𝐕 - Due settimane

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"Mi ascolti, deve esserci stato un malinteso"

"Qui l'unico malinteso sei tu, spostati"

"Qui noi ci lavoriamo, le dico che state sbagliando edificio...mi può ascoltare?!"

Un sospiro che raffredda la calda mattina di quasi estate. Un sole ancora sfuggente da est, non troppo ardente, ma di quelli che infastidisce gli occhi azzurri (o verdi). L'elegante architetto si era ora girato a fronteggiare quello che avrebbe definito una prova di dio. Lo sfinimento dei suoi nervi di cui aveva avuto l'onorevole conoscenza solo qualche minuto prima.

"Bene, come vuoi. Ascolterò, ma non le parole di un ragazzino comunque. Portami dal proprietario, così almeno ci senti parlare e ti convinci a lasciarci lavorare"

"Ah sì, il proprietario dice?"

"Sì, esatto"

"Bene..."

Jungkook si aggiustò la giacchetta di jeans che aveva indosso - come se fosse la sua fedele giacca di un completo che portava al lavoro di consueto, con un po' di immaginazione si aggiustava anche la cravatta - e si schiarì la voce, porgendo la mano all'uomo che aveva di fronte.

"Piacere, il proprietario dell'Accademia. La posso aiutare?"

E per Taehyung quella giacchetta un po' strappata un po' sbiadita ammazzava del tutto l'immagine che Jungkook aveva provato a mostrare di se stesso, non aveva dubbi fosse un gioco. Uno scherzo fuori luogo e perditempo. Accennò un sorrisetto, più spazientito che altro.

Ma il più giovane non demordeva. Lo fissava negli occhi, ancora tenendo il braccio teso davanti a lui. Non un accenno di scompostezza o indecisione.

"Mi sembra evidente tu abbia voglia di perdere tempo, io no. Arrivederci, anche se spero sia un addio"

Così Taehyung se lo lasciò alle spalle, chiedendo al cielo di lasciarlo stare e di gentilmente smetterla di inviargli sfide così sfiancanti per metterlo alla prova.
Era il suo progetto. Per nulla al mondo lo avrebbe sacrificato, neanche per la più pietosa della situazioni. Neanche per un impaziente ragazzino di troppo.

"Sig. Kim, hanno chiamato. Arrivano tra mezz'ora per iniziare"

"Ottimo, iniziate ad allestire. Veloci"

"Jungkook!"

L'artista, con ancora quel sorrisetto che era sul punto di mitragliare l'apparente sicurezza del così chiamato "Sig. Kim", si girò verso il cancello del retro: il giardiniere e suo figlio stavano ora correndo verso di lui, con ancora indosso probabilmente i boxer della notte e con i capelli un po' scompigliati.

"Jungkook... cos'è questa roba? Chi sono questi? Cosa stanno facendo?"

Mingyu. Il più piccolo dell'Accademia. Suo padre ascoltava tutte le mattine i violinisti provare nuovi accordi e i cantanti nuove cover mentre tagliava il prato o annaffiava gli oleandri, e la sera si subiva le lamentele di un figlio troppo impegnato con gli studi scolastici per dedicarsi a ciò che più lo rendeva Mingyu.
Quindi fu questione di pochi giorni e di qualche discorso di convinzione prima che entrasse come "nuova recluta"

Jungkook non lo sapeva, ma era il suo punto di riferimento. E per essere il punto di riferimento di un diciassettenne un po' ribelle, significa che sei davvero un mito per lui.

"È una vergogna...dicono che vogliono abbattere l'edificio per farci... cos'era già? Ah sì, una clinica privata. Come se fosse l'unico terreno disponibile della città..."

Era evidente dai suoi occhi il terribile shock a cui stava andando incontro il ragazzino in quell'esatto momento.

"Ma...non preoccupatevi. Si risolve tutto. Sicuramente si sono sbagliati. Tranquilli"

𝐋𝐞𝐭 𝐓𝐡𝐞𝐫𝐞 𝐁𝐞 𝐋𝐨𝐯𝐞 ᯽ 𝑡𝑎𝑒𝑘𝑜𝑜𝑘Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora