Pensieri confusi

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Non riesco a crederci. Sono stata sul punto di baciare Abel. Mio fratello.

Cosa diavolo mi è preso? Cosa ci è preso? Perché anche lui, ne sono certa, desiderava la stessa cosa. Se Arthur non ci avesse interrotti, avremmo fatto una pazzia di cui pentirci per il resto dei nostri giorni.

Mi giro e mi rigiro nel letto con questo pensiero fisso nella testa, il cuore che non vuole rallentare i suoi battiti e pulsa all'interno del mio petto, quasi intendesse sfondarlo. Cerco di concentrarmi su altro – tipo il bacio di Lowell – ma invano. Non riesco a cancellare dalla mente il ricordo delle braccia forti di Abel che mi stringono, le sue dita leggere come ali di farfalla che mi accarezzano provocandomi una sensazione strana nella pancia. E ancora, la sua fronte che si posa sulla mia, le labbra così vicine e invitanti.

Dio, mi manca il fiato.

Inutile sperare di chiudere occhio, stanotte. Il tempo passa con una lentezza esasperante, per un po' gioco col cellulare: leggo le ultime notizie, faccio un giro sui social. Mi diverto a guardare video divertenti su Tik Tok. E proprio quando non ne posso più, intravedo il sole sorgere attraverso le tende. I primi timidi raggi rischiarano la stanza. Dovrei scendere di sotto per fare colazione insieme ai miei fratelli, solo che non trovo il coraggio.

Mi sento sporca, inadeguata. Il peso della colpa mi schiaccia. Ma soprattutto mi chiedo: come farò a guardare in faccia Abel?

Alla fine mi alzo controvoglia. Mi lavo, mi vesto e prendo lo zaino per recarmi a scuola come ogni mattina. Quando entro in cucina c'è un silenzio irreale. La mamma è in piedi davanti ai fornelli, sta preparando i pancake. Arthur invece è seduto a tavola, sta sorseggiando il caffè. Appena mi vede, sorride.

«Sei sorprendentemente mattiniera, oggi», mi prende bonariamente in giro.

Io mi lascio cadere sulla sedia accanto alla sua, ma non ricambio il sorriso. Mi sento a pezzi. Ho un mal di testa lancinante.

«Abel dov'è?», chiedo con un moto di apprensione che mi strizza lo stomaco.

«Ha dormito da Jessica», risponde mamma. Il suo tono è brusco, tagliente. Mi fissa con un tale odio che sono costretta a distogliere immediatamente lo sguardo.

Che sappia qualcosa?

No, è impossibile.

Intanto, il pensiero di Abel e Jessica che dormono nello stesso letto, mi provoca un'ondata di nausea. E questa non è una reazione normale per una sorella. Dovrei essere contenta per lui, del fatto che ha una ragazza.

Cosa c'è di sbagliato in me?

Mamma mi posa davanti il mio pancake annaffiato con del succo d'acero, di lato ha messo della frutta di stagione.

«Mangia o farai tardi a scuola». Non fa nessun accenno alla scorsa notte né al fatto che mi sono tagliata i capelli.

«Oggi non c'è pericolo», borbotto in risposta. «Tu, piuttosto, come stai?». Le lancio un'occhiata di sbieco, studio le sue espressioni. Sembra incazzata con me sul serio, ma perché? Che ho fatto stavolta?

Non mi risponde, continua a fissare davanti a sé con aria assente. È Arthur a parlare al posto suo.

«Mamma sta bene, è solo un po' stanca».

Terminata la colazione, mi avvio, zaino in spalla, verso la fermata della metropolitana. La gente è in coda ai binari. Mi metto in coda anch'io, ma ho la testa da un'altra parte. Continuo a rimuginare. Finalmente arriva il treno, saliamo uno dietro l'altro come tante formiche. All'interno del vagone ci sono un paio di ragazzi che conosco e che frequentano la mia stessa scuola. Ridono tra loro, ammiccano. Ma non li raggiungo. Preferisco restare per i fatti miei.

Lungo il tragitto fisso fuori dai finestrini come in trance. Non so come farò a seguire le lezioni, oggi. Forse dovrei semplicemente saltare la scuola e andarmene a fare un giro fuori città, dove nessuno mi conosce.

Ma ecco che arriva la mia fermata, non ho molto tempo per decidere. I miei compagni di scuola scendono spintonandosi a vicenda, mi lanciano un'occhiata. Ed è allora che mi scuoto. Non voglio guai, se a qualcuno di loro scappasse detto che mi ha vista scendere a una fermata diversa scoppierebbe un casino. Mamma è già in collera con me, non ho bisogno di gettare altra carne sul fuoco.

Salto giù dal treno col morale a terra, mi accodo al gruppo di ragazzi che di tanto in tanto mi lanciano sguardi curiosi. Sto per varcare i cancelli della Westminster High School, quando mi sento chiamare.

«Ehi, Buttman».

Mi giro di scatto e mi ritrovo a fissare il volto scanzonato di Lowell J. Grey. Ha le mani sepolte nelle tasche dei pantaloni, le labbra incurvate in un sorrisino. All'improvviso mi torna in mente quello che è successo l'altra sera al pub: lui che mi afferra e mi bacia davanti a tutti. E Abel che si incazza, lo prende a pugni.

Dio mio, che vergogna!

«Ciao, Grey», saluto in tono monocorde. Non ho molta voglia di fare conversazione.

Lui tuttavia non sembra curarsene. Si avvicina, mi assesta una manata sulla spalla. «Ecco la nostra campionessa di biliardo. Spero che tu non abbia avuto troppi problemi con tuo fratello».

«Come?», sussulto. Per un attimo lo fisso, confusa.

«Tuo fratello», ribadisce. «Ieri sera mi sembrava fuori dall'ira di Dio». D'istinto si tocca il labbro su cui spicca un taglio trasversale.

«Uh, sì. Devi scusarlo. Abel ha un caratteraccio».

«A me sembrava geloso».

«Geloso? Che assurdità!». Rido, ma il cuore mi sprofonda nello stomaco. «Ti ha fatto molto male?».

Lui scuote la testa, non allontana gli occhi dai miei per un solo istante. «È solo una sciocchezza, non preoccuparti». Mi blocca contro il cancello, posa una mano sopra la mia testa e con l'altra mi afferra una ciocca di capelli. Se la rigira tra le dita. «Ad ogni modo ci ha interrotti sul più bello».

Deglutisco. Le nostre labbra sono vicinissime, riesco a sentire il suo respiro caldo sulla faccia. «Smettila, Grey», sussurro. Le mie guance avvampano, sento un'ondata di calore travolgermi.

«Perché?»

«Sei fidanzato, mi sembra un motivo più che sufficiente».

«Fidanzato? Che parola grossa». Ride mettendo in mostra i denti bianchi e perfetti. Le sue dita abbandonano i miei capelli per scendere lungo la guancia. Mi accarezzano lievi. «Elise non è niente di importante. I suoi genitori sono amici di mio nonno, la frequento più per fare un favore a lui».

«Immagino che tuo nonno non sarebbe contento di saperti qui con me, allora», ribatto con caparbietà.

Non so cosa Grey si aspetti da me, ma io non sono il tipo di ragazza che si mette in mezzo tra due che escono insieme. Indipendentemente da quanto sia forte il loro legame.

«Lascia perdere mio nonno e io non farò caso a tuo fratello». Lowell mi fissa così intensamente da togliermi il fiato. «Siamo solo tu ed io. Nient'altro ha importanza». Le sue labbra si posano sulle mie. Sono morbide, calde, leggermente umide. Per un attimo il mio cervello si spegne. Non penso più ad Abel, alla mamma... non penso più a niente.

E questo è senz'altro un bene.

Lowell mi morde il labbro inferiore, lo succhia. E io ho l'impressione che il mondo inizi a vorticarmi intorno. Chiudo gli occhi e accolgo la sua lingua nella mia bocca, le nostre labbra si incastrano come se fossero state create apposta.

Poi all'improvviso lui si allontana e mi fissa. «Tu mi piaci, Georgie. Mi piaci da impazzire», afferma lasciando scivolare le dita lungo la mia schiena e riempiendomi di brividi. Quindi, fa un passo indietro e un altro ancora. Si volta lentamente e si allontana, lasciandomi lì come una cretina, col cuore che mi martella nel petto come uno strumento a percussione.

Sbatto le palpebre, impiego un po' di tempo a riprendermi. Infine, varco anch'io i cancelli della scuola, di corsa, coi pensieri ancora più confusi di prima.

Sweet GeorgieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora