazzo lo sta uccidendo!» sbraita un altro carceriere che scavalca i sedili anteriori e precipita sopra di me.
Cerca di sganciarmi dal suo amico ma la rabbia è più forte e le mie gambe non lasciano la presa.
«Non ti azzardare a ucciderla!» urla quello alla guida.
«Datemi una mano, porca troia. Questa ragazzina è indemoniata»
«È stata cresciuta da Garcia De La Cruz, cosa ti aspettavi?» lo sento ridacchiare mentre l'uomo intrappolato tra le mie cosce sta lentamente smettendo di respirare e il tizio alle mie spalle mi toglie le mani di dosso. Come se si stesse godendo tutta quella scena.
Appena la mia vittima esala l'ultimo respiro mi allontano e inizio a tremare rannicchiata in un angolo con la testa in mezzo alle ginocchia.
Ho il respiro corto e le gambe addormentate.
È così che ci si sente dopo aver ucciso qualcuno?
Papà ci aveva preparato a questo momento ma io sento la mia anima scivolare via lontano dalla mia vita. Si sgretola e la sensazione che niente tornerà più come prima mi buca lo stomaco.
«Va bene, stronzetta» dice il carceriere che torreggia sopra di me. Mi schiaffeggia forte facendomi sbattere con la testa sulla lamiera, poi sfila dal suo marsupio una siringa e in un lampo l'ago si ficca nel mio collo «fine dei giochi».
*
La testa mi esplode e nelle mie orecchie un dolore acuto mi stordisce.
Apro gli occhi e osservo una stanza asettica intorno a me con un oblò alla mia destra.
Credo di essere sopra una nave.
Scivolo con le gambe fuori dal letto mentre con le dita mi premo le tempie. Sento freddo e i miei ricordi sono confusi.
Trixy ha ucciso un uomo.
I nostri genitori sono morti.
Una voce ronza nel mio cervello e di colpo mi viene da vomitare.
Mi piego in avanti ma dalla bocca mi esce solo saliva acida.
«Mija» figlia mia, mi dice una voce fredda mentre la porta di metallo si apre con un rumore violento. Alzo lo sguardo sull'uomo che ora si trova a pochi centimetri dalla mia faccia. L'inchiostro dei tatuaggi ricopre le sue braccia e le mani callose, mentre la pelle olivastra sovrasta alcuni disegni.
Allunga una mano sulla mia faccia e i suoi polpastrelli stringono le mie guance scuotendomi il viso «sei identica a quella puttana di tua madre» mi sputa in faccia e mi dà una spinta che mi fa cadere di schiena sul letto.
Mi rialzo e lo guardo in cagnesco.
«Chi sei? Cosa vuoi da me?» gli ringhio in faccia ma lui ride e mi molla uno schiaffo sulla guancia così forte che mi spacca un labbro. Tocco con i polpastrelli il rivolo di sangue e gli do un calcio in mezzo alle gambe che lo fa appena trasalire.
«Sei mia figlia e farò di te quello che mi pare» mi afferra per il colletto della lunga maglia bianca che indosso e mi stringe i polsi con entrambe le mani.
«Mio padre è morto e tu mi fai schifo. Ridammi mia sorella!» urlo più forte tentando di liberarmi ma senza riuscirci.
«Juan, vieni qua» grida a qualcuno fuori dalla cabina della nave.
Un uomo pelato e alto dalla carnagione scura entra nella stanza rivolgendosi al tipo che dice di essere mio padre con sottomissione.
«Chiama Vadim Volkov e digli che entro domani porteremo mia figlia alla scuola cattolica. Sia chiaro...»si volta e lo fissa con aria minacciosa «voglio la sua verginità intatta fino al giorno dell'asta. Frutterà più soldi»
Il tipo alle sue spalle annuisce e ci lascia da soli chiudendosi la porta alle spalle.
Non riesco a trattenere le lacrime e non so come andarmene da questo posto.
«V-voglio Trixy» balbetto con le lacrime che scendono a flotte sulle mie guance «riportami mia sorella» gli dico quasi supplicandolo.
Lui mi lascia i polsi, prende un bicchiere pieno di acqua e mi obbliga a ingoiare una pasticca.
«Tu non hai una sorella» sentenzia.
Sento freddo.
Molto freddo.
E mentre le palpebre iniziano a chiudersi nella mia mente il ricordo di Bea vortica come un tornado.
Ti ritroverò, piccola libellula. Tu non avere paura.
Ci siamo...
Sascia è arrivato.
Buon divertimento, il Diavolo della California è tutto vostro.
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𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖈𝖎𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3
RomanceMolti pensano che io sia il diavolo in persona, per questo in tribunale mi faccio chiamare Michail come il demone di un famoso poema romantico della letteratura russa. Non sanno che mi faccio chiamare così perché, proprio come quel demone, penso di...