Capitolo 22

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ANASTASYA

Oggi

Ci sono stati momenti, in quella fottuta scuola cattolica, in cui ho pensato che nulla potesse più cambiare. Che il mio destino fosse inchiodato a un passato che ricordavo a malapena e a un futuro che non volevo.
Poi Sascia è entrato nella mia vita.
Cinque anni al suo fianco, cinque anni in cui ho imparato a respirare di nuovo. Eppure, il mio petto si stringe ogni volta che il ricordo di mia sorella riaffiora. È una sensazione che non riesco a scacciare, che mi divora poco alla volta.
Sascia lo sa e cerca sempre di riportarmi a galla, ma io mi perdo in quel tunnel oscuro, ogni volta.
E ogni volta, in fondo al baratro, c’è lei.
Una ragazzina dagli occhi neri con la mano tesa verso di me, io che provo ad afferrarla, ma scivola via.
E lei precipita.
La terapia ha aiutato a riportare a galla il suo volto da bambina, alcuni frammenti di noi due che giochiamo nel cortile di una casa di campagna.
Spesso ricordo un uomo robusto che ci insegna a combattere. O forse è solo il riflesso dell’addestramento nelle catacombe, un’illusione che mi lascia addosso un’ansia viscerale.
E poi c’è la voce di una donna. Mia madre, forse.
Risuona nella mia testa, ma non riesco a darle un volto.
Sono stanca, forse dovrei smetterla di cercare il passato e concentrarmi sul presente.
Un presente in cui un uomo che dice di essere mio padre mi dà la caccia per farmi ingoiare ancora quella cazzo di sostanza.
Un presente in cui Sascia mi tiene rinchiusa in una bolla, proteggendomi da ogni minaccia.
Un presente in cui lui stesso è tormentato dai suoi fantasmi, ma si rifiuta di condividerli con me, e questo mi distrugge.
Lo capisco, non vuole caricarmi di un altro peso.
Ma io voglio portarlo con lui. Voglio sentire il suo dolore. Voglio che sappia che non è solo.
L’ho sposato, l’ho scelto, e se c’è una cosa di cui sono certa, è che resterò al suo fianco.
Ma non posso negarlo: sto perdendo la forza.
Rick cerca sempre di alleggerire l’aria, di farmi ridere. È come un fratello, anche se sulla carta sono sua madre adottiva.
Dannazione, odio anche solo pensarci, ha due anni meno di me.
E io non riesco nemmeno a dare un figlio a mio marito, perché sono rotta, esausta.
E ora, come se non bastasse, c’è questa sorpresa che Sascia ha organizzato per stasera.
Cosa mi nasconde?
Passo la mano sul vestito di raso nero che ha fatto recapitare nella nostra stanza.
La stoffa è morbida, sensuale. La scollatura mette in risalto il mio décolleté e i miei fianchi. Sembra casto, ma so benissimo che non ci sarà nulla di innocente in quello che mio marito mi farà, una volta tornati a casa.
Allaccio i sandali con il tacco e scendo le scale mentre il profumo dei biscotti appena sfornati invade l’aria.
Il mio preferito.
Un sorriso mi sfiora le labbra e mi dirigo in cucina. Marisol è lì, davanti al tavolo, con un vassoio ricolmo di paradiso.
Alza lo sguardo e si illumina. «Tesoro, sei bellissima.»
Si avvicina e mi accarezza la guancia con dolcezza.
«Grazie.» È diventata come una madre per me. «Sono per me quelli?».
Lei annuisce. «Certo.»
Ma i suoi occhi sono cupi, qualcosa non va.
«Tutto bene?»
Un’ombra le attraversa il viso. «Sì, tesoro. Nulla di cui preoccuparsi. Mangia.»
Mi allunga un biscotto e lo addento senza pensarci. Mi brucia la lingua, ma è talmente buono che non riesco a fermarmi.
Marisol si volta e non mi guarda.
Afferro un altro biscotto e il sapore di cocco mi esplode in bocca, avvolgente, perfetto, poi arriva un capogiro e mi aggrappo al piano della cucina con la vista sfocata.
«Scusami, bambina mia.» La sua voce è un sussurro lontano, e un brivido mi percorre la schiena.
«Di cosa?»
Le gambe mi cedono e il sudore mi imperla la fronte. «Marisol… che succede?»
Gli occhi mi bruciano, la gola è in fiamme.
Lei mi sostiene per un braccio con le lacrime che le rigano il viso. «Io non volevo, ma non ho avuto scelta.»
«Abbiamo sempre una scelta» la mia voce flebile tra un colpo di tosse e l’altro, poi il buio mi inghiotte.

*

Un dolore sordo mi martella le tempie.
Sbatto le palpebre quando sollevo lo sguardo e scorgo delle catene ai polsi, strette intorno alla pelle.
Cazzo, sono incatenata a un letto di ottone.
Mi ricordo dei biscotti e del volto rigato dalle lacrime di una Marisol che mi implorava di perdonarla. E poi il vuoto.
Muovo i polsi che bruciano con un dolore acuto.
Non ho abbastanza forze per liberarmene, ma non credo nemmeno che il mio addestramento possa servire a molto in questa situazione.
Una risata roca risuona alle mie spalle.
«Mija, ti sei svegliata.» Conosco il significato di quel nomignolo.
Figlia mia.
Ultimamente mi ricordo molte parole in spagnolo, ma il suono di quella voce mi chiude lo stomaco.
Un flash, un frammento del passato che si insinua nella mia testa.
Lui, il mio vero padre.
L’uomo che mi ha venduta, che mi ha drogata, e che mi ha rapita.
Sollevo il mento, fissandolo con odio. «Hai avuto i tuoi soldi il giorno dell’asta. Cosa vuoi ancora da me?»
La mia gola è secca e la paura di avere ingoiato di nuove quelle pillole, mi striscia sulla pelle.
Non posso avere una ricaduta, sarebbe devastante.
Lui ride. «Tu non appartieni a lui. E lui non appartiene a te.»
La porta si apre, le pareti si stringono intorno a me soffocandomi mentre una donna dai capelli rossi e gli occhi scuri e freddi, entra nella stanza.
Si avvicina e mi afferra il mento con l’indice e il pollice. Le sue unghie affilate, laccate di rosso mi rigano la pelle.
«È lei?»
L’uomo dalla pelle olivastra fa un cenno con il viso, annuendo.
La donna mi scruta con avversione.
«Così sei tu la puttana che ha fatto perdere la testa al mio uomo?»
La guardo con il disgusto che mi attanaglia lo stomaco.
«Attenta a come parli, Sascia è mio marito» sputo sulla sua faccia «e toglimi le tue mani di dosso.»
Lei sorride. «Oh, ma che caratterino.» Si pulisce il viso con il palmo della mano e poi mi colpisce.
Uno schiaffo violento, il sapore metallico del sangue mi esplode sulla lingua.
Figlia di puttana.
«Te l’ha detto il tuo maritino che sono stata io la prima? Che si faceva legare da me, che godeva mentre lo cavalcavo?»
Il suo sussurro mi scava dentro.
Sta mentendo.
«Stai zitta.»
Ma lei ride ancora. «Lo confermerà lui, quando verrà qui a riprenderti, e gli ricorderò a chi appartiene.»
Queste persone non sono qui solo per drogarmi, o per vendermi, sono qui anche per Sascia. E pensare che ha trascorso la maggior parte del tempo a proteggere me, quando in realtà era lui quello che volevano.
Stringo i denti.
La mia voce è un ringhio. «Siete solo un mucchio di stronzi. Che cosa volete da lui?»
Sono passati troppi anni, perché proprio adesso?
«Superare tutta la sicurezza che ha messo in piedi quel diavolo è stato un bel grattacapo, ci è voluto del tempo. Ma entrambi ci servite per uno scopo preciso» la voce dell’uomo che mi ha dato la vita è calcolata e fredda. «Adesso che sei pulita posso iniettarti delle dosi più forti, sei stata il mio esperimento migliore e frutterai un mucchio di soldi per l’Associazione.»
Non riesco a respirare mentre cerco di metabolizzare le sue parole.
«Che cosa centra l’Associazione con voi due?»
Mio padre lancia uno sguardo complice alla donna «L’Associazione che conoscevi non esiste più.» Mi si gela il sangue. «Ora siamo noi la nuova Associazione e Sascia ne farà parte, a meno che non preferisca vederti rinchiusa in un manicomio.»
«Io non sono pazza!» Urlo.
Un brivido intenso mi trapassa le ossa mentre lo stronzo si passa una mano tra la barba incolta.
È un uomo robusto, che trasmette solo gelo.
«Lo sarai, appena finirò di iniettarti Bugs Bunny in quelle belle vene.»
Una risata profonda esplode tra le mura, la donna rossa si avvicina a lui e lo bacia.
Tutto questo è surreale, non può essere vero.
Mi lanciano uno sguardo truce prima di andarsene e lasciarmi sola nella stanza, e mentre la porta si chiude alle loro spalle, un unico pensiero mi martella la testa: devo liberarmi e avvisare Sascia, poi li uccideremo tutti.

Vieni, papà. Vieni dalla tua cara bambina.

Ce la farà la nostra Lilith a liberarsi?

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora