Terribili rivelazioni

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Mentre salgo sull'auto sportiva di Lowell ho il cuore che mi batte a mille. È strano come una semplice festa di compleanno possa trasformarsi in un'avventura così emozionante e unica.

«Non sei venuto accompagnato dal tuo autista, stasera?», chiedo accomodandomi al posto del passeggero. In effetti, è strano. Non ho mai visto Grey guidare, non credevo neppure che avesse la patente.

Lui mi indirizza un sorrisino. «No, non stasera. Siamo soli tu ed io».

Il brivido dell'ignoto si fa sempre più intenso, mi si blocca il respiro. Intanto Lowell avvia il motore, l'auto parte con un ruggito diretta verso una destinazione a me sconosciuta.

«Dove andiamo?». Ho un groppo in gola, continuo a toccarmi i capelli per tenere a bada il nervosismo.

«È una sorpresa».

«Forse dovrei avvisare i miei fratelli, se non mi vedono alla festa si preoccuperanno».

«Georgie, rilassati. Questo non è un rapimento e i tuoi fratelli dovrebbero cominciare a farsi i cazzi loro».

Non so perché Lowell sia così ostile nei confronti di Abel e Arthur, tuttavia decido di dargli retta. Sono ancora offesa con quei due per aver fatto tardi alla festa, che si arrangino! Decido di godermi quest'avventura in santa pace.

Intanto la porche di Lowell sfreccia attraverso le strade londinesi, fino ad allontanarsi dalla città. Si addentra in una zona rurale costellata da villini a schiera disseminati qua e là. Il buio della notte ci avvolge, mentre il silenzio della campagna è rotto solo dal rombo del motore e dal fruscio dei rami degli alberi che si piegano leggermente al passaggio dell'auto.

Mi sento sempre più inquieta.

I fari tagliano l'oscurità, illuminando a tratti la strada deserta e la campagna circostante. All'improvviso oltrepassiamo un'enorme cancellata che si apre al nostro passaggio, per poi richiudersi dietro di noi. Mi accorgo che Lowell ha azionato un telecomando che successivamente butta con noncuranza sul cruscotto dell'auto.

«Dove siamo?». Mi guardo attorno rendendomi conto che ci troviamo all'interno di un parco. Percorriamo un viale alberato, per poi fermarci sotto le fronde di un abete.

Lowell è rilassato, perfettamente a suo agio. Si volta verso di me e incurva le labbra, i suoi denti bianchi scintillano nella penombra. «È una delle proprietà di mio nonno, lui ci viene di rado», spiega allungando un braccio. Mi sfiora uno zigomo e il cuore mi precipita nello stomaco.

«Perché mi hai portata qui?»

«Te l'ho detto, volevo stare da solo con te. E questo è il posto dove vengo quando desidero un po' di tranquillità».

Deglutisco, torno a studiare l'ambiente circostante con un pizzico di inquietudine. Se non fosse per i fari dell'auto ci troveremmo nella più totale oscurità, circondati da larici e abeti.

«Ehi, non aver paura». Lowell sembra intuire il mio stato d'animo. «Non sono un serial killer, non ho intenzione di farti a pezzi e seppellirti sotto un albero».

«Spiritoso». Gli indirizzo un sorriso teso. Purtroppo non riesco a scacciare la tensione, neppure quando Lowell mi passa una mano dietro la nuca e mi attira a sé per cercarmi le labbra. Il suo bacio è una lenta esplorazione, ma si intensifica via via. Mi sento cullata in un turbine di sensazioni. Le labbra di Lowell sono calde e invitanti, ogni stoccata della sua lingua è carica di desiderio e promesse silenziose, mi scuote da dentro facendomi vibrare il petto di un'emozione intensa.

Poi il mio telefono inizia a squillare.

«Lascialo suonare», mi sussurra Lowell sulle labbra, staccandosi quel tanto che basta per fissarmi dritto negli occhi. La sua bocca copre di nuovo la mia, mi ruba il poco fiato rimasto mentre le sue mani scivolano sul mio corpo: la pancia, la schiena, i seni. Il cellulare smette di suonare, ma riattacca subito dopo. È evidente che chi mi sta chiamando non ha intenzione di desistere.

Sweet GeorgieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora