capitolo 7

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SASCIA
Oggi



Il mio piccolo demone della tempesta ha deciso di andarsene di casa.
La casa che avevo trovato per lei il giorno in cui l’ho salvata.
Non avevo idea all’inizio che quell’uomo fosse coinvolto con gli affari dell’Associazione, pensavo di aver scelto una famiglia amorevole che meritasse una figlia tanto quanto Lilith meritasse dei genitori. Aveva bisogno di stabilità e di ricominciare a costruire dei ricordi, anche quelli del passato che non riusciva a trovare nella sua mente.
Il tempo sufficiente che io tornassi a reclamarla dopo la sua maggiore età.
L’avevano imbottita di pastiglie per farle perdere la memoria, una sostanza che oltre a renderla succube delle perfidie della scuola cattolica, le aveva strappato ogni particella del suo passato.
Alys mi aveva raccontato tutto di lei prima che quel giorno all’asta andassi a cercarla.
Ma quello che non mi aveva detto era che quell’insulsa ragazzina sarebbe stata in grado di rendermi completamente tramortito dal suo sguardo.
Innocente.
Puro.
Ipnotico.
Quel giorno di fine maggio mi recai all’asta dell’Associazione. Dopo vari tentativi di inserirmi nei loro affari, riuscii finalmente a entrare nelle loro grazie.
Per fortuna ci stavo lavorando da anni, per cui è stato facile partecipare a quell’evento nel giro di pochi giorni.
Le amiche di Alys dovevano essere in quattro, ma per via di qualche soffiata ne vennero vendute tre ancor prima dell’evento. Nonostante gli agganci che avevo e le conoscenze in ogni ramo della società Californiana, riuscii a fare ben poco per loro visto che dovevo navigare in acque basse per non dare nell’occhio.
Ne rimaneva solo una. La ragazzina che mi aveva chiamato per soccorrere mia sorella.
Una quattordicenne che aveva perso quasi del tutto la memoria, quindi per identificarla sarei dovuto andare a intuito e provare a fare qualche domanda senza che potesse accorgersi che dietro quella maschera ci fossi io.
L’asta avvenne nei sotterranei di un hotel a Los Angeles, uno di quelli a cinque stelle di cui mai sospetteresti.
In quei giorni si teneva un evento in maschera cinematografico e molti attori, presentatori e uomini legati al mondo dello spettacolo, erano ospiti proprio in quell’hotel, per cui fu semplice mimetizzarsi in mezzo agli ospiti e organizzare un’asta umana di quella portata.
A nessuno sarebbe mai venuto in mente che quella sera, in mezzo a un evento di prestigio, fosse avvenuto qualcosa di così orrendo.
Ma funziona in questo modo la vita: indossi una maschera e diventi chi cazzo ti pare, anche a costo di calpestare i valori che il mondo prova a insegnarti.
Mi fermai all’ingresso con un Maserati nero che avevo affittato sotto falso nome, e con indosso già la maschera sul viso. Mostrai i documenti falsi alla sicurezza e varcai il cancello dell’hotel dove mi stava aspettando un mio cliente che tenevo sotto scacco. Se voleva la sua libertà, avrebbe dovuto procurarmi un pass per l’asta.
Ovviamente mi sono assicurato che potesse tenere la bocca chiusa con i soci dell’Associazione.
Per tutti loro ero uno straricco cittadino del Mississippi venuto apposta in California per sborsare una considerevole cifra in cambio di una minorenne vergine.
E una ragazzina vergine venduta all’asta era qualcosa di molto appetibile ma io, non mi sarei mai lasciato fregare da quei fottuti pezzi di merda devoti a un Dio inesistente .
Sarebbe stata mia.
Varcai l’ingresso di un immenso salone rettangolare insieme al mio accompagnatore e mi sistemai per bene la maschera argentata sul viso. Mi copriva gli occhi ed era tagliata in diagonale dividendo metà del mio viso lasciando la bocca scoperta.
In quel momento mi sembrava di aver attraverso la soglia dell’inferno. Indossavo una maschera da demone senza corna, ma intorno a me c’erano i diavoli veri.
L’asta iniziò quasi subito, non si poteva perdere tempo.
Il nervoso mi si stava mangiando vivo quando, alla decima ragazzina che veniva mostrata sul soppalco, non ero stato ancora in grado di identificare lei.
Le avrei volute salvare tutte e mi appuntai mentalmente il volto di ognuna di loro. Le avrei cercate pure in capo al mondo se fosse stato necessario per liberarle.
Ma in quel momento dovevo concentrarmi sull’amica di Alys.
Non solo perché fosse sua amica, ma perché ero in debito con lei per aver protetto mia sorella e avermi fatto quella chiamata.
E io sono uno a cui non piacciono i debiti.
Avevo ventiquattro anni, ma ero uomo già da venti anni. Il mondo gravava sulle mie spalle come un macigno che non aveva nessuna intenzione di sgretolarsi. Me ne facevo carico, e dopo un po’ smisi anche di sentire il suo peso.
«Signori e signori ecco a voi la punta di diamante della serata. Siamo lieti di comunicarvi, che chiunque di voi si accaparrerà questo bocconcino, avrà a disposizione mezz’ora insieme a lei per constatare l’autenticità della sua purezza»
Che cazzo di porcata era mai quella?
Diavolo, non avrei mai pensato che si potesse raggiungere un tale livello a quegli eventi, ma dopo quello che avevo vissuto non mi sarei dovuto stupire più di tanto.
«Partiamo dai 1000 dollari. Chi offre di più?»
La voce dell’uomo al microfono fu rivoltante quasi quanto il resto della gente seduta al mio fianco.
Non potevo scorgere le loro facce ma avrei riconosciuto il loro odore ovunque. Per fortuna avevo in sostegno l’appoggio di un’organizzazione di Hacker pronti a venire in mio sostegno, i quali si sarebbero occupati di identificarli tutti.
«Diecimila!»
«Ventimila!»
«Cinquantamila!»
«Centomila!»
Gridavano a perdifiato non sapendo che il loro squittire serviva a ben poco con me che ero pronto a sborsare più del necessario.
La ragazzina vestita con un abito striminzito di paillettes  teneva la testa china mentre le sue gote si tingevano di rosso. Il disagio trapelava dal suo volto.
«Cinque milioni di dollari» la mia voce rimbombò come un tuono e il silenzio assordante divenne un eco delizioso.
Ci furono secondi interminabili di mutismo, poi l’uomo al microfono riprese a parlare.
«Cinque milioni e uno, cinque milioni e due… aggiudicato!» gridò e un applauso partì dalla platea come se avessi appena comprato la Gioconda.
Ma quella ragazzina valeva molto di più dei soldi che spesi e di tutti i dipinti del pianeta.
Aveva un valore inestimabile.
Mi sistemai i gemelli sul polso e allentai la cravatta che mi ostruiva il respiro.
Andai sul retro del palco e dopo aver staccato l’assegno con l’ingente somma di denaro, pretesi di andare dalla ragazzina così come accordato.
Per loro doveva essere la garanzia del mio acquisto mentre per me era solo la conferma che avessi trovato la ragazzina giusta.
Entrai nella stanza poco ombreggiata e le mie scarpe Armani atterrarono morbide sopra una moquette grigia. Un divano di velluto era posizionato di fronte a un letto matrimoniale dove la ragazzina stava nervosamente seduta sul bordo del materasso. Spostai il peso di lato e mi sedetti sul divano osservando le sue unghie che venivano mangiucchiate dai suoi denti stretti.
Non aveva alzato lo sguardo nemmeno una volta da quando ero entrato nella stanza ed erano passati almeno dieci minuti, poi di colpo sollevò il viso e restai fulminato.
Diavolo, era di una bellezza mostruosa.
Scuoteva ogni cellula del mio corpo incurante del fatto che avesse quattordici cazzo di anni, ma per il mio uccello a quanto pareva non era sufficiente a farlo placare.
«Sei tu il mio padrone?» udii un sottile filo di voce scivolare dalle sue labbra e fu come il canto di una sirena.
Il solo ascoltare la parola padrone pronunciata da quella bocca che supplicava di essere divorata, fu sufficiente a farmi sentire un dio, quello dei suoi  peccati.
«Sono chiunque tu voglia che io sia» risposi ignorando il sangue che mi saliva dall'inguine cercando di concentrarmi sulla sua cazzo di età, ma non c’era verso di distogliere i miei pensieri.
I miei occhi si appuntarono sulle sue iridi verdi che riflettevano pagliuzze d’orate ogni qual volta che sbatteva le palpebre.
Era una creatura meravigliosa.
I suoi lunghi capelli castani ondulati ricadevano sulle sue spalle esili con i quali cercava di coprire il vestitino corto che già avevo immaginato di strapparglielo e di ridurlo in brandelli in mille modi diversi.
Cazzo, dovevo smetterla di pensare a lei in quel modo meschino, io non ero come gli uomini che cercavo di annientare.
Lei avanzò di qualche passo e si mise in piedi di fronte a me.
Allungò una mano sul mio collo e sfiorò con i polpastrelli l’inchiostro nero che usciva sulla scapola.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Non mi ero reso conto di essermi sbottonato la camicia mentre osservavo il suo candido viso e di aver lasciato intravedere uno dei miei tatuaggi.
Che cavolo stava succedendo?
«E puoi farne uno di questi anche a me?» la domanda mi lasciò di stucco.
Annuii piano.
«Cosa vorresti fare?» le sue mani delicate erano state un toccasana per la mia pelle martoriata.
«Una libellula» mi disse con gli occhi ancora fissi sul mio tatuaggio.
«Curioso. E perché proprio una libellula?» chiesi.
«Credo che mi ricordi mia sorella»
Interessante per una a cui avevano strappato la memoria. Voleva dire che non tutto era andato perduto per lei.
«D’accordo» non mi importava di domandarle altro, avevo già capito di aver trovato la ragazzina giusta. Per le domande ci sarebbe stato tempo.
Ma in quel momento successe qualcos’altro che mi fu fatale.
La sua mano si spostò sulle mie labbra. I polpastrelli indugiavano lungo la carne tratteggiandola con delicatezza e le fissava con una tale intensità che stavo per dare di matto. L’avrei stesa sul quel divano e scopata fino a farle passare la voglia di provocarmi.
Il mio cazzo pulsava bramoso di uscire dai miei pantaloni ma non potevo permetterlo.
«D-devo farti quella c-cosa?» balbettò.
In quel frangente tornai per un attimo alla realtà.
La ragazzina era vergine, ma con molta probabilità avevano abusato di lei in altri modi e adesso stava solo cercando di fare quello per cui era stata addestrata.
Non volevo crederci.
Il senso di nausea mi ostruì la gola al solo pensiero che qualcuno le avesse messo una mano addosso.
Una mano che non era la mia, pensai di nuovo, e mi diedi uno schiaffo mentale.
«Non sono come gli uomini che hanno abusato di te, Lilith»
Quel nome mi uscì di getto dalla bocca.
Lilith, come il demone della tempesta, perché era esattamente ciò che sentivo dal momento in cui i miei occhi avevano incrociato i suoi. Una cazzo di tempesta che stava distruggendo i miei pensieri e mi stava fottendo la mente.
«Credo di chiamarmi Ana, ma Lilith mi piace» studiò il mio viso e ritrasse la mano.
La perdita del suo tocco mi fece male «dove mi porterai?» continuò arretrando di qualche passo.
«Avrai una famiglia nuova e inizierai a studiare. Andrai in un’ottima scuola, ti farai dei nuovi amici e comincerai a vivere come ogni ragazzina della tua età» avevo pensato già a tutto. Sarei uscito dal quel posto con la piccola Lilith e l’avrei condotta alla sua nuova vita.
«Voglio venire con te, sei tu quello che mi ha comprata. Sei tu quello con cui voglio stare» inarcai un sopracciglio.
«Attenta a quello che dici, Lilith. Non sono la persona gentile che pensi che io sia solo perché ti sto salvando da questi mostri»
«Tu non sei come loro, lo vedo» i suoi occhi mi sfidarono.
Mi alzai e mi misi a un centimetro dalla sua faccia.
«Sono peggio, molto peggio piccolo demone della tempesta e non credo tu abbia voglia scoprirlo così presto» le mie iridi fiammeggiavano dentro le sue che non avevano la benché minima idea di chi fossi, ma avevano tutta l’aria di sfidarmi ancora.
Abbassò lo sguardo verso i suoi piedi dove portava un paio di decolté rosse con tacco dodici.
Se ne sfilò una e ruppe il tacco.
Lo afferrò in un pugno e passò la punta sulla carne del suo braccio provocandosi un taglio sbilenco che iniziò a sanguinare.
Porca di quella puttana.
Mi voleva morto.
Gettò il tacco in terra e mi offrì il suo sangue.
«È tuo» mi disse e poi lo posò sulle mie labbra.
Ebbi quasi un mancamento.
Sfiorai la sua pelle e assaggiai la sua essenza.
Mia.
Da quel momento in poi lei sarebbe stata mia.
«Voglio essere chiaro con te, Lilith. Se ti azzardi a farti toccare da un altro cazzo di uomo che non sia io, scoprirai la mia vera natura»
Lei annuì debolmente senza fiatare.
«E preparati» continuai ringhiandole sul viso «perché al compimento del tuo diciottesimo anno di età verrò a farti mia e farò in modo di restare dentro di te per molto, molto tempo. Intesi?»
«Va bene» mi rispose «ti aspetterò»
I suoi occhi non la smettevano di tormentarmi e ignorai il fatto che si stesse avvicinando a me in modo pericoloso.
Le sue labbra toccarono le mie e una saetta attraversò i miei occhi al punto che non ci vidi più.
Avrei voluto divorarle quella cazzo di bocca insolente ma l’unica cosa che fui in grado di fare, fu quella di freddarla all’istante.
«Non provarci mai più» mi staccai da lei.
Non avrebbe dovuto farlo.
E quello mi bastò per farmi tornare con i piedi per terra.
Non era un lusso che potevo permettermi, non con lei.
L’unica tentazione della mia cazzo di vita.
Non doveva succedere, non avrebbe dovuto baciarmi.
Io non baciavo mai.

Adesso il quadro è un pochino più chiaro con questo ricordo del passato?

A ogni modo, io adoro Sascia!

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖈𝖎𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora