Deal with the Devil

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Questa mattina, di buon ora, si è presentato in camera nostra Mark. John è subito diventato radioso e poco gli è importato che stanotte fosse finalmente tornato in camera solo alle 4 del mattino, lui era ben felice di farsi accompagnare dal figlio per una piccola passeggiata all'aria aperta. La promessa di conoscere suo nipote quel giorno stesso era poi stato un incentivo sufficiente per farlo quasi balzare in piedi: per John è un giorno importante perciò non posso lamentarmi di essere per l'ennesima volta da sola; inoltre, se non mi stesse per crollare il mondo addosso da un momento all'altro, oserei dire di essere felice: per John ma soprattutto per Lear Crow e per il fatto di essere stata abbastanza fortunata da sentirmi confessare da lui cosa prova per me.
Non ricordo poi molto: da quanto so sono svenuta e non mi è ancora chiaro se per la malattia o per l'emozione, ma a giudicare dal colorito rosso che assume la mia faccia al solo pensiero della sera prima, opterei per la seconda opzione.
Non perdo tempo a vedere se ci sia qualcosa da vedere in tv sicura che passerei minuti a giocherellare col telecomando, così controllo il cellulare.
"Max. Non accetterò per molto ancora questo tuo "silenzio stampa": sono richieste tue dichiarazioni in merito ad un certo dottore..."
Sorrido leggendo il messaggio di Molly e mi rendo conto che ha ragione: non l'ho nemmeno ringraziata per esser riuscita a trovare Mark così le scrivo un breve messaggio promettendole di richiamarla più tardi, poiché sono sicura arriverà presto qualcuno a controllare come sto. Oh...parli del diavolo ed ecco spuntare la mia personale "infermiera":
-Buongiorno- dico dolce.
-Buongiorno- mi dice con calore venendo, con sorpresa, a darmi un casto bacio sulla fronte. Quanto vorrei che questa fosse la quotidianità: svegliarsi così, magari in una piccola ma accogliente casa, con lui al mio fianco...
-Come va la mano?- Domando preoccupata; la sera prima alla vista di quella fasciatura mi si era rivoltato lo stomaco.
-Cerchi di rubarmi il lavoro?- Mi chiede con un sorriso furbo.
-No- rispondo veloce -ma ho il sospetto che quando due persone tengono una all'altra si preoccupino di sapere come stanno- spiego con una punta di sarcasmo.
-Oh, grazie per la delucidazione- mi dice scherzoso -va bene comunque. Nessuna infezione nessun danno- conclude sintetico.
-Bene. Sono contenta- dico studiando la sua espressione; sembra a disagio, il che è strano per lui che è sempre così composto e misurato...sembra quasi che stare qui, con me, gli incuta un senso di timore.
-Tu come stai?- Gli costa un certo sforzo fare questa domanda, molto probabilmente perché sa quanto sia stupida.
-Mi sento...apposto- rispondo calma e incolore.
-Apposto...- ripete. L'aria è pesantissima: da quando lo conosco, ha sempre avuto la straordinaria capacità di tenere i miei pensieri lontani dalla malattia, ma a quanto pare, prima o poi tutti soccombiamo al peso di una sentenza di morte al punto che non è più possibile svagare la mente.
-Sai, ho deciso cosa tatuarmi- gli dico provando a cambiare argomento, lo vedo alzare lo sguardo per lanciarmi una veloce occhiata: so che detesta l'idea ma non mi farò influenzare.
-Ancora?- Domanda negativamente sorpreso              -Pensavo fosse un momentaneo colpo di testa adolescenziale-
-Non lo è- lo contraddico paziente -e poi lo hai detto tu: devo vivere la mia vita senza condizionamenti-
-Primo non l'ho mai detto e secondo, non era certo mia intenzione creare un mostro-
-Primo lo hai fatto intendere e secondo: un mostro? Guardami. Sono la perfezione- dico mettendomi a ridere per la mia stessa ironia.
-Primo smettiamola di parlare per elenchi e secondo hai ragione. Non sei assolutamente un mostro- dice sembrando di buon umore.
-Grazie e tornado all'argomento principe voglio il tatuaggio di un fegato- gli faccio sapere.
-Spero tu scherzi. E dove vorresti farlo? Spero per te in un punto coperto...-
-Questa è la parte migliore- dico eccitata.
-Ma non mi dire- lo sento sbuffare ma so che sta scherzando e la cosa mi diverte molto.
-Lo farò sulla pancia, in corrispondenza del fegato. Non è geniale?- Chiedo con gli occhi che brillano.
-È macabro- mi risponde con una smorfia -ma da te- conclude con un sorriso.
-È un approvazione quella che sento?- Domando felice -Peccato che non possa farlo ora: mi sarebbe piaciuta l'idea che se non posso avere un fegato vero almeno avrei potuto averlo di inchiostro-
-Potrai farti tutti i tatuaggi che vuoi quando sarai guarita- mi dice con uno sguardo duro.
Io gli sorrido perché gli sono davvero grata per la forza d'animo che ha, per l'ottimismo che sembra quasi abbia la soluzione in tasca...
-Già- concedo sognante.
-Devo andare- mi dice dispiaciuto guardando l'orologio -ci vediamo presto ragazzina- saluta usando il mio soprannome che non ha più quella sua connotazione negativa ma esprime solo un grande affetto.
-A presto Lear- ricambio sorridendo mentre lo seguo con gli occhi allontanarsi. Quando è vicino alla porta lo sguardo mi cade su Nora che si trova accanto al bancone delle infermiere; ha in mano il telefono che tiene appoggiato all'orecchio e un sorriso maligno diretto a me. Non vorrei concederle l'onore ma quella donna inizia a farmi paura...

Amore malatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora