Notte di tempesta

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Kevin aprì la porta di scatto e, vedendo i suoi nipoti, corrugò le sopracciglia cespugliose.

«Che è successo?»

«Facci entrare, ti spiegherò tutto dopo». Arthur si introdusse nell'appartamento immerso nella penombra. A causa del temporale era saltata la corrente in tutta la zona, c'erano solo candele sparse qua e là. Imprecò sottovoce. Non ci voleva, proprio. Non in quel frangente.

Si diresse a passo spedito verso la camera degli ospiti e spalancò la porta col piede.

«Puoi dirmi almeno se sta bene?». Kevin gli ciabattò dietro e Arthur si decise ad abbassare lo sguardo sulla sorella. Aveva gli occhi chiusi e un pallore cadaverico, le labbra quasi viola. Sembrava così fragile, bisognosa d'aiuto. Guardandola, si rese conto di non saper rispondere alla domanda dello zio. Si sentiva impotente, l'ansia gli comprimeva lo stomaco.

«È rimasta al freddo sotto la pioggia, con addosso solo questo stupido vestito». Imprecò di nuovo, per poi scuotere la testa con rabbia. «Non lo so, zio Kevin. Temo che sia in stato di ipotermia, dobbiamo tenerla al caldo».

L'uomo lo aiutò a scostare il pesante piumone e a sistemarla sul letto. Quindi, sollevò su di lui uno sguardo apprensivo.

«Non sarebbe meglio portarla al Pronto Soccorso?»

«Non c'è tempo». Arthur si voltò, i suoi occhi si piantarono in quelli dello zio come aghi acuminati. «Gli ospedali di questi tempi sono affollatissimi, rischieremmo di dover aspettare ore prima che si occupino di lei. Sempre che lo facciano». Fissò la sorella con crescente preoccupazione, le sistemò una ciocca di capelli ancora gocciolante dietro l'orecchio. La mano gli tremò impercettibilmente nel sentirla ancora così fredda. Sembrava di toccare un morto.

«Va' a prendere altre coperte e degli asciugamani», si rivolse allo zio in un tono brusco, urgente. Non appena l'uomo si dileguò oltre la porta, si affrettò a spogliare Georgie dell'abito bagnato e della biancheria intima. La ragazza necessitava di indumenti asciutti, ma Arthur non aveva un cambio con sé, perciò si limitò ad avvolgerla nel piumone, cercando di non indugiare troppo con lo sguardo sulle sue forme procaci.

Era certo di non aver mai visto una simile perfezione in una donna. Georgie possedeva l'innocenza di un angelo e il corpo tentatore di un demonio: seni rotondi, vita sottile, fianchi larghi.

Rendendosi conto della piega che avevano preso i suoi pensieri, si riscosse e si voltò verso la porta, proprio nell'istante in cui Kevin tornava con una pila di coperte e degli asciugamani di spugna, come gli aveva chiesto.

«Questi possono andare?».

«Sì, zio. Grazie».

«Adesso vuoi spiegarmi cosa cazzo è successo?».

Il volto di Arthur si rabbuiò. Asciugò la sorella meglio che poteva: i capelli, le braccia, le gambe. Poi la riavvolse nel piumone e aggiunse le altre coperte, rabboccandole con cura. «Mamma ha raccontato a Georgie la verità sulla sua nascita», si decise a spiegare allo zio. «Inutile dire che lei non l'ha presa bene. È scappata via sotto la pioggia. Non so per quanto tempo sia rimasta là fuori, prima che la trovassi e la portassi qui».

«Accidenti! Ma cosa diavolo ha mia sorella nella zucca? È sempre stata inflessibile con quella ragazza, non l'ha mai accettata».

«Non so cosa dirti». Con gesti nervosi Arthur si sfilò di dosso l'impermeabile, gettandolo su una sedia accanto al letto.

«Sembri infreddolito anche tu, vuoi che ti prepari un tè caldo?».

Scosse la testa. «No, zio, grazie. Sto bene». La sua unica preoccupazione in quel momento era Georgie, ancora troppo pallida ed esangue per essere fuori pericolo. Arthur tornò a rivolgersi allo zio; era inutile che stesse in ansia anche lui, considerato il fatto che era notte fonda. «Va' a dormire, ci penso io a lei. Se dovessero esserci novità ti avverto».

Sweet GeorgieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora