I miei occhi sono offuscati dalle lacrime. Mentre scendo le scale di corsa, il naso mi cola e ho un groppo in gola. Non prendo l'ascensore. Se mancasse la corrente a causa del temporale, rischierei di restarci intrappolata dentro, e non avrei le forze per affrontare anche questo.
Mi sento a pezzi, come un vaso di coccio che si è schiantato sul pavimento rompendosi in mille frammenti che mai potranno tornare al loro posto.
Spalanco il portone mentre una folata di vento mi scompiglia i capelli. A causa delle lacrime non riesco a vedere dove vado, finisco addosso a qualcuno.
«Ehi, Georgie... ma cosa...?». La voce di Arthur penetra attraverso i miei pensieri annebbiati. Sollevo la testa di scatto mentre lui mi afferra per le braccia. «Che è successo? Non dovresti essere alla festa?».
Per un attimo faccio fatica a comprendere quel che mi sta dicendo. Sbatto le palpebre, lo fisso confusa.
«Che hai, vuoi dirmelo? Così mi spaventi!». Arthur rafforza la presa e io riprendo a piangere in silenzio. Non me la sento di parlare con lui, non adesso. Il dolore che provo è insopportabile, mi toglie il respiro.
«Lasciami», rispondo debolmente, liberandomi con uno strattone. «Devo andare, non posso restare qui». Ho bisogno di stare sola, devo ancora metabolizzare quel che è successo. Schiarirmi i pensieri.
Sto per allontanarmi, quando la donna che ho sempre creduto mia madre compare sul portone di casa. Ha anche lei gli occhi ricolmi di lacrime, il suo volto è una maschera di pentimento e angoscia.
«Georgie, ti prego... perdonami. Ero sconvolta». I suoi singhiozzi si perdono nel vento. «Ho esagerato, lo so. Torna dentro».
Scuoto la testa, ho brividi dappertutto. La pioggia cade gelida su di me, infradiciandomi l'impalpabile abito da sera e i capelli.
Fa un freddo cane.
«Non posso», mormoro come in trance.
«Mamma, che è successo?». Arthur muove un passo verso di lei, si accorge che è malferma sulle gambe e la raggiunge per sorreggerla.
«Le ho detto tutto», mormora la mia madre adottiva con un filo di voce a malapena udibile.
«Le hai detto cosa?»
«Adesso sa di non essere tua sorella».
«Che cazzo dici? Lei è mia sorella». Negli occhi di Arthur scorgo il panico. Si volta verso di me, mi fissa con un dolore che è molto simile al mio. Anche lui sembra spezzato.
All'improvviso non riesco più a sopportare il peso dei suoi occhi nei miei. È tutto troppo angosciante, troppo doloroso. Troppo tutto.
Mi volto, riprendo a correre sotto la pioggia, incurante del gelo e del fatto che ormai sono completamente bagnata.
«Georgie, aspetta!». Sento la voce di Arthur. Ha un'intonazione disperata, ma la ignoro. Mi allontano nella notte piovosa, senza una meta o un luogo sicuro in cui rifugiarmi. Tutto quello che desidero è cancellare il dolore che mi dilania il petto, insieme ai pensieri che mi vorticano nella testa. Ho bisogno di pace. Ma non so se potrò mai trovarla.
***
Mi domando da quanto tempo sono qua fuori, sotto il temporale. Non mi sento più né le braccia né i piedi. Sono mezza congelata. Mi riparo sotto una tettoia, ma il vento mi sferza la faccia e gocce di pioggia picchiano incessanti sul tetto metallico, creando un ritmico tamburellio che amplifica la mia angoscia.
Un lampo illumina la strada davanti a me per un fugace istante, seguito da un tuono che rimbomba cupo nel cielo notturno. Un opprimente senso di solitudine mi avvolge, mi stringe. Mi soffoca. Poi l'oscurità della notte inghiotte di nuovo tutto quanto, persino i battiti frenetici del mio cuore. Le uniche luci sono i fari delle auto che sfrecciano ad alta velocità, senza accorgersi di me.
Sono sola. Non ho più una famiglia.
Non so più nemmeno chi sono.
A un tratto sento qualcuno che mi chiama in lontananza. Sollevo lo sguardo: è Arthur che mi sta cercando. Indossa un impermeabile col cappuccio nero, sembra quasi confondersi con la notte.
Finalmente mi vede, si avvicina con passi affrettati e nervosi. «Santo cielo, Georgie! Vuoi prenderti una polmonite?». La sua voce è un po' stridula, quasi irriconoscibile.
Sono scossa da continui brividi, batto i denti con violenza, al punto che non riesco nemmeno a parlare.
Arthur mi afferra, mi solleva come se non pesassi niente. I miei occhi intrisi di lacrime si schiantano nei suoi.
«Ti porto a casa», mi dice in tono fermo, deciso.
«No!». Il panico mi invade. Mi dibatto, ma lui mi stringe forte. Non mi lascia cadere. Arthur è sempre stato così, è la roccia a cui appigliarmi nei momenti di debolezza.
«Ok, allora ti porto da zio Kevin. Va bene? Basta che ci togliamo da qui. Cazzo, sei fredda come un pezzo di ghiaccio».
Alla fine annuisco, troppo stanca per protestare. Le palpebre si fanno pesanti, non riesco a tenere gli occhi aperti. Così li chiudo. Continuo però a sentire la voce di Arthur che mi sussurra parole di incoraggiamento; la sua presa è salda, sicura.
È così confortante.
Per un attimo dimentico l'angoscia, la paura. Mi crogiolo nella sensazione di calore che mi infondono le sue braccia forti. Il suo petto si muove a scatti, ritmico e ipnotico.
«Dov'è Abel?». Non so dove trovo la forza di chiederglielo.
Lui si irrigidisce. Sospira. «Abbiamo avuto una discussione, è fuggito via più o meno come te. Non so dove sia. L'ho cercato da zio Kevin, ma lui dice di non averlo visto».
«Avete litigato a causa mia?»
«No, Georgie. Abbiamo litigato perché nostro fratello è una testa di cazzo».
Vorrei rispondergli che loro non sono miei fratelli, ma sono troppo debole. Sento le forze mancare.
«E la mamma?». Non saprei come altro chiamarla, eppure nel pronunciare quella parola ho come la sensazione che il cuore si strappi.
«Sta bene». Arthur rafforza la sua presa, mi bacia la sommità del capo. «È solo molto preoccupata per te. L'ho messa a letto, prima di uscire a cercarti».
«È preoccupata per me. Sul serio?»
«Sì, sul serio».
«Lei mi odia».
«Non dire sciocchezze».
«Ma...».
«Shh, chiudi la bocca. Conserva le energie».
Vorrei fargli una marea di domande, ma mi rendo conto che mi sento sempre più debole. Il freddo mi è arrivato fin dentro le ossa, non riesco più ad aprire gli occhi. Piano piano scivolo nell'incoscienza, non sento più nulla. Neppure il suono dolce della voce di Arthur che mi culla, come quando ero bambina.
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Sweet Georgie
Fiksi PenggemarGeorgie ha diciassette anni, è orfana di padre e vive con la madre e due fratelli che adora. Forse un po' troppo. Un giorno a scuola arriva un nuovo compagno: un ragazzo bello, ricco e molto popolare. Georgie non può fare a meno di sentirsi attrat...