𝐗𝐕𝐈𝐈𝐈 - Osare

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Era la terza volta che Yoongi suonava il campanello. E nel frattempo non aveva smesso di bussare ripetutamente contro la porta.

Peccato che da quel piccolo appartamento di Gamcheon in cui riusciva ad insinuarsi qualche odore dalla cucina del Makgugksu Luxe non si manifestava nessun cenno di forma di vita.

Quindi Min decise di suonare la quarta volta.

Avrebbe mentito se avesse detto di non essere preoccupato.

Lo era.

Non tanto perché il silenzio del più piccolo lo aveva sempre fatto preoccupare - anche se anche questo faceva la sua parte - ma era più la consapevolezza di essere rimasto all'oscuro delle sue sofferenze a renderlo inquieto.

Non era giusto. Jimin lo aveva sempre affiancato quando ne aveva più bisogno, quando il tunnel era buio e la luce tardava a farsi vedere.

Quei giorni aveva deciso di percorrere la galleria da solo, Yoongi non sapeva bene per quale motivo.

E ciò lo faceva incazzare, lo legava stretto ai polsi, più rinchiuso di un animale in cattività.

Prima che potesse spingere il tasto del campanello per la quinta volta, si sentì la chiave girare da dentro, e la porta si aprì.

Di poco, così poco che si poteva intravedere solo una flebile linea tra lo stipite e l'ingresso dell'appartamento.

"Entra"

Una voce sottile e sussurrante.

Fin troppo preoccupante.

Yoongi senza esitare obbedì e spalancò la porta.

Una volta prepotentemente varcata la soglia  iniziò a conciliarsi all'ambiente di aria "viziata" e a sentire il ritornello di Amtrak da un volume quasi impercettibile.

Non gli ci volle molto per rendersi conto del disastro di quella stanza - lasciando perdere i vestiti buttati senza cura sul letto sfatto, era impressionante il numero di Ceres per terra e dei mozziconi spenti affianco a quelle e la puzza di alcol e fumo era fin troppo invadente.

Un tonfo soffocato: Jimin si era buttato a peso morto sul materasso, facendolo scricchiolare e forse rompendo una molla, lasciando gambe e braccia aperte come per prendere aria e lasciar asciugare il sudore.

Yoongi era a corto di parole. Temeva che al minimo tono sbagliato potesse eruttare un vulcano. O che i muri della stanza gli crollassero addosso abbattuti anche quelli dalla pesante umidità creatasi.

Silenziosamente si avvicinò per guardare meglio l'amico.

Indossava solamente i suoi boxer a righe azzurre. Era immobile, solo il diaframma si alzava lentamente scandendo dei respiri un po' affaticati. Occhi chiusi, i suoi lineamenti dolci erano quasi rilassati.

Ancora senza proferire parola, la cosa che gli sembrò più sensata da fare fu imitare il più piccolo: un altro tonfo e si buttò a fianco a lui, nella sua stessa esatta posizione.

Niente male come sensazione, non seppe dire perché ma era quasi liberatorio.

"Da quand'è che fumi...?"

"...da oggi", Jimin ci mise parecchio a rispondere.

"Wow, complimenti. Prima bugiardo, ora anche tossico"

A quelle parole Yoongi, con la coda dell'occhio, scorse le sopracciglia dell'atleta corrugarsi.

"Ripetimi perché sarei un bugiardo"

Ora fu il pianista ad aspettare prima di parlare.

"...perché non mi hai detto della custodia?"

Jimin si alzò in piedi di scatto e guardò il più grande dritto negli occhi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 03 ⏰

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𝐋𝐞𝐭 𝐓𝐡𝐞𝐫𝐞 𝐁𝐞 𝐋𝐨𝐯𝐞 ᯽ 𝑡𝑎𝑒𝑘𝑜𝑜𝑘Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora