ANASTASYA
19 anni
«Resto con te stanotte, non ti lascio da sola»
Ho accompagnato Giulia nel suo appartamento sulla costa. È così piccolo e confusionario che mi ricorda lei.
Non avevo nessuna intenzione di lasciarla stanotte, visto che il Diavolo della California l’ha riconosciuta non ha senso starle lontana.
Giulia trema e ha gli occhi gonfi. Sono riuscita a stento a calmarla.
«Devo andarmene, Ana. Passami la borsa così chiamo mio fratello» si appoggia sul letto e allunga una mano all’interno della tracolla di pelle per prendere il suo cellulare.
«Non puoi tornare dalla tua famiglia, sei scappata da loro. Non ti farò commettere questo sbaglio»
Con le dita tremolanti spinge sul display la cornetta vicino al numero in memoria di suo fratello. Riesco a leggere il nome: Toni Colombo e un cuoricino segue le lettere.
Deve volergli bene, almeno a lui.
«Tu non capisci, preferisco tornare in quella famiglia e subire…»si blocca e si morde un labbro per aver provato a dirmi qualcosa che non doveva dire «.. Ana, la mia famiglia non deve sapere che mi ha trovata, altrimenti lui mi costringerebbe di nuovo a fargli del male. Tieni la bocca chiusa per me non appena arriva mio fratello»
Cambia discorso e supplica suo fratello di venirla a prendere.
Lui chi?
E perché suo fratello non deve sapere nulla?
Questa ragazza è così chiusa che ha di sicuro un passato tremendo quasi come il mio. E considerando che fa parte di una delle famiglie mafiose più terrificanti della California, deve essere successo qualcosa di brutto per avere avuto il via libera ad andarsene da casa e cambiare cognome.
«D’accordo, ma calmati adesso» accenna un lieve sì con la testa e le accarezzo i capelli.
Se solo ripenso alle parole di quello stronzo mi viene voglia di andare a cercarlo per fargliela pagare.
L’inferno si inchinerebbe al tuo cospetto.
Ma chi cavolo si crede di essere.
Mi guardo intorno e forse mi sta venendo un’idea di merda, ma la voglia di stare lontana dai miei genitori non mi lascia la mente. Non ho dimenticato la telefonata di mio padre con quel tizio.
«Posso rimanere nel tuo appartamento mentre non ci sei? »
Mi guarda di sottecchi abbassando con l’indice i suoi occhiali sulla punta del naso.
«Tu vuoi rimanere qui da sola con quel diavolo alle costole?» faccio spallucce, non ho paura di lui «Lasciatelo dire, amica mia, tu sei pazza»
Lo so, so quanto questo possa sembrare folle ma per qualche strana ragione a me sconosciuta, lui non mi terrorizza.
E non è per via della strana attrazione che provo nei suoi confronti, è perché so che non mi farà del male.
I suoi occhi erano fuoco puro mentre stringeva le mie spalle con i suoi polpastrelli.
Aveva la stessa intensità del mio lui.
Non lo so, forse sono davvero pazza.
«Ti pagherò l’affitto Giù, e quando deciderai di tornare me ne andrò» le dico anche se al momento dubito stia dando peso alle mie parole.
«Non scherzare, questa è casa tua. Non voglio i tuoi soldi ma promettimi di stare attenta»
Nonostante abbia altro per la testa si preoccupa per me.
Sussulto al suono del campanello, non sono passati nemmeno dieci minuti da quando ha chiamato suo fratello. Deve essere arrivato.
Apro la porta e due occhi neri mi scrutano da capo a piedi. Un ragazzo alto un metro e novanta dalle larghe spalle incombe su di me e non la smette di fissarmi, tanto che sento il mio respiro accorciarsi.
Ha i capelli tirati indietro di un colore scuro e i suoi abiti eleganti rendono giustizia al suo carisma che mi sovrasta.
Questo ragazzo col suo fascino riuscirebbe a portare ogni donna ai suoi piedi.
Ha gli stessi tratti di Giulia, ma non la sua personalità.
«Dov’è mia sorella?» con una manata spalanca la porta e si precipita da Giulia non appena la vede.
Le sue braccia possenti la circondano e la mia amica riprende a singhiozzare.
«Chi ti ha fatto del male, è stato lui?»
Ma lui chi? Di chi diavolo parlano?
«No, sono settimane che non lo vedo. Ma portami via, voglio tornare a casa» lo supplica lei, mentre mi avvicino a loro.
«Se non è stato lui allora chi? Ti ha trovata Kovalenko, giusto?» la incalza lui ma Giulia è irremovibile. Non dice una parola.
Preparano le valige in silenzio e quando hanno terminato lei mi viene incontro e mi abbraccia.
«Promettimi che mi chiami se ti trovi in difficoltà» bisbiglia nel mio orecchio.
«E cosa puoi fare da Los Angeles?» domando con gli occhi lucidi. Non voglio che se ne vada e so di essere egoista in questo momento, ma senza di lei non ho davvero più nessuno.
Dopo tanti anni passati a provare ad adattarmi alla vita di una ragazzina adottata e recuperare la mia sanità mentale, avevo trovato finalmente un’amica.
«Mio fratello sembra cattivo come tutta la mia famiglia e il resto dei miei fratelli, ma è buono e ti aiuterà. Come ha aiutato me»
Annuisco sul suo viso mentre mi asciugo una lacrima.
«Come ti chiami?» mi domanda suo fratello Toni con un lieve accento italiano.
«Ana» rispondo con lo sguardo aggrappato nei suoi occhi.
«Grazie» mi dice e mi accarezza il viso poi vanno via chiudendo la porta alle loro spalle.
Resto da sola in silenzio ad ascoltare il ruggito delle onde infrangersi sulla spiaggia.
La finestra che dà sul mare si spalanca con una folata di vento che mi sposta i capelli.
Metto un piede davanti all’altro e mi tuffo sul morbido materasso.
Passerà anche questa, Ana. Ripete la voce nella mia testa mentre precipito in un sonno profondo.
Mi risveglio con il sole che illumina il mio viso e la testa rilassata. Non mi ricordo di aver dormito così bene da non so quanto tempo.
Allungo una mano sul comodino al mio fianco e trasalisco quando tocco qualcosa di spinoso che punge le mie dita.
«Ahi» cazzo.
Ritraggo la mano e porto l’indice sul labbro per dargli sollievo. Mi sollevo per guardare che cosa mi ha punto e vedo una rosa nera con un lungo stelo adagiata sulla superfice di legno.
Raddrizzo la schiena e osservo la stanza intorno a me. Mi alzo in piedi e quando capisco che è tutto in ordine, tiro un sospiro di sollievo.
Forse era già lì, Ana.
Quella rosa non conta nulla, anche se nella mia testa iniziano a prendere vita scenari improbabili.
Non può essere stato lui. È sparito dalla mia vita dopo avermi distrutta in mille pezzi e intimato di non farmi toccare da nessun altro uomo.
A interrompere il filo dei miei pensieri ci pensa un rumore brusco sulla porta di casa, qualcuno sta bussando con prepotenza e sembra che abbia voglia di spaccarla in due.
Il mio intuito mi dice che non si tratta di mio padre e non so perché ho lo strano presentimento che la persona aldilà della porta cerchi la mia amica.
Allungo una mano e apro senza pormi il problema, chiunque sia lo affronterò al posto di Giulia.
Un ragazzo dai capelli corvini che gli ricadono sulla fronte e due occhi blu come un mare in tempesta, si precipita in casa.
«Dove cazzo sta?» gira per il piccolo appartamento scaraventando in terra tutto quello che si trova sotto mano.
Resto a fissare i suoi bruschi movimenti mentre la sua aura sprigiona furia.
Mi appoggio allo stipite della porta con la schiena e incrocio le braccia al petto.
«È andata via. Non vive più qui» dico con calma e lui si volta lentamente verso di me.
Mi fissa di traverso come se volesse annientarmi da un momento all’altro e non so perché, ma non mi fa paura nemmeno lui.
Sembra Sascia Kovalenko in miniatura.
Miniatura per modo di dire, visto che è alto e possente almeno quanto il padre, nonostante non sia suo figlio di sangue.
Forse crescere con lui lo ha reso tale e quale, compresa la sua arroganza.
Si precipita addosso a me e mi mette una mano sul collo spingendomi sulla parete.
«Dove sta?» ringhia sul mio viso.
Stringo forte gli occhi e prendo un bel respiro.
«Tu devi essere Rick, giusto?»
Ha tutti i motivi per essere incazzato, ma se la sta prendendo con la persona sbagliata.
«Vedo che ti ha parlato di me, quindi ti consiglio di dirmi dove è andata prima che possa prendermela con te»
Nei suoi occhi lampeggia una tempesta, potrebbe uccidere un orso polare se dovesse ritrovarselo di fronte, eppure qualcosa mi dice che non mi farebbe mai del male.
«E io ti consiglio di togliermi le tue mani di dosso prima che possa tagliarti la gola»
Gli spingo l’uncino per le unghie sulla carotide facendo pressione.
Ce l’ho sempre con me, per ogni evenienza. Questo minuscolo oggetto mi ricorda qualcosa del mio passato che mi provoca un senso di autodifesa innato, come se servisse a salvarmi la vita. E non so perché, il fatto che io me lo porti sempre dietro mi fa sentire al sicuro.
Rick sgrana gli occhi incredulo della mia mossa e si stacca da me, in un lampo si è reso conto della stronzata che stava facendo. E non perché io gli mettessi paura, dubito che qualcosa possa fargliene, ma perché come pensavo, non sarebbe mai in grado di torcermi un capello.
«Scusami non volevo» si limita a dire e si stacca da me. Si mette seduto sul bordo del letto e con evidente nervosismo si passa le mani sul viso e poi tra i capelli.
Mi siedo al suo fianco.
«L’ha portata via suo fratello, non so dove siano andati» non direi mai a questo tipo dove si trova, anche se davvero non ne so nulla.
I suoi occhi si scuriscono e quasi mi sembra di intravedere una scintilla di dispiacere profondo.
Un dolore celato dietro quel blu oceanico.
Lui la ama ancora, nonostante la sua rabbia.
«Vattene, Rick. Questa è casa mia adesso e lascia in pace Giulia»
Al mio avvertimento la sua rabbia riprende il sopravvento. Con un gesto rapido afferra il mio polso e stringe forte.
«Non hai la più pallida idea di cosa mi abbia fatto passare quella stronza della tua amica, e non mi placherò finché non la troverò. Sta sicura che quel giorno arriverà e le restituirò con gli interessi tutto il male che ha osato infierirmi» sbraita sulla mia faccia.
«La tua rabbia ti rende cieco, e questo ti si ritorcerà contro. Ti avviso per l’ultima volta Rick, esci da questa casa e sta lontano da lei» gli pianto l’uncino sulla spalla e mi stacco da lui.
Osserva il piccolo pezzo di metallo che sporge dal tessuto nero della sua maglia e lo impugna con una mano, poi se lo stacca dalla carne e ride.
«Non so perché, mi ricordi qualcuno» dice con calma.
Tocca il sangue che fuoriesce dalla ferita con due dita e poi le passa sulla mia faccia per lasciarmi un segno «E non lascerò in pace nessuno, stronzetta»
Continua a ridere provocando in me una sorta di reazione sconsiderata, perché se lui è il figlio del Diavolo della California non può essere tanto diverso da suo padre.
Inevitabilmente mi ritrovo a pensare a quelle parole.
L’inferno si inchinerebbe al tuo cospetto.
Prendo la lampada e gliela tiro dietro ma lui si toglie con una scaltrezza che mi lascia di stucco. È stato rapido come se avesse calcolato la mia mossa ed è riuscito a schivare il colpo.
«Vaffanculo, e dì a quello stronzo di tuo padre di non avvicinarsi più a me» gli urlo addosso.
Rick ride ancora.
«Mio padre non si piega a nessuno. Sarai tu a piegarti a lui» sogghigna mentre si preme la ferita con la mano.
«Non succederà mai!» sbraito sulla sua faccia.
Lui si china pericolosamente vicino al mio orecchio prima di sussurrarmi :«è già successo, stronzetta» e se ne va.Quanto ci metterà la nostra Lilith a capire chi è il vero Diavolo della California?
STAI LEGGENDO
𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖈𝖎𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3
RomanceMolti pensano che io sia il diavolo in persona, per questo in tribunale mi faccio chiamare Michail come il demone di un famoso poema romantico della letteratura russa. Non sanno che mi faccio chiamare così perché, proprio come quel demone, penso di...