Capitolo 2

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ANASTASYA

19 anni



Cercare di dare un senso alle cose è del tutto impossibile.

E quando provi a darlo alla tua cazzo di vita di cui ti ricordi solo la metà dei tuoi giorni esistenziali, beh allora vuol dire perdere tempo.

Una bella mattina ti svegli e ti ritrovi ad avere solo frammenti che vagano nei tuoi ricordi senza un filo logico. A rincarare la dose ci si mette il senso di nausea che provo ogni volta che ingoio il magone che mi attanaglia la gola e mi toglie il respiro. Proprio come adesso, mentre sto finendo di sistemare la cucina del Roger Bar, la tavola calda sulla statale di San Diego dove lavoro da un anno.

Non ho avuto mai la forza di terminare i miei studi nonostante mi piacesse da morire farlo, ma è inutile completare un processo senza averne portato a termine un altro. E io più di tutto voglio ritrovare il mio passato e quella sorella che sento di aver perduto.

Ma è viva.

Il mio cuore lo sa.

Ti voglio bene, Stixy. Mi diceva.

Sei la mia piccola libellula. Le rispondevo.

Frammenti di dialoghi sconnessi vorticano nella mia testa e mi provocano un mancamento. Succede sempre così ogni qual volta che mi sforzo di ricordare. Le medicine non servono a nulla.

Mi appoggio con una mano al lavello e mi spruzzo un po' di acqua sul viso, poi mi asciugo con uno straccio pulito e torno al bancone.

«Stai bene?» mi domanda Giulia, la mia collega, e da qualche mese anche la mia unica amica. A quanto pare ha problemi molto più grandi dei miei, di cui non vuole parlare, e questo la rende meno impicciona di tante altre ragazze che hanno provato a essermi amiche.

Le uniche bambine, adesso diventate adulte, con cui avevo legato nella scuola cattolica non so che fine abbiano fatto. Tranne Alys.

Ma nonostante sappia dove si trovi adesso, non ho mai avuto il coraggio di andare da lei.

Significherebbe tornare con la mente in un luogo in cui mi rifiuto di inoltrarmi di nuovo.

So che lei non c'entra nulla, ma me lo ricorda e non posso farci niente.

A volte il cervello ti fa ricordare solo quello che vorresti scordare.

Già.

«Sto bene G., grazie» le mostro un ampio sorriso e vedo il suo sguardo torvo puntare sull'uomo al tavolo tre, poco distante da dove stiamo noi.

È un avvocato che viene al Roger tutti i giorni e i suoi occhi blu come l'oceano puntano sempre nella mia direzione penetrandomi fin dentro le ossa.

I suoi capelli folti e neri pettinati di lato con poco gel, risaltano le sue ciglia a ventaglio e la sua mascella cesellata.

È tanto affascinante quanto oscuro e mi sento attratta da lui ogni volta che ricambio il suo sguardo.

Quelle iridi mi mangiano viva, mi inghiottono come delle dannate sabbie mobili e riversano su di me un senso di eccitazione innata che ho provato una volta sola nella mia vita.

Con il mio padrone.

E so che se lui fosse qui in questo istante e si renderebbe conto di come guardo un altro uomo, mi ucciderebbe.

«Ana, ci sei? Smettila di fissarlo» mi redarguisce Giulia spintonandomi.

Ana.

L'unico pezzo del mio nome che ricordo.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖈𝖎𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora