Miracle

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-Mamma, papà perché non vi prendete un caffè? Sarete stanchi e posso benissimo andare da sola...- dico ai miei togliendo distrattamente qualcosa dalla mia divisa bianca a pallini -non vi farebbero entrare in ogni caso- gli ricordo ruotando la testa in modo innaturale per poter riuscire a vederli in faccia dalla sedia a rotelle su cui mi stanno portando nella stanza. Mio padre, che mi sta spingendo, ha un lampo negli occhi alle mie parole e capisco ancor di più quanto abbia bisogno di una pausa.
-Max non è un problema per noi. Siamo contenti di aspettarti- già...come se ci fosse qualcosa per cui essere contenti.
-Mamma!- Dico allora fingendo una risata -Portalo via- continuo -non vi voglio tra i piedi!-
Si uniscono presto allo scherzo.
-Va bene tesoro- pronuncia serio mio padre -allora non ci sarà alcun problema quando decideremo di abbandonarti qui: lo avevamo programmato per stanotte ma anticiperemo il piano visto che sei così autonoma- dice per prendermi in giro.
Ridiamo tutti assieme. La scena mi sembra quasi grottesca, come uno di quei film splatter cui, nonostante la devastazione, vengono aggiunte battute per farti ridere.
Ora che ci penso non ho neanche bisogno della sedia a rotelle, non che avessi mai provato ad oppormi...percorrere le "vie" di un ospedale è sempre uno strazio: gente che passa, infermieri, dottori, ti guardano tutti con lo stesso sguardo triste; si stampano una smorfia di dolore talmente contrita che sembra siano loro stessi quelli a cui avrebbero presto conficcato un ago in pancia. Facevano tutti così. Tutti eccetto uno.
Il caro dottor Crow, a cui ero stata appena affidata, sfilava due passi dietro la mia famiglia col suo sguardo duro. Non gli avrei mai dato la soddisfazione di scoprirmi a fissarlo così, decido di voltarmi indifferente per scrutarlo con la coda dell'occhio e lo osservo notando che, mentre gli altri provano dispiacere lui camminava fermo, apparendo leggero come una piuma, con una smorfia di puro disgusto come se tutti dovessero inchinarsi al suo cospetto.
Non ho ancora progettato nulla per liberarmi di lui ma stavo pensando che se è il paziente rompipalle che vuole il paziente rompipalle avrà.
Pensarlo mi fa sorridere tra me e me soddisfatta, anche quando mi rendo conto che pensare a lui mi ha fatto dimenticare per un attimo dove sono.
Ben presto arrivo alla stanza dove di solito fanno le biopsie. Questa sarà la seconda che faccio. La prima è quella che ha confermato la diagnosi che sospettavano i diversi medici che avevamo consultato. La mia compagna di giochi era ed è una grave forma di epatite c scoperta dopo mesi di vomito e occhi sempre più gialli. La situazione è stata critica sin da subito; mi proposero di iniziare una terapia con vari medicinali per più volte al giorno ma nessuno mi illuse del fatto che sarei guarita subito, anzi. Appariva chiaro che, se le medicine non avessero fatto effetto entro tre mesi, avrei dovuto ripetere la biopsia per stabilire o meno se avessi avuto bisogno di un altro fegato. La cosa più divertente è che nessuno dei miei familiari, o perlomeno quelli che erano disposti a darmi un pezzo del loro fegato, sembra essere compatibile.
Perciò, eccomi qui.
-Allora noi andiamo un attimo a casa tesoro- mi dice mia madre per salutarmi -pregheremo per te- continua commossa tenendomi una mano. Io non riesco a concentrarmi sulle sue parole perché potrei giurare di aver sentito uno sbuffo provenire da Crow che, nel frattempo, sta sistemando l'attrezzatura.
-Ciao Maximax- dice mio padre sospingendo la mamma alla soglia. Io gli faccio un sorriso e loro scompaiono.
Siamo io e lui ora. Bene.
-Maximax?- Lo sento chiedere ridendo apertamente -Scommetto tutto ciò che ho che è perché da piccola eri in sovrappeso!- Borbotta armeggiando con i guanti.
-Hai perso tutto allora- gli rispondo: non mi sarei più fatta mettere i piedi in testa da lui -non che debba interessarle ma è dovuto a come da piccola pronunciavo il mio nome- lo informo guardandolo attentamente ora che è girato di spalle.
-Ma come? Dieci minuti fa eri pronta ad insultarmi ed ora mi dai del Lei?- Dice girandosi minaccioso con il lungo e grosso ago in mano.
-Io- sottolineo con un tono grave -a differenza di qualcuno, il rispetto so cos'è- dico fissandolo. Sembrerebbe quasi che io lo abbia lasciato senza parole ma lui recupera ben presto.
-Allora, vuoi che ti lasci un momento per pregare Dio affinché muova perfettamente la mia mano in modo che non ti faccia male o preferisci farlo dopo, sperando che un celeste intervento cambi la situazione della tua cartella?- Mi chiede con scherno mentre si siede accanto a me tamponandomi la zona.
Rimangio tutto. È decisamente questo il momento più imbarazzante: stare sdraiata, a sua disposizione mentre seguo con le guance in fiamme ogni movimento della sua mano e la delicatezza con cui mi perfora la pelle per iniettarmi l'anestesia.
Mi ricordo poi della sua domanda, anche se lui non sembra volere una vera risposta.
-Lo fanno già abbastanza gli altri per me, da quanto ha potuto vedere: qualcuno lassù potrebbe infastidirsi per le tante richieste di miracolo per la stessa persona- gli dico facendolo bloccare per la mia strana risposta.
-Quanti anni hai, dodici?- Mi chiede non cogliendo l'ironia -Cos'è, lo già chiesto anche a Babbo Natale il tuo miracolo?-
-In realtà lui me lo sono conservato per quest'anno, come ultima spiaggia diciamo. A lui piace rendere felici i dodicenni. Che non sia la volta buona?- Gli dico alzandomi un po' per vederlo meglio.
-Non muoverti- mi fa veloce per poi riprendere il suo discorso -Ti prego di una cosa però- mi dice avvicinandosi e facendomi accelerare il cuore.
-Oh, lei che mi prega: sono tutta orecchi!- Lo prendo in giro, guadagnandomi una brutta occhiata.
-Se dobbiamo collaborare voglio sincerità- mi dice serio cambiando apparentemente discorso.
-Cos'è, un offerta di pace?- Gli chiedo.
-No- prorompe arrabbiato -mai. Ma volevo farti sapere che fare il medico mi consente di conoscere ogni vizio, ogni feticcio, ogni peccato dei pazienti e ora voglio sapere i tuoi: come l'hai presa?- Mi dice scandendo ogni parola.
-Se ti dicessi come, cambierebbe qualcosa nel mio quadro clinico?- Gli chiedo.
Inaspettatamente lui, colto da un momento di professionalità mi fa no con la testa.
-Allora credo che rimarrà un mio "peccato" ancora per un po'- lo liquido.
Lui sbuffa piano, si alza e ritorna con l'ago della verità.
-Non dovrebbe esserci un infermiera o che so, un altro dottore ad assistere?- Domando preoccupata. Per quanto ne so potrebbe pianificare di uccidermi data la sua simpatia per me.
-Preoccupata che possa farti qualcosa? Non ti fidi?- Mi chiede sfidandomi.
-Non me ne ha dato sicuramente modo- gli dico provocatoria. Lui mi ignora.
-Preparati- mi sollecita senza tanti giri di parole mentre posiziona l'ago.
E io mi preparo. Lo sento. Tutto. Mentre mi perfora e arriva alla me malata. Strizzo gli occhi, non tanto per il dolore che grazie all'anestesia non sento...più per trattenere le lacrime. Quando lo sento estrarre inizio a muovermi nervosa per poi sentire le sue forti mani tenermi ferma.
-Non voglio che tu ti illuda- mi dice serio sganciando la bomba, mentre ha ancora le mani sulle mie braccia -non sarà un esito positivo-.
Per un attimo vorrei prenderlo a pugni poi però, mi rendo conto che la sua sincerità mi è d'aiuto. Mentire e farmi sperare avrebbe solo aumentato la mia pena e so che, seppur ci sia sempre della speranza, la mia, è già morta da un po'.
-Sembrerebbe quasi un gesto gentile...il suo- gli dico e continuo vedendolo non capire -dirmi la cruda verità ora, come se ci tenesse- lo provoco notando che lui non mi sta guardando negli occhi come fa di solito ma fissa intensamente un punto indefinito del mio corpo. Seguo il suo sguardo e mi accorgo che il camice, mentre mi muovevo si è sollevato fino a scoprirmi una parte del seno. Mi stava deliberatamente guardando. In quel momento decido di non essere più la silenziosa Max e lo lascio fare. Questa sarebbe stata la mia vendetta.
-Cos'è, ora non sono più un ragazzino?- Gli dico senza freni. Lo vedo alzare di scatto lo sguardo e, se fosse possibile gli diventerebbero rosse le guance ma, probabilmente, arrossire non è nel suo dna.
Ci mette un attimo a riprendersi poi, però, la mia battuta mi si ritorce contro.
-Non metterti in testa strane idee. Non c'è nulla da guardare- mi dice crudele, intuendo di cosa stessi parlano, per poi alzarsi e depositare il mio campione al sicuro.
Sembra impossibile avere l'ultima parola con questo uomo.   
-Devi aspettare ancora un attimo: per i punti intendo- mi dice. So come funziona! Penso tra me e e me infastidita. Ricorda il piano Max, infastidiscilo!
-Posso fare io ora una domanda scomoda?- Gli chiedo mentre inizia a ricucirmi sempre delicatamente. Se dovevo dargli atto di qualcosa sembra davvero essere un bravo medico.
Non sentendolo rispondere continuo.
-Come mai fa il medico se odia tanto i pazienti? Oppure odia solo me?- Chiedo petulante.
Sono quasi certa che non mi risponderà ma...
-Tranquilla: io odio tutti. Si...forse te particolarmente. In ogni caso il motivo non è affar tuo- dice abbandonando la conversazione.
-Pensavo fosse compito di ogni medico essere  gentile con il paziente, sa noi potremmo morire. Di solito si usa un po' di tatto- gli faccio presente.
-Se cerchi il tuo Patch Adams hai sbagliato persona- mi risponde.
-Come è possibile che un cuore duro come il suo abbia visto qual film?- Gli chiedo fingendo sconcerto, osservando il suo sguardo concentrato.
-Non l'ho visto- mi risponde subito -ne ho sentito parlare e comunque farmi parlare non garantisce certo la mia concentrazione che, in questo momento è fondamentale per te- mi minaccia.
-Va bene, va bene- mi arrendo. Cercare di parlare con lui è come scalare una parete liscia.
Quando finisce la sua opera mi dice che devo rimanere per un po' in quella stanza per evitare infezioni e lasciare un po' di tempo alla "ferita" di chiudersi. Prima di lasciarlo andare decido di punzecchiarlo ancora.
-Sa, credo che lei piaccia all'infermiera Gin- lui come al solito non mi degna di uno sguardo poi però si ferma per parlarmi.
-Lo so- mi fa laconico.
-E non intende chiederle di uscire, o che ne so di...parlare?- Chiedo insicura rendendomi conto che non so bene cosa si possa fare in un inizio di relazione. -Potrebbe mandarle dei fiori oppure guardarla intensamente così che lei capisca che le interessa- continuò imperterrita
-Oppure po-
-Sono queste le cose che leggi su quegli stupidi libri? Storie d'amore che non hanno alcuna possibilità di esistere realmente? Perché non offenderti, ma non credo che mai nessuno abbia fatto ciò per te- mi dice senza prendere fiato, guadagnandosi una mia occhiata di puro odio.
-Nessuna offesa- gli faccio sapere -sono abituata ormai- lo accuso -e se proprio vuole può prendermi in giro quanto vuole ma non osi toccare i miei libri!- Gli intimo.
Il dottor Crow mi guarda con pena -Sei proprio una ragazzina- constata -e perché tu lo sappia non ho bisogno di Gin o...nessuno- mi dice.
-Lo terrò presente- gli dico sistemandomi comoda.
-Tieni anche presente che, come al solito so cosa stai cercando di fare e ho deciso che voglio  risparmiarti la fatica: tranquilla, non c'è alcuna possibilità che tu possa renderti più antipatica- dice senza girarsi mentre si avviava all'uscita -Avrai i risultati al più presto...in questi casi...insomma- mi dice e io lo vedo per la prima volta in difficoltà con le parole.
-Sono pronta- gli dico fiera.
-Già- mi dice per salutarmi.

Credo di aver dormito per due orette: quando mi sveglio fuori è già buio ma i miei genitori non sono ancora tornati. A farmi compagnia c'è solo Nora che, appena mi sveglio, mi dà una dolce carezza sulla testa.
-Ben svegliata!- Mi dice dolcemente. Mi è sempre stata simpatica: è una donna giovane e minuta che si comporta sempre come farebbe una mamma col suo neonato. Lei è la mia personale dispensatrice di sorrisi.
-Ciao Nora- le rispondo.
-Allora, come è andata?- Mi chiede sinceramente interessata.
-È andata. Ma lui...intendo il dottor Crow, mi ha già detto che è inutile che io speri che qualcosa sia cambiato- le dico con una risatina amara.
-Oh Max! Mi dispiace!- Mi dice lei sconvolta -Non dovrebbero affidare a pazienti come te quel genere di dottori-
Quindi è così con tutti, confermo tra me e me.
-Non lo idolatri come fanno tutte le altre?- Le chiedo sorridendo.
-Oh no! Cioè non posso negare che sia bellissimo ma ha un carattere instabile e duro- mi racconta anche se sembra tutto fuorché disinteressata.
-Da quanto ne so ha 28 anni, il padre è un pesce grosso. Lui è nato in California ma si è trasferito qua a New York di recente. Nessuno sa niente di lui, tranne il fatto che sia un prodigio della medicina- dice in tono ovvio.
-Si sa almeno il perché del suo atteggiamento?- Le chiedo sperando che lei mi possa dare una risposta.
-No.- mi dice secca -Molte volte non c'è una spiegazione ai comportamenti umani- cerca di confortarmi.
-Ah!- Esclama -Hanno chiamato i tuoi genitori, mi hanno detto che sono bloccati per strada a causa di un incidente-
Dunque ecco perché non c'erano, di solito sono sempre veloci e puntuali. Si staranno agitando moltissimo perché non son qui ad attendere con me.
-Max, ti devo lasciare- mi dice triste dandomi un tenero bacio sulla fronte -a dopo- mi saluta lasciandomi nuovamente sola con me stessa. Mi chiedo quanto ancora ci voglia affinché mi diano i risultati. Ho il tempo di rilassarmi e pensare a come reagire quando mi diranno...la cosa.
Ho già pensato alla faccia da fare ai miei: triste ma speranzosa. La provo da dieci minuti buoni.
Chissà per quanto tempo dovrò rimanere qui...
-Scusa- sento dire da una voce e vedo un infermiera bussare alla mia porta aperta. È Gin.
-Ciao- le faccio timidamente io, alzandomi piano.
Ha in mano una cartella. Ci siamo. Il cuore mi salta in gola e i battiti mi schizzano alle stelle, probabilmente avrò un infarto.
-Allora?- Le faccio impaziente.
-Mi dispiace ma devo aspettare il dottore per dirti qualsiasi cosa- dice rimanendo ferma in piedi al lato del mio letto. 
Trattieniti, trattieniti mi dico ripetendomi il mio mantra. Tratt...
-Non è il dottore che rischia di morire!- Le dico urlando. Sono scoppiata. Lavoro da mesi per contenermi e ora scoppio -Dammi. Quella. Dannata. Cartella- continuo sempre in preda ad una furia che non mi appartiene. Lei mi guarda spaventata, non sa come comportarsi e, probabilmente, per la sua poca esperienza, decide di accontentarmi passandomela con cautela. La apro velocemente e per poco non mi sfuggono tutti i fogli. Cerco di leggerla ma non ci capisco nulla. Ci sono numeri e sigle. Se qualcuno non mi traduce questa roba finirò per impazzire. Continuo a rigirare i fogli sperando che ci sia qualcosa scritto in un linguaggio comprensibile e, nel frattempo, sento i miei genitori arrivare e parlare con l'infermiera. Le loro voci mi arrivano ovattate.
Mi sento chiamare da mia madre e mio padre, che provano a tranquillizzarmi. Non sto dando un bello spettacolo di me: sembro una pazza.
-Max!- Mi riprende mia madre -Lascia la cartella ai dottori, perfavo...- riprova ma io la interrompo.
-No. Sembra non ci sia un dottore da queste parti disposto a concedermi un minuto del suo preziosissimo tempo per tradurmi questa...roba!- Dico alzando la voce.
Guardo i presenti uno per uno con disperazione e continuo:
-Perché i numeri? Che diavolo significa...?- Ricomincio ma vengo subito interrotta.
-Significa che devi iniziare a sperare che qualcuno abbia un incidente o altro e che decida di donare gli organi- si intromette lui.
È sulla porta, non so da quanto tempo sia lì, se ha visto il mio sfogo.
Ecco la mia risposta. Sapevo di dover essere preparata al peggio ma non mi sarei mai aspettata questa sensazione di vuoto, di tempo che si ferma.
Nonostante ciò che mi ero ripromessa, mi sfuggono delle lacrime silenziose. Vedo sfocati i miei genitori che cercano conforto l'uno nell'altra abbracciandosi. Non sento più nulla.
-Mi dispiace- dice Gin, più per dovere -dovrai rimanere qui: ogni momento...potrebbe essere buono per...-
Capisco. Capisco perfettamente. Ora devo aspettare veramente il miracolo. E mentre processo il tutto il mio sguardo rimane fisso su lui. Lear Crow. Il mio medico. Ci fissiamo entrambi intensamente. Non ci parliamo eppure sappiamo entrambi cosa lui vuole dirmi. Per la prima volta da quando lo conosco so qual è la sua espressione quando è veramente dispiaciuto.
Dispiace anche a me. Non sai quanto Lear.

Amore malatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora