Cadono le barriere

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Nel silenzio che seguì il temporale, la città avvolta dall'ombra della notte che svaniva cominciò lentamente a risvegliarsi sotto i primi bagliori dell'alba. La pioggia cessò, lasciando dietro di sé solo il sussurro del vento che carezzava le strade bagnate e ricoperte di fango.

Abel controllò il cellulare, ma non c'era nessuna chiamata persa né un messaggio. Aveva provato a contattare Georgie almeno un centinaio di volte, ma la ragazza aveva il telefono spento. Quando era arrivato alla sua festa di compleanno, lei non c'era già più. E a casa non era rientrata, lo sapeva perché l'aveva cercata anche lì trovando la sua stanza vuota e il letto intatto.

Sospirò e riprese a camminare, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni. Gli restava un unico posto in cui cercare: a casa di zio Kevin. Si diresse in quella direzione, oltrepassando una serie di villini a schiera finché non comparve alla sua vista quello dello zio. Era un edificio con la facciata in mattoni rossi e un piccolo giardino delimitato da un recinto bianco. Alle finestre c'erano ancora le persiane chiuse, color verde scuro.

Abel aprì il cancello avviandosi lungo il vialetto d'ingresso, fiancheggiato da una serie di aiuole ben curate. Si fermò davanti alla porta in legno massiccio, ornata da una campanella che tintinnava leggermente, mossa dal vento. Ricordò quando da ragazzini lui, Arthur e Georgie si divertivano a farla suonare irritando zio Kevin a non finire.

Un senso di inquietudine lo avviluppò, allungò la mano e pigiò il dito sul citofono, restando in attesa. Era molto presto, ma Abel sapeva che Kevin era solito alzarsi all'alba anche di domenica, perciò non si preoccupò.

Dopo un tempo che gli parve interminabile l'uscio si aprì cigolando. Si ritrovò a fissare lo sguardo torvo di suo zio.

«Abel, che ci fai qui a quest'ora? È successo qualcosa a tua madre?»

«No, tranquillo. L'ho lasciata che dormiva beata nel suo letto. Non l'ho svegliata e sono venuto direttamente qui. Per caso hai visto Georgie? A casa non è rientrata, stanotte».

La fronte rugosa dello zio si increspò, gli occhi castani si tinsero di apprensione. «Ha dormito qui. Tua sorella se l'è vista davvero brutta stavolta».

«Che è successo?».

Kevin spalancò la porta, si mise di lato per farlo passare. «È uscita sotto il temporale, tuo fratello l'ha trovata mezza congelata. Era priva di sensi quando è arrivata qui».

Abel ebbe l'impressione di non riuscire a respirare. Il calore defluì immediatamente dalla sua faccia. «Adesso come sta? È fuori pericolo?»

«Sì, se n'è occupato Arthur. Sta bene, ha solo bisogno di riposare».

«Dov'è?»

«Nella stanza degli ospiti».

Si mosse in quella direzione con un senso d'urgenza mai provato prima. Il solo pensiero che potesse succederle qualcosa di brutto lo mise in allarme. Arrivato davanti alla stanza, la porta si aprì di colpo e suo fratello uscì con un'espressione stanca. Indossava una camicia stazzonata, aperta sul davanti, le maniche arrotolate sugli avambracci; i pantaloni dello smoking erano sgualciti e non c'era traccia della giacca.

Abel gli lanciò uno sguardo torvo. «Lei dov'è? Sta bene?»

«Dove cazzo eri finito?», sbottò Arthur eludendo la domanda. La situazione doveva essere grave, raramente aveva sentito il fratello imprecare in quel modo. Spazientito, lo afferrò per il colletto della camicia.

«Rispondi alla mia domanda o ti apro il culo».

«Già, tu risolvi tutto con la violenza, non è così?»

Sweet GeorgieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora