Prologo

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tredici anni prima...

Abbey's mom

Poso il piatto di pizza davanti a lei e nei suoi occhi si accende una scintilla di curiosità.

«Cos'è mamma?» mi chiede con una vocina tenera.

«È pizza. È molto buona, assaggia.» le sorrido, consapevole di quello che sto facendo.

Il telefono squilla, interrompendo il rumore pasticciato della bocca di Bee mentre si gusta il suo pezzo di cena.

«Karin, hai mangiato?» dall'altro capo del telefono risponde Raven, che come ogni volta si preoccupa per me.

«Ho abbastanza soldi per dare da mangiare a Abbey, ma evidentemente sono una pessima mamma. Avrei dovuto lavorare più sodo e ora mia figlia non starebbe mangiando la pizza al posto di un cibo sano.» mi lamento. stropicciandomi i capelli dal nervosismo.

«Karin devi pensare anche a te. Non sarai mai una brava mamma se non ti prendi cura anche di te stessa.» dice in tono duro la mia amica, ma quando me ne sta per dire quattro ecco che Abbey apre bocca.

«Non si mente, mamma.» comincia a masticare rumorosamente, guardandomi con gli occhi lucidi «tu sei una brava mamma.»

Una piccola lacrima mi scende involontariamente su tutta la guancia e quando arriva al mento, con la mano la blocco distruggendo anche gli unuci sentimenti che ho provato oggi.

«Cos'hai detto Abbie?» provo a sorridere, ma invece che un sorriso, mi esce una smorfia, visto che non faccio altro che trattenere il rimorso.

Abbie non sembra interessata alla mia domanda, tuttavia si mette a giocare con il tovagliolo e a tirare su con il naso, raffreddata.

«Com'è il clima in Australia?» cerco di cambiare argomento.

«Oggi è molto nuvoloso. Stiles passa la giornata a guardare fuori dalla vetrata del salotto la pioggia. È normale che mio figlio faccia così?» ridacchia.

«Da grande sarà un vero romanticone, allora»

Appoggio il telefono sull'isola della cucina, attivando il viva voce.

Improvvisamente il silenzio, nient'altro che provenga dalla chiamata. Subito dopo seguito dalla voce di Raven, stavolta più spenta.

«Va bene, basta così. Forse è meglio se lo porto a letto.» fa un sospiro profondo. Poco dopo la saluto, occupandomi di Abbie che impegnata a bere senza sosta dal suo bicchierino di plastica di Hallokitty.

«Fa piano, Abbie.» dico quando un singhiozzo interrompe la grande bevuta.

«Fra poco arriva papà» sussurra come un segreto.

Annuisco, accorgendomi che forse lei, Abbey, nonché mia figlia, sa troppe cose.

Tuttavia la porto in braccio fino in camera sua, cerco tra i cuscini le solite cuffie e le attacco al telefono, mettendo una playlist che a lei piace tanto. Le ho sempre fatto ascoltare la musica nei momenti in cui non doveva ascoltare. Per non farle sentire la frustrazione di questa casa, di questo mondo, o certe volte anche il silenzio troppo innocuo.

Quando parte Be My Baby di The Ronettes, Abbie inizia a ridere, così che io appoggio l'indice sulle labbra per azzittirla dolcemente. Lei fa come le dico, poi si infila tra le coperte, nascondendosi tra il tessuto morbido e spugnoso.

Torno in cucina dopo aver chiuso la porta, così controllo l'ora: esattamente le 20:57, dovrebbe essere arrivato.

Difatti il suono della serratura che scatta vi è appena finisco di finire la lavastoviglie. Tutti i miei muscoli si contraggono, così come la voce si sgretola.

È arrivato.

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