La collera di Abel

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Jessica allungò le dita verso di lui, per poi accarezzare il suo sesso turgido in tutta la sua lunghezza. Lo fece lentamente, con malizia; un sorriso a tenderle le labbra tumide. Abel allora chiuse gli occhi, ansimò piano. Immaginò che ci fosse Georgie lì con lui, e il languore nei suoi lombi si intensificò. Si accorse di tremare. Riaprì gli occhi di scatto e afferrò Jessica per i capelli, le morse le labbra invadendole la bocca con la lingua.

Intanto, con uno slancio la ragazza si era posizionata sopra di lui, lo prese dentro di sé iniziando a muoversi con foga.

«Dio mio, Abel», gemette inclinando la testa all'indietro, i seni grossi come meloni che ballonzolavano a ogni movimento. Lui le cinse i fianchi, si spinse più a fondo dentro di lei mentre Jessica posava i palmi sul suo petto per sorreggersi. Aveva la fronte imperlata di sudore, le labbra dischiuse in una smorfia di piacere.

«Dio, è così bello».

Avrebbe voluto dirle lo stesso, ma qualcosa lo trattenne. Quella ragazza per lui era un mero divertimento, uno sfogo momentaneo. L'unico modo per placare il desiderio che provava per sua sorella, e che cresceva ogni giorno di più, diventando un bisogno insaziabile.

Quando tutto fu finito, la spinse via e si alzò dal letto. Raccolse i suoi indumenti da terra iniziando a rivestirsi. Aveva avuto il suo orgasmo, niente lo tratteneva ancora lì.

«Vai già via?». Jessica si sollevò su un gomito e mise il broncio.

«Devo andare al lavoro, lo sai».

«Ma è presto, perché non ti fermi ancora un po'? Ti preparo un caffè».

Non le rispose e si infilò in bagno per pisciare. Raramente si fermava a dormire da lei. Dopo un po' che era con Jessica si sentiva soffocare, provava la necessità di allontanarsi il più presto possibile. Se era andato da lei quella notte, era stato solo per non pensare. Per cancellare dalla mente il profumo di Georgie, le sue labbra rosee a un soffio dalle proprie.

Cazzo, c'era mancato poco che la baciasse. E non sarebbe stato un bacio casto, da fratelli.

Aveva talmente tanta adrenalina in corpo che correre da Jess era stata l'unica soluzione possibile. Ma come spesso accadeva, adesso sentiva il bisogno di fuggire via da lei.

Sentì un fruscio alle proprie spalle. Si voltò per scorgere la ragazza in piedi, appoggiata allo stipite della porta. Indossava una vestaglia di seta che non si era premurata di allacciare in vita e che lasciava intravvedere il suo corpo perfetto. Abel sapeva cosa stava cercando di fare. Voleva eccitarlo di nuovo.

Ma non sarebbe bastato. Aveva altro per la testa in quel momento.

«Jess, ascolta, ti chiamo io, ok?»

«Lo dici sempre, ma non lo fai mai». Jessica si pettinò i lunghi capelli bruni con le mani, un altro gesto ricco di sensualità che avrebbe dovuto farlo capitolare, ma che su di lui non ebbe alcun effetto.

Abel si riabbottono i pantaloni, tirò su la zip. Poi la oltrepassò per prendere il suo giubbotto da una sedia, e infilarlo con gesti nervosi.

«Cazzo, Jess... non essere asfissiante», le disse seccamente. Le diede un bacio veloce sulle labbra, dopo di che si allontanò. Uscì da quella casa senza un ripensamento. Solo quando fu in strada si permise di riempirsi i polmoni d'aria, salì sul suo scooter e infilò il casco. Solo in quel momento si ricordò di riaccendere il cellulare, controllò velocemente se c'erano chiamate o messaggi e sospirò trovandone uno di sua sorella.

Georgie: Dove sei? Dobbiamo parlare.

Non perse tempo a risponderle, invece accese il motore e si avviò. La Westminster High School era a due isolati da lì, decise perciò di fare una deviazione in quella direzione. Gli studenti stavano affollando l'ingresso. Abel posteggiò proprio di fronte ai cancelli, dall'altro lato della strada, e si accese una sigaretta.

Sapeva di cosa voleva parlare Georgie e non era troppo entusiasta all'idea di affrontare con lei quell'argomento. Se da un lato desiderava raccontarle tutta la verità, dall'altro si tratteneva.

Non era ancora il momento.

Aveva deciso che lo avrebbe fatto il giorno del suo diciottesimo compleanno, quando finalmente sarebbe stata abbastanza grande per andarsene di casa insieme a lui. Abel aveva programmato ogni cosa: si sarebbe preso un piccolo appartamento, stava già mettendo da parte i soldi. E ci sarebbe andato a vivere con lei.

Fanculo ad Arthur e al mondo intero.

Nessuno gli avrebbe impedito di rincorrere la propria felicità, Georgie sarebbe stata finalmente sua. Solo sua.

Finalmente la vide arrivare, zaino in spalla e l'espressione insolitamente tesa. Abel smontò dallo scooter, fece per attraversare la strada, ma si bloccò all'ultimo momento constatando che non era sola. Quel biondino del pub l'aveva raggiunta. Indossava anche lui l'uniforme della scuola, quindi frequentava come lei la Westminster.

Le mani cominciarono a prudergli dalla voglia di spaccargli la faccia, tuttavia si trattenne. Gettò il mozzicone della sigaretta e lo osservò da lontano mentre parlava con sua sorella. Non poteva sentire i loro discorsi, ma era più che evidente che lei era ammaliata da lui. A un tratto lo stronzo la bloccò contro il cancello. Abel non fece in tempo ad accorrere in suo aiuto che il ragazzo si era già impossessato delle sue labbra, baciandola in un modo assai diverso da come aveva fatto l'altra sera.

Il cuore di Abel si fermò. Come se qualcuno glielo avesse strappato dal petto per poi prenderlo a calci. Un'ira sorda e irrefrenabile gli devastò il cervello. Strinse i pugni e serrò la mascella, dovette fare uno sforzo immane per non correre lì e strappare Georgie dalle mani di quel bastardo.

La cosa peggiore fu constatare che lei lo lasciava fare, anzi ricambiava il bacio come se ci provasse gusto.

Sconvolto, Abel rimontò sullo scooter e ripartì ad alta velocità, zigzagando tra le auto in coda ai semafori. Non ci vedeva più dalla collera, fu un miracolo se non andò a schiantarsi contro qualche veicolo in corsa. Quando giunse in autofficina era una furia. Prese a calci un bidone della spazzatura sotto lo sguardo attonito di Thomas, poi sferrò un pugno contro la parete.

«Ehi, che ti prende?», gli domandò il suo capo, lo sguardo perplesso.

Abel inspirò ed espirò più volte, alla ricerca di quella calma che ormai aveva perso per strada. «Lasciami stare, oggi è non è giornata».

L'uomo scosse la testa. «Proprio non ti capisco, ragazzo. Hai una bella famiglia, una ragazza che è uno schianto. Eppure, sei sempre così nervoso. Vuoi dirmi cosa diavolo ti turba?»

«Di Jessica non me ne frega un cazzo», vomitò lui dandogli le spalle. Si tolse la giacca e la appese all'attaccapanni.

«Ok, perché non glielo dici, allora? Lei mi sembra piuttosto presa da te».

«Perché sono un fottuto bastardo».

«Il fatto che tu lo ammetta è già un bene. Ma non basta».

«Senti, Tom... non ti intromettere, ok?».

L'uomo sollevò entrambe le mani, mugugnando. Abel invece raggiunse lo spogliatoio e indossò la tuta da lavoro. Aveva bisogno di distrarsi, di non pensare più a niente. Altrimenti avrebbe corso il rischio di commettere una sciocchezza, e non poteva permetterselo.

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