-Non ti preoccupare: torneranno presto- cerca di consolarmi John.
-Non li vedo da ieri!- Controbatto subito -Da quando abbiamo scoperto della malattia non mi hanno mai lasciata per più di mezza giornata, mai! Non posso credere che in questo momento preferiscano starmi lontani piuttosto che perdonarmi...- realizzo sconsolata e arrabbiata: non comprendo davvero il loro comportamento.
-Fidati di me Max- lo vedo sorridermi rassicurante -i genitori perdonano tutto- afferma sembrando pienamente convinto -ci possono mettere de tempo ma lo fanno-
Il giorno prima, dopo aver confessato tutto ai miei ed esser tornata in camera, Crow ha dovuto subito lasciarmi...una specie di emergenza mi ha detto, perciò rimasta sola e in lacrime, ho trovato conforto solo in John, cui ho deciso di raccontare tutto ciò che era accaduto lasciandomi consolare; avevo bisogno di un amico e, con mia grande sorpresa, ho confessato felicemente rendendomi conto che più persone sanno del mio segreto, più mi sento leggera. Non devo più tenermi tutto dentro. La cosa migliore, però, è che sono stata abbastanza fortunata da trovare persone come John che non mi hanno giudicata e che alla mia domanda se avesse cambiato idea su di me mi ha risposto con un semplice ma efficace "sei sempre la mia amica Max". Gli unici che sembrano di parere contrario sono i miei genitori; il bello è che nei miei diciotto anni di vita, almeno fino a prima della mia confessione, posso vantarmi di non averli mai visti delusi: nessun brutto voto, nessun rientro a casa in ritardo, mai un oggetto fuori posto...tanto da domandarmi se non sia davvero questo il problema: la perfezione. La perfezione mi ha tradita poiché nessun essere umano lo è ed io non sono certo l'eccezione.
Ho disatteso la loro idea di figlia e la mia idea di una vita felice e spensierata e tutto perché ho ceduto alla vendetta.
-Sai dovresti aprire un sito internet- prorompo rivolgendomi a John che ora mi guarda interrogativo -si! Riesci sempre a consolare e a trovare le parole giuste. Crei un blog: ti scriverebbero tutti, diventeresti famoso e ricco. Soprattutto ricco, così potresti comprarmi un fegato nuovo di zecca sul mercato nero- concludo sarcastica; John intuisce subito il tono scherzoso con cui sto cercando di stemperare la situazione:
-Hai ragione: dovrei. Non vorrei però doverti procurarti anche un cuore nuovo di zecca...- mi dice più serio. So a cosa si sta riferendo: questa situazione mi ha lasciata emotivamente una schifezza e, inoltre, non vedo Crow da ieri; pensavo sarebbe passato stamattina per vedere come stavo ma evidentemente mi sbagliavo.
-Non devi preoccuparti per me- gli dico -non ho intenzione di farmi spezzare il cuore- concludo convinta.
-Oh Max, cara Max c'è un piccolo problema in tutto ciò- fa lui con un sorriso.
-Sarebbe?-
-Non puoi comandare il tuo cuore e ancor meno puoi pretendere di averlo "intatto" per il resto della tua vita. Non è così che funziona purtroppo...-
-Ma posso limitare i danni- protesto.
-Puoi- mi concede lui -ma ehi! Se proprio vuoi saperlo comunque, non ero preoccupato per te...in realtà lo ero per le mie tasche: hai idea di quanto mi potrebbe costare un cuore?- Mi domanda scherzosamente indignato. Scoppio a ridere.
-Nemmeno quel mio sito web coprirebbe la spesa- continua unendosi alla risata.
Quando mi fermo per riprendere fiato, sento il mio cuore battere. Poso una mano al centro del petto e, ascoltandolo mi colpisce una triste consapevolezza. John ha ragione: non potrò mai vivere a pieno se la mia paura rimarrà quella di preservarmi ed evitare le sofferenze. Semplicemente, non è così che funziona, ma è anche questo che rende la vita degna di essere vissuta.
Ed io ora ho solo bisogno di vivere.
A pomeriggio inoltrato, nessuno ancora si è fatto vivo. E per nessuno intendo lui. Sto iniziando ad agitarmi, sbuffo di continuo e riguardo l'orologio ogni minuto. Non c'è distrazione che mi possa aiutare: John dorme, non voglio svegliarlo perché ho come la sensazione che stia peggio in questi ultimi due giorni: i suoi occhi sembrano spenti e stanchi.Ne ho abbastanza.
Mi alzo piano cercando di non far rumore ed esco dalla stanza a passo leggero.
Una delle infermiere vedendomi pensa subito stia male, la vedo sgranare gli occhi e lasciare ciò che sta facendo per precipitarsi da me, ma prima che lo possa fare, con un cenno della mano la blocco e le sorrido facendole capire che è tutto apposto. In realtà dovrei chiederle dove si trova Crow, non c'è alcuna possibilità che possa trovarlo da sola così mi avvicino a lei, guardando a terra.
-Ciao- faccio timida.
-Ciao- ricambia confusa.
-Scusami, non ho nulla...volevo solo sapere ecco...- balbetto insicura -sa dov'è il dottor Corw?- Domando veloce. Ho quasi paura che non mi abbia sentita o che non voglia dirmelo.
-È passato di qua poco fa...deve controllare dei pazienti- dice sospettosa indicando alcune stanze dopo la mia. Che fortuna.
-Grazie- le dico avviandomi; l'infermiera mi fa sentire a disagio con uno strano sguardo di analisi. Percorro il corridoio sentendo i suoi occhi ancora puntati sulla schiena. Che avrà mai da guardare? Che comportamento è mai questo!? D'accordo, la "gente parla" come dice Nora, ma questo è davvero troppo. Passo alcune stanze senza mai trovarlo fino a quando non lo vedo accanto al letto di un signore anziano dare spiegazione a quelli che sembrerebbero essere i figli del paziente. Crow è così professionale, così bello quando si muove: fa sempre un gesto con la mano destra portandola avanti quando parla di cose mediche. Mi trovo a sorridere guardandolo, rendendomi conto di quanti particolari conosco di lui ma il sorriso mi muore sulle labbra quando lui si accorge di me e mi lancia un'occhiata sconvolta, quasi impaurita. Cosa ho fatto adesso per meritarmela?
Crow ora è palesemente a disagio: si tocca più volte il naso e i capelli mentre cerca di congedarsi. Temo ciò che dirà quando sarà uscito da lì: mi viene incontro fissandomi scuro, esce, si chiude la porta alle spalle guardandosi attorno attentamente, poi mi prende per un braccio e mi trascina in uno stanzino poco distante.
-Che diavolo fai?- Gli chiedo arrabbiata entrando in quello che sembra essere il ripostiglio per asciugamani e lenzuola.
-Senti senti chi nomina il diavolo ora. Cos'è, dopo la confessione ti togli altri sfizi?- Mi domanda. Non credevo certo mi avrebbe trattata così. Questo non è il suo solito tono scherzoso di scherno, è pura cattiveria e se ne rende conto anche lui quando nota la mia espressione:
-No. Senti mi dispiace, scusa è stato completante fuori luogo- cerca di riparare -in ogni caso dovrei chiederti io cosa ci fai qui!-
-Faresti una domanda stupida- lo avverto -sai benissimo il perché: sei stato con me, mi hai sostenuta mentre facevo una delle cose più difficili della mia vita e poi te ne sei andato. Dimmi: se non ti fossi venuta a cercare credi avrei avuto il privilegio di rivederti?- Gli domando sarcastica.
-Ero impegnato- risponde veloce.
-Eri...impegnato?- Ripeto incredula.
-Non dovresti essere qui- dice alzando gli occhi.
-Perché? Sto forse camminando sul feudo di re Crow? È tua esclusiva prerogativa decidere-
-Perché ho passato la mattina nell'ufficio del direttore cercando di smentire voci che sostengono ci sia una relazione sentimentale tra noi!- Esclama avvicinandosi. Sono sconvolta dalla rivelazione.
-Ma- inizio sconcertata.
-Come gli è venuto in mente dici?- Anticipa la mia domanda -A quanto pare qualcuno ha instillato il dubbio e sempre questo qualcuno avrebbe dei testimoni-
-Testimoni di cosa? Non è mai successo nulla...perlomeno in pubblico- mi correggo guardandolo. Lui non ricambia lo sguardo e capisco subito il perché.
-Pensi sia stata io?- Domando ferita -Credi davvero possa-
-Non tu- mi interrompe -ma magari la tua amichetta svitata o il tuo compagno di stanza parlano troppo!-
-Non lo farebbero- protesto -te lo posso garantire! Perché non pensi alle infermiere piuttosto?-
-Chiunque sia, qualcuno lo ha fatto- ribatte livido.
-E...tu cosa hai risposto?- Chiedo interessata e preoccupata.
-Che è tutto vero- dice sarcastico, io lo guardo male così lui decide di rispondermi sinceramente -Cosa credi che abbia detto?! Che è tutta un'invenzione di qualcuno che ha visto fin troppi film-
-Bene. E lui ti ha creduto?-
-Suppongo di si: ci sono parecchie persone gelose di me da queste parti, non è difficile pensare che ci sia qualcuno disposto a fare qualsiasi cosa per vedermi nei guai- mi spiega.
Sembrerebbe presuntuoso da parte sua ma non oso controbattere poiché so che ciò che dice è vero. Chi non vorrebbe il suo aspetto, la sua attenzione o il suo carisma?
-Il tutto allora ci riporta alla domanda iniziale: perché trascinarmi qua dentro?- Domando incrociando le braccia.
-Credi sia intelligente smentire tutto e poi bighellonare in giro con te?- Domanda furioso.
-Ma sentiti: bighellonare!- Lo imito -Sei fortunato che legga abbastanza libri da conoscerne il significato- lo prendo in giro. Crow sembra spazientito, si appoggia con la schiena ad uno scaffale e sospira con gli occhi chiusi:
-Me ne vado- annuncia improvvisamente, sospingendosi con la schiena. Prima che possa raggiungere la porta lo blocco poggiandogli una mano sul petto. Lear si ferma e sbuffa guardandomi dall'alto del suo buon metro e ottanta.
-Che c'è Max?- Chiede spazientito.
-Non so...non so mai nulla! Un giorno sei una persona, un giorno ne sei un'altra, non so chi sei, non so come comportarmi. Non devo più parlarti? Non-
-Non sono un codardo: non cercherò di negare quello che sta succedendo tra noi, qualunque cosa sia...ma il problema è che ci sono troppi rischi: per me, per te...-
-Se è per il lavoro che ti preoccupi non credo ci siamo problem-
-Non è per quello!- Mi blocca arrabbiato serrandomi le mani sulle braccia e scuotendomi leggermente -Questo non fa parte del piano: parlare con te, baciarti non è previsto- arrossisco alle sue parole.
-Di che parli?- Domando smarrita.
-Io non sono fatto per queste cose e tu non hai bisogno di tutto ciò: la malattia ti tiene già abbastanza impegnata- mi risponde. Credo proprio stia cercando di liberarsi di me...
-La malattia mi sta uccidendo!- Protesto arrabbiata, mi sfugge anche una lacrima che asciugo prontamente -E questo- dico indicandoci -sembra essere l'unica cosa che mi fa sperare in un futuro!- Continuo spingendolo senza però spostarlo di un millimetro.
-Non dovrebbe essere così- dice rassegnato sembrando sconfitto e combattuto.
-Eppure lo è- faccio più dolcemente mentre ci guardiamo intensamente.
-Devo andare- ripete convinto ignorando le mie parole -torna in camera, per favore- si fa spazio nello stanzino angusto, io rimango di spalle e lo sento metter la mano sulla maniglia:
-Dici di non essere un codardo ma lo sei- lui si blocca -dici che non scappi ma non fai altro-
-Non accetto che sia una ragazzina a dirmi ciò- risponde piccato, non rinunciando mai al suo orgoglio.
-Tu hai paura!- Continuo ad accusarlo senza voltarmi perché temo che vedendolo potrei scoppiare a piangere -Hai paura di provare qualsiasi cosa, sei terrorizzato all'idea di lasciarti andare-
-Io non ho paura- scandisce livido.
-Allora avanti- dico decidendo di voltarmi per fronteggiarlo -dimmi che vuoi che io torni ad essere una paziente qualunque, che ti chiede solo quando farà le prossime analisi. Dimmelo- lo sfido.
Lo vedo aprire bocca e per un istante ho paura che lo faccia davvero ma poi la richiude rimanendo fermo a guardarmi quindi apre la porta e se ne va senza darmi una risposta.
Mi colpisce al cuore tanto prepotentemente che non mi sento più le gambe e devo appoggiarmi per non rischiare di cadere. Mi sembra di rimanere così per un'eternità e, quando decido di uscire anche io, di Crow non c'è traccia. Mi dileguo furtiva strisciando contro il muro, sono vicino ad un angolo quando sento le voci di due infermiere. Mi avvicino piano, dovrebbero essere alla macchinetta del caffè, mi fermo e non posso fare a meno di origliare quando sento una delle due pronunciare il suo nome.
-Quindi ora che succederà?- Dice una.
-Non lo so- questa è Nora... e sembra arrabbiata! -A quanto pare ha negato tutto e gli ha creduto-
-Come è possibile?-
-Pare che io debba portare altre prove o il direttore non mi crederà mai-
Oh mio Dio! Non può essere vero! Nora è la persona che ha detto di noi!
-Crow imparerà la lezione!- Dice maligna l'altra infermiera.
-Sicuramente: ha trattato male la donna sbagliata- conferma -mi dispiace un po' per la ragazzina: è ingenua, ma ha scelto un uomo già preso-
Parla di me! Parla di me e mi sta dipingendo come una minaccia lei...mi odia! E ha meditato vendetta da quando le ho parlato di Corw; le ho confessato tutto, la credevo mia amica e invece stava solo recitando.
-Devo andare- dice Nora -mi aiuti a cambiare le lenzuola della 204?- Chiede alla compagna.
-Si certo- mi nascondo un po' per non farmi vedere mentre se ne vanno.
Ecco il perché delle occhiatacce dell'altra infermiera quando avevo chiesto di Lear. Lo sanno tutti, lo pensano tutti...
Le osservo incredula, sembra che qui non ci si possa fidare di nessuno; devo dirlo a Corw e, incredibilmente, credo di averlo mentalmente chiamato quando lo vedo avanzare elegante verso di me. Non sembra felice di rincontrarmi e spero non voglia ignorarmi.
Quando è accanto a me mi avvicino a lui:
-Seguimi- gli sussurro e non so se lo farà perciò non posso che essere sorpresa quando lo vedo camminare dietro di me finché non mi ritrovo con lui, per la seconda volta, nello stanzino di prima.
-Un dejavu- constata.
-Prima che tu possa dire qualunque cosa, qualunque insulto o ribadire quanto non voglia vedermi, c'è una cosa devi sapere prima: so chi è stato a parlare con il direttore- dico.
-Lo sai? Dimmi chi è- mi ordina livido.
-Nora- faccio, attenta alla sua reazione: sembra che il nome non gli dica niente ma poi lo vedo spalancare gli occhi e crucciare la fronte. Quindi è successo qualcosa tra loro. -L'ho sentita parlare con un'altra infermiera- spiego.
-Non era una dei tuoi tanti amici qua dentro?- Chiede sarcastico.
-Forse dovrei chiederlo io a te- lo accuso -sembra che tu abbia scaricato una donna vendicativa-
-Nessuno ha scaricato nessuno- ribatte annoiato.
-No? Eppure non ci sarebbe altra spiegazione al suo comportamento: sei stato con lei e poi l'hai trattata come se non esistesse...lo fai spesso a quanto pare- dico piccata riferendomi a me.
-Smettila. La tua gelosia non è necessaria ora, inoltre lei non c'entra niente con te, se è ciò che volevi sentirti dire-
-Non sono gelosa- protesto.
-Già- commenta con poca convinzione avvicinandosi.
-Non sembri preoccupato- dico -eppure c'è una donna che minaccia di rovinarti-
-Non è lei la donna che mi rovinerà- mi interrompe fissandomi intensamente e lasciandomi senza parole.
-Ora che mi hai messo in guardia credi che possa tornare a lavorare?- Mi domanda.
-Oh si- gli dico accorgendomi di bloccargli il passaggio -ci...ci vediamo- dico incerta.
-Si...- mi risponde distratto uscendo e, per la seconda volta sono qui, lasciata sola a domandarmi quale sarà il suo prossimo cambiamento. Prima che possa andarmene però, la porta viene riaperta; sto già pensando a centinaia di scuse diverse per giustificare la mia presenza qui e non so se essere sollevata quando rivedo la faccia di Corw che sembra avere un fuoco che gli brucia dentro.
-Hai dimenticato qualcosa?- Gli domando sospettosa vedendolo chiudere bene la porta.
-Si- dice in un soffio avventandosi su di me. Nemmeno un battito di ciglia e la sua bocca è sulla mia, la mano forte attorno al mio collo e l'altra sulla mia testa, tra i miei capelli. Ci metto un attimo a rendermi conto di quello che sta succedendo e un altro attimo per convincermi che non sto sognando e, quando lo faccio, alzo un braccio per raggiungere la sua testa, in quel momento lui sposta mano che era sul mio collo sul mio fianco mentre sento la sua lingua premere per approfondire il bacio. Quando acconsento e gli lascio via libera mi manca il respiro. Ho solo letto di queste sensazioni meravigliose ed ora che le provo so che non potrò più farne a meno. Siamo entrambi affannati e sembra impossibile staccarsi; quando mi sfugge un piccolo gemito lo sento irrigidirsi e allontanarsi lentamente.
-Non sono un codardo- soffia tanto vicino che le nostre labbra si toccano ancora.
-No. Non lo sei- sorrido felice."Non lo sei Lear Crow..."
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Amore malato
ChickLit"Ho diciotto anni da due settimane, una vita sociale inesistente, sono depressa, vivo la mia vita tra casa e ospedale e il mio fegato è andato. Come se non bastasse il mio dottore mi ha abbandonata, lasciando letteralmente la mia vita nelle sue mani...