capitolo 13

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ANASTASYA

19 anni


“Ti voglio bene, piccola libellula”
“Perché mi chiami sempre così, sorellona?”
“Perché ogni volta che ti guardo mi dai tanta speranza”
“Speranza per cosa?”
La mia sorellina mi guarda perplessa e io non so come spiegarle che ogni volta che sto con lei mi sento bene, come se fossimo una cosa sola. Mi fa pensare al futuro.
“Per tutto” e l’abbraccio forte.
“Sorellona dove vai? Non ti vedo più”
Trixy si allontana e io non riesco a prenderla.
“Prendi la mia mano” grido.
“Non ci riesco!” urla e piange mentre io mi sento morire.
“Ti ritroverò” strillo con la gola in fiamme mentre il mio braccio allungato cerca la sua mano che scompare nel vuoto.


Mi porto un palmo sul cuore che batte all’impazzata mentre il sole mi colpisce il viso, di sicuro pallido e stanco.
I miei occhi fissano le lenzuola di seta nere che profumano di vaniglia, un odore che mi accompagna nella quotidianità da parecchi giorni.
Perlomeno oggi mi sento bene, mi sembra di essere rinata.
La testa non fluttua più, e la nausea è scomparsa.
Il dolore lancinante allo stomaco sembra passato, sostituito però da un leggero brontolio. Sono giorni, o addirittura mesi, che mangio a stento perché tutto quello che provo a ingerire mi ritorna in gola accompagnato da un sapore acido.
Sposto il peso sul bordo del materasso e faccio per scendere dal letto. I miei piedi si muovono verso la finestra socchiusa dove scorgo una distesa di prati e di grandi querce.
Questa casa sembra il paradiso, eppure è la dimora del diavolo.
Lo sentivo sussurrare spesso nel mio orecchio, di notte, nell’oscurità. Ma anche se dovessi sforzarmi, non ricorderei nessuna delle sue parole.
Le sue mani sì, quelle le ricordo eccome mentre mi accarezzavano le guance e infondevano un senso di calore che non provavo da tempo.
Un magone mi ostruisce la gola.
Lui non è venuto. Sta lasciando che un altro uomo mi prenda con sé.
Devo trovare il modo per andarmene in fretta da questo posto, e per farlo sfrutterò le capacità che usavo al maniero, quando vivevo lì con Alys e le altre ragazzine della mia età.
Io e Alys eravamo diventate abili a scovare tunnel e passaggi segreti per svignarcela e qualcosa mi dice che questa casa ne è piena, devo solo trovarli.
Mi faccio coraggio e vado verso la porta allungando la mano sulla maniglia di ottone.
Scendo le scale di legno, scalza e in punta di piedi e un brivido improvviso mi fa rizzare i peli dietro la nuca.
Quello che vedo intorno a me è a dir poco stupendo, tutto sembra essere decorato come una tipica casa rustica di campagna che infonde il calore di una vera famiglia.
Antichi mobili di legno, pavimento in parquet, lampadari fatti di lanterne che scendono dal soffitto come in una taverna, e quadri che raffigurano perlopiù l’oceano incazzato.
Solo uno  è diverso, e spicca per la sua maestosità.
Su quella tela è disegnata una valchiria sopra un cavallo bianco che impugna una lancia. La mitologia norrena mi ha sempre affascinata.
Resto per qualche minuto a fissarla con un piede che deve ancora scendere l’ultimo gradino, e con il fiato sospeso.
Nella mia testa, su quel cavallo, ci sono io.
«Resti lì o vieni a mangiare?» una voce ruvida mi fa distogliere lo sguardo dal dipinto.
Rick è seduto sullo sgabello della cucina con indosso nient’altro che un pantalone della tuta calato sui fianchi.
La sua pelle abbronzata mette in risalto i suoi occhi della stessa intensità di un tornado.
Lo fisso, mentre cammino verso di lui.
L’odore di pollo arrosto che viene sfornato dalla donna paffuta, quella che mi ha accudita in questo periodo, mi si impregna nelle narici fino ad arrivare nella bocca dello stomaco.
«Oh tesoro, sei sveglia finalmente. Come ti senti?» la signora avanza verso di me e mi accarezza le guance «sei pallida, vieni a mangiare. E tu ragazzo…» da un buffetto sulla testa di Rick con la mano coperta dalla presina da forno «rimettiti la maglia, abbiamo ospiti.»
Rick sbuffa e mi rivolge uno sguardo ammiccante.
«Niente che non abbia già visto la sua amica, suppongo te ne abbia parlato nei minimi dettagli» mi strizza l’occhio e afferra la t-shirt dietro di lui.
«Dio, sei disgustoso» rispondo con una smorfia.
«Non ti conviene nominarlo con mio padre» dice con tono rigido come se lo avessi appena insultato.
Non ho la minima idea di cosa parli.
«Chi?»
«Il tuo fottuto Dio, non nominarlo davanti a mio padre.»
Come se non odiassi anche io quel Dio.
«Ragazzo, modera i termini» lo rimprovera la donna che credo si chiami Marisol. Il suo nome me lo ricordo dalle varie volte che ha raccolto il mio vomito.
Mi parlava di lei mentre si prendeva cura di me, un modo strano per non farmi pensare ai dolori che provavo.
«Non ho paura di lui» se pensa che in qualche modo le sue parole possano terrorizzarmi, si sbaglia di grosso. Sascia non mi fa paura, o almeno non nel modo in cui pensa lui.

«Dovresti, ragazzina» sono più grande di lui di almeno un paio di anni, ma continua a chiamarmi in questo modo fastidioso.

«Ci sono già stata all’inferno, ragazzino» rimarco la parola per prendermi beffe di lui «riconosco il male e tuo padre non è uno di loro» mi siedo al suo fianco e mi infilo in bocca una patatina rovente «cazzo» impreco. Per rispondere a questo stronzetto mi sono bruciata la lingua.

«Sono lieta di vederti stare meglio, tesoro. Sascia rientrerà a breve, sarà felice di trovarti in forma» la voce di Marisol emana calore ma dubito che uno come Sascia possa mai essere felice per qualcosa.

Il più delle volte la sua espressione sembra una lastra di ghiaccio.
Sottile, affilata e fredda.
Scaccio il pensiero dell'uomo che mi tiene intrappolata in questa casa e mi gusto la sensazione del pollo al forno, dando sollievo alle papille gustative mentre aspetto di rimanere da sola.
Dopo aver dato una mano a Marisol a sistemare la cucina, proietto gli occhi verso l’esterno della casa scrutando con attenzione quello che mi circonda.

«Non pensarci nemmeno» Rick mi legge nel pensiero, è una continua provocazione. Forse perché essendo un’amica di Giulia, non mi vuole tra i piedi o forse perché pensa che possa mettermi tra lui e suo padre. Non saprei dirlo con certezza.

Marisol ci rimprovera e ci intima di starcene buoni dopo averci augurato la buonanotte.
Il sole è calato da poco ma credo sia parecchio stanca per ritirarsi così presto.
Non mi preoccupo di lei, piuttosto di questo odioso ragazzo che continua a stuzzicarmi rimarcando il potere di suo padre.

«Ascoltami bene, Rick» prendo un respiro profondo, lo fisso dritto negli occhi «ti ringrazio per esserti preso cura di me tutto questo tempo, dico davvero. Ma andrò presto via da questa casa, non sono una prigioniera» alle mie parole se la ride e scuote la testa. Mi fa incazzare la sua arroganza «smettila di fare lo stronzo solo perché sono amica di Giulia e piantala di avercela con lei. Non è tutto bianco o nero come credi, lei ha sbagliato ma ha avuto le sue buone ragioni.»

Rick scatta in piedi e mi viene a un millimetro dalla faccia con l’espressione del demonio in persona. I suoi occhi prendono fuoco, così come il colore della sua pelle.
«Tu non sai un cazzo» ringhia.

«Giulia mi ha raccontato…» provo a parlare ma mi zittisce stringendo la mano intorno al mio polso.

«Ma sì, piccola innocente e adorabile Giulia che ha dovuto denunciare per stupro un ragazzino di quattordici anni. Immagino il modo in cui sia stata costretta a farlo per fottere mio padre. Il punto è che in quel carcere, per due mesi, ci sono stato io. Sono stato io a pagare per qualcosa che non ho fatto. Quindi la risposta che cerchi è no, non la lascerò in pace» mi lascia il polso e se ne va dandomi le spalle.

Poi si volta ancora «puoi provarci con tutte le tue forze, ma da questa casa non te ne andrai mai, lui ti ritroverà sempre. Siamo fatti così in questa famiglia, se ci piace qualcosa ce la prendiamo.»

La sua ombra si dissolve mentre sale le scale e io resto immobile a rimuginare sulle sue parole.
Questo lo vedremo, stronzetto.
Mi muovo con passi lenti e silenziosi, lasciando che i miei occhi assorbano ogni dettaglio della casa. Ogni angolo mi appare immenso, come se le pareti non avessero fine, come se questo luogo fosse stato costruito per intrappolarmi dentro di esso, per avvolgermi nella sua eleganza oscura e soffocante. Le grandi vetrate permettono alla luce lunare di insinuarsi negli ambienti con riflessi argentati, ma anziché renderli accoglienti, sembrano amplificarne il mistero, distorcendo la realtà con ombre lunghe e contorte.
Una porta di legno di ciliegio davanti a me, imponente e chiusa, è un confine che mi chiama a sé, come se nascondesse un segreto che attende solo di essere rivelato. La mia mano si solleva da sola, le mie dita sfiorano il pomello freddo, e prima ancora di rendermene conto, la serratura scatta.
Spalanco l’uscio e il mio cuore perde un battito.

La stanza è maestosa, un santuario del sapere e della potenza. Le pareti sono rivestite da librerie che si innalzano fino al soffitto, colme di volumi antichi dalle copertine in pelle consumata, alcuni dorati, altri scuri come la notte. Al centro, una scrivania in legno massello troneggia sul pavimento di marmo scuro, fiancheggiata da due poltrone di velluto che sembrano pronte a inghiottire chiunque vi si sieda. L’aria è satura dell’odore della carta invecchiata, un aroma denso e carico di storie mai raccontate, segreti sepolti tra le pagine di quei libri.
Senza pensarci, mi avvicino.
La punta delle dita sfiora delicatamente le costole di un volume marrone con la raffigurazione di un uomo barbuto sulla copertina.

Mi è sempre piaciuto leggere. Forse perché i libri sono l’unico rifugio che non può essermi strappato via.
Apro il volume e le parole stampate sembrano danzare davanti ai miei occhi.

«Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee, per le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo, all’improvviso, in maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata.» La voce arriva alle mie spalle, profonda. Mi colpisce come una corrente elettrica, mi sprofonda nella pelle fino a incendiare ogni nervo.

Un brivido mi attraversa la schiena.
So a chi appartiene.
Il suo profumo opprimente, il suono vellutato della sua voce che mi fa vibrare come una corda troppo tesa.
Sascia.

Non mi volto, anche se sento i suoi passi avanzare dietro di me. Il libro trema tra le mie mani mentre il suo respiro lambisce la mia pelle nuda.
Lentamente si avvicina, le sue dita tracciano una linea invisibile lungo il mio braccio scoperto.

Un tocco lieve, quasi reverenziale, ma brucia.

Il cotone sottile della mia canottiera è una barriera ridicola contro il calore che il suo corpo emana. Sento il bisogno disperato di allontanarmi, di spezzare questo incantesimo che sta consumando il mio autocontrollo.
Eppure resto immobile, intrappolata nella sua morsa invisibile.

«Dostoevskij.» Il suo sussurro si insinua nel mio orecchio, e un’ondata di calore mi si riversa nel basso ventre. «Il libro che hai in mano è di Dostoevskij.» Le sue dita scivolano lungo il mio fianco, accarezzandomi con la stessa sicurezza con cui un predatore assapora la sua preda. «Che bizzarra coincidenza. Tra tutti i libri che ci sono qui dentro, hai preso proprio quello che parla di ciò che ho provato la prima volta che ti ho vista.»

Un colpo al cuore mentre il mio fiato si spezza.
No, non può dire una cosa del genere.

«Sascia…» Il suo nome mi sfugge dalle labbra come un sospiro, un lamento involontario.

Lui ride piano, un suono roco e peccaminoso che mi cola addosso come miele bollente.

«Sì, Ana.» La sua bocca sfiora il mio orecchio, le sue labbra calde lambiscono la mia pelle. «Ti ascolto.»
Il mio petto si solleva in cerca d’aria.
Lui è ovunque.
Nei miei pensieri, nei miei respiri, nel fuoco che mi consuma dall’interno.
E lo sa.

«Hai ucciso mio padre.» Il ricordo mi spezza le gambe al ricordo, ma Sascia non si scompone.

«Sì, l’ho fatto.» La sua voce è vellutata, ineluttabile. Le sue labbra scivolano lungo la curva del mio collo, lasciando una scia di brividi sulla mia pelle infiammata. «E lo rifarei altre mille volte per salvarti.»

Le mie dita si stringono attorno al libro, le unghie affondano nella copertina.

«Voglio andarmene da questa casa. Adesso sto meglio.» Una bugia, e un’altra risata esplode contro la mia pelle.

«No.» Le sue mani mi serrano i fianchi con forza, il suo respiro si fonde al mio. «Sei mia.»

La sua possessività mi lacera.
Dovrei respingerlo, ma il mio corpo sta tradendo ogni mio pensiero.
Il desiderio mi scivola tra le gambe, lo sento bagnarmi gli slip, tendere i miei capezzoli contro la stoffa sottile della canottiera.
E lui riesce a capire come mi sento in sua presenza.

«Ti ho già detto che appartengo a qualcun altro, non puoi farlo.» Il cuore mi perde un battito al pensiero che il mio Padrone possa vedermi in una situazione come questa.

«Smettila» i polpastrelli di Sascia mi stringono i fianchi «smettila di fare resistenza. Mi vuoi quanto ti voglio io.» La voce bassa, troppo per il mio stupido corpo che non vuole staccarsi dal suo, premuto sulla mia schiena.
«Che cosa vuoi da me?» le mie parole  sono flebili.

Le sue mani mi afferrano con una forza brutale, la presa sicura. Un istante dopo, il mio corpo viene sbattuto contro gli scaffali con un colpo sordo che mi lascia senza fiato. La mia schiena si inarca, le pagine dei libri vibrano intorno a noi, ma l’unica cosa che sento è il calore di Sascia che mi avvolge come un mantello, il suo petto duro che preme contro il mio, i suoi fianchi che mi bloccano contro il legno freddo.

«Cazzo.» Il mio respiro si spezza, le mani tremano mentre cerco disperatamente un appiglio, ma l’unico sostegno che trovo è lui. Sascia.
Le sue dita si chiudono attorno alla mia gola, non con forza sufficiente a farmi male, ma abbastanza da farmi sentire sua, prigioniera di un desiderio che mi manda in cortocircuito il cervello.

«Te, legata a me per l’eternità.» Le parole scivolano fuori dalla sua bocca come una condanna, il respiro caldo sulle mie labbra. «Te, fino a quando avrò fiato in corpo e occhi per guardarti.»

Le sue dita scorrono lungo la mia mascella, sfiorano le mie labbra tremanti mentre il pollice le accarezza con una lentezza esasperante, come se stesse marchiando la mia pelle con il suo tocco. Il mio cuore batte così forte da farmi male, il respiro si spezza in singhiozzi silenziosi.

«Sascia…» Il suo nome esce di nuovo dalle mie labbra come una supplica, il corpo incandescente contro il suo.
Lui sorride, quel sorriso oscuro, maledetto, peccaminoso. «Mi vuoi così tanto che nemmeno tu riesci a baciarmi.» Dovevo dirlo. Dovevo togliermi questo peso che mi consuma.
Sascia non mi risponde e preme la fronte contro la mia con gli occhi socchiusi.

«So che lo senti anche tu il brivido che colpisce il centro dei nostri cuori. Quella scarica così violenta che ti porta al confine dove vita e morte si scontrano. Sei consapevole che varcare quella linea potrebbe ucciderti ma te ne freghi, perché moriresti pur di provare quel brivido ancora una volta. E ancora. E ancora» sussurra, un filo di voce. «Mi prenderò tutto di te, non dubitarne. E se il tuo cazzo di uomo ti vuole così tanto, verrà a prenderti tra una settimana. Il giorno del nostro matrimonio» lo dice senza mezzi termini come fosse una cosa del tutto naturale.

«C-cosa? Io non voglio sposarti, Sascia. Smettila di importunarmi. Non ti voglio!» La mia bugia suona fastidiosa perfino a me, perché nonostante sia davvero contraria al matrimonio, quest’uomo sta prendendo possesso delle mie capacità mentali.
Sascia emette un grugnito feroce, le sue labbra sfiorano le mie.
Chiudo gli occhi per scacciare lo stato di eccitazione.

«Apri questi cazzo di occhi e guardami.» Un comando deciso che mi scatena un brivido intenso.

Stringo i pugni, cerco di ribellarmi, di negarlo, ma il mio corpo non mente. Le mie cosce si strusciano istintivamente l’una contro l’altra, l’umidità che impregna i miei slip è una confessione che non posso cancellare.
E lui lo sente, cazzo, lo vedo nei suoi occhi che si scuriscono, nelle narici che si dilatano mentre un ringhio basso gli sfugge dalla gola.

E poi non c’è più spazio tra noi.
Con un movimento feroce, le sue mani scivolano sotto i miei pantaloncini, afferrano la stoffa sottile delle mie mutandine e le strappano con un colpo secco. Il suono che rimbomba nella stanza mi manda il cervello in fiamme.

«Cosa fai?!» ansimo, la voce spezzata dall’eccitazione e dal panico.
Non risponde.

Le sue dita scivolano tra le mie pieghe bagnate, esplorano senza chiedere il permesso, trovano la mia fessura e la accarezzano con una lentezza crudele.
«Cazzo, Ana…» Il suo respiro è roco, il tono spezzato dal desiderio. «Sei già fradicia per me.»
Un gemito mi sfugge dalle labbra mentre il suo pollice trova il mio clitoride e inizia a massaggiarlo con movimenti lenti, circolari. Le mie gambe tremano, il corpo si tende come una corda pronta a spezzarsi.

«Rispondi, è per me tutto questo?» Mi serra la gola con la mano libera, vuole quella risposta che non sono disposta a dargli.
Forse perché vorrei  che stringesse di più la presa, ma poi annuisco, incapace di non obbedire ai suoi ordini.

«Non ti scoperò fino alle nozze, Ana. Ma quella notte non avrò nessuna pietà per te.»

«E se lui verrà a prendermi, tu mi lascerai?» soffio a stento quelle parole e un luccichio malizioso brilla nei suoi occhi.

«Certo che lo farò, cazzo» La sua risata suona strana, mi nasconde qualcosa in modo palese.

«E tu resterai a guardare mentre vado via, insieme a un altro?»

Perché glielo chiedo? Non dovrebbe importarmi, eppure una forma di disagio si attanaglia nel mio petto al pensiero che possa lasciarmi andar via con tanta facilità.

Il fatto che possa arrendersi senza lottare per me, mi provoca dolore.
Perché? Che cosa ho che non va?

La sua bocca mi avvolge l’orecchio mentre bisbiglia: «non solo, Ana. Osserverò la sua lingua spalmarsi tra le tue cosce umide, bagnate ancora dell’eccitazione che provi per me. E mi crogiolerò nei tuoi lunghi gemiti mentre verrai legata nel letto, e le catene si attorciglieranno sui tuoi polsi senza permetterti di muoverti. Voglio vedere le tue gambe allargarsi e mettere in mostra questa splendida fica rosa e stretta che freme dalla voglia di essere controllata.» Un pizzico sul clitoride mi  ricorda che le sue dita stanno scivolando ancora tra le mie pieghe. «Voglio vedere i suoi denti mordere la carne quando ti marchierà come sua, e il suo nome scivolerà dalla tua bocca mentre l’orgasmo arriverà violento con un impeto di rabbia che ti farà a pezzi.» Le sue labbra lambiscono il lobo generando scariche di eccitazione.

La scena che ha appena descritto si materializza nella mia testa mentre immagino la lingua di Sascia su tutto il mio corpo.

«E tu osserverai tutto questo?» domando incerta, mentre annuisce, c’è qualcosa di oscuro nel suo sguardo. Cerco più attrito, il mio corpo è un dannato traditore.

«Sei la mia brava bambina che fa tutto quello che gli ordino, vero?»

«Sascia… per favore…»

Lui ride, una risata scura e soddisfatta.

«Mi piace quando implori.»
Le sue labbra scendono sul mio collo, le sento bruciare sulla pelle sensibile, i suoi denti che mordicchiano, leccano, succhiano fino a lasciarmi senza fiato.
Le dita dentro di me iniziano a muoversi più velocemente, più in profondità. Il piacere mi travolge come un’onda violenta, mi fa piegare la schiena, mi fa gettare la testa all’indietro contro lo scaffale.

«Ti piace, Ana?» La sua voce è un sussurro velenoso contro la mia pelle. Non posso rispondere. «Vuoi venire, vero?» pompa con forza dentro e fuori.

«S-sì» pronuncio con le dita intrecciate nei suoi capelli spingendolo verso di me. Tutto di lui mi annienta.
Il suo corpo muscoloso, le sue braccia possenti e il suo entrarmi dentro senza chiedere il permesso.

«A chi stai pensando in questo momento? A me o al tuo uomo invisibile?» la ventata gelida della sua voce mi disorienta.

«A te» rispondo, perché è la verità.
Per la prima volta dopo un anno e mezzo non penso a quella notte.
È Sascia l’uomo che sto desiderando adesso.

«Che brava bambina obbediente, così bagnata per me.» Il suo elogio mi eccita.
Posso solo ansimare, contorcermi contro di lui, cercare più frizione, più contatto.

Il suo pollice preme più forte sul mio clitoride e la pressione dentro di me esplode.

«Cazzo, sei così stretta che mi divertirò a farti in mille pezzi.» Le sue parole sono il detonatore.

Il mio corpo sta per spezzarsi. Grido, mi aggrappo disperatamente a lui, le gambe si piegano.
Sascia mi tiene stretta, il suo corpo un’ancora nella tempesta.
E poi, come un bastardo, si ritrae poco prima che l’orgasmo possa arrivare.
Le sue dita lasciano il mio corpo con lentezza esasperante, e quando apro gli occhi, lo vedo portarle alla bocca.
Mi fissa mentre si lecca ogni goccia della mia eccitazione dalle dita, gemendo piano, assaporandomi come se fossi il pasto più delizioso che abbia mai gustato.

«Perché?» La mia voce è roca, il corpo ancora tremante.
Lui ride, soddisfatto.

«Mi piace il tuo sapore, ma preferisco farti venire con il mio cazzo.» Lo odio.

«E adesso va a dormire, ho bisogno di una sposa in forma.» Mi sistema i pantaloncini, poi con una pacca sul culo e un sorriso da stronzo mi spinge via.

Serro i pugni con la voglia di colpirlo su quella faccia che mi devasta ogni volta che lo guardo.

Lui, con quel suo cazzo di completo elegante e il suo profumo che mi annebbia la vista.

Ma una cosa è certa: non posso sposarlo

Devo fuggire perché lo odio.

Ma cazzo, se lo voglio ancora.


State sudando insieme a me???
Io amo Sascia, non c'è alcun dubbio!

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖈𝖎𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora