Capitolo 3

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SASCIA

29 anni


«Il mio assistito non era sulla scena del crimine quella sera.»


La mia voce è calma, misurata, ma carica di una sicurezza che riempie ogni angolo dell'aula. Ogni sillaba è una sentenza scolpita nella pietra.


«Si trovava a New York, nella stanza di un hotel, con una donna. Ecco a voi le prove, Signor Giudice.»


Lascio cadere il dossier sulla scrivania con la leggerezza di chi sa di avere già vinto. Un gesto semplice, quasi casuale, ma carico di potere.


Il giudice sgrana gli occhi, la confusione gli attraversa il viso come un'ombra improvvisa, e nella giuria serpeggia un mormorio trattenuto. Non se lo aspettavano, nessuno si aspettava questa mossa.


Tranne Rafael.


Lui sorride, un lampo di soddisfazione negli occhi scuri, mentre si passa le dita sulla barba crespa e con l'altra mano si stringe la cravatta, rilassato, sicuro di sé. Sa già di aver vinto, che sono stato io a rendere possibile tutto questo, e che da questo momento in poi, la sua vita mi appartiene.


Ho costruito la sua difesa come una fortezza, solida e inattaccabile, incastrando prove e alibi come pezzi di un puzzle che nessuno potrà mai smontare. Ho spianato la strada verso la sua libertà con una perfezione che rasenta l'arte.


Non ho mai rappresentato uomini mafiosi, non perché abbia scrupoli morali, ma perché non ho mai avuto bisogno di alleanze di questo tipo. Io non rispondo a nessuno e non mi piego.


Ma questa volta è diverso, è personale.


Rafael Russo non è altro che una pedina nel mio gioco, una leva da usare per spezzare la famiglia Colombo dall'interno, per aprirmi un varco nella loro fortezza e trascinare fuori la loro Giulia, che hanno usato come un'arma per colpirmi.


Per due mesi mi hanno tenuto lontano da mio figlio, mi hanno costretto a corrompere giudici e giurie, a infilarmi nei meandri più marci del sistema per rimettere a posto ciò che avevano distrutto. Due mesi in cui l'ho visto spegnersi, in cui ho visto i suoi occhi riempirsi di rabbia e dolore, in cui ho sentito la sua anima farsi a pezzi sotto il peso di un'accusa che non meritava.


Mio figlio non è uno stupratore. Non lo sarebbe mai stato, non dopo quello che ha vissuto.


Ma la vergogna, la rabbia, il veleno di quell'ingiustizia gli si sono incrostati addosso come una maledizione, e io non potevo permettere che fosse questo a definirlo. Dovevo ripulirlo, dovevo dargli la sua vendetta, e l'ho fatto.


Eppure, non basta.


Voglio che quella stronza crolli, voglio che si inginocchi davanti alla California intera e ammetta di aver mentito, che è stata costretta, che ha distrutto la vita di un uomo innocente solo per obbedire a un padre che l'ha sempre considerata niente più che un pezzo degli affari di famiglia.



E voglio che lo faccia non una volta, non dieci, ma cento, mille, all'infinito, fino a quando il peso delle sue bugie la schiaccerà del tutto e a quel punto, Rick potrà riprendersela.


Se lo merita, e io non accetterò niente di meno della sua completa redenzione.



Le ore passano. Il giudice e la giuria si ritirano per deliberare, e quando tornano in aula la sentenza cade come un sigillo già scritto nel destino.


«Dichiariamo Rafael Russo... innocente.»


Rafael si alza, un sorriso soddisfatto che gli increspa le labbra mentre si avvicina a me appena fuori dal tribunale, un sigaro tra le dita e lo sguardo di chi ha appena vinto una guerra.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora