4. Un dipendente rompiscatole

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Ashton:

«Signor Creeeew!» le urla di Barton mi fanno alzare gli occhi al cielo e sbuffare.
Non è ancora entrato nel mio ufficio e sta già urlando come un pazzo da dietro la porta.
L'unico che può accedere dall'ascensore, sono solamente io. Tutte le altre persone hanno accesso dall'altra parte.

Scelgo i dipendenti con una cura maniacale, tanto da occuparmene personalmente, ma ancora mi chiedo il perché abbia assunto proprio lui.
È intelligente, capace, puntuale e bravo nel suo lavoro, ma il suo carattere mi fa urtare i nervi come nessun altro.

Spalanca la porta ed entra come un razzo con una cartella tra le mani.
«Signore, ho realizzato un progetto a dir poco strabiliante!» esordisce con un sorriso smagliante.
Scuoto la testa rassegnato, pronto ad ascoltare l'ennesima idea strampalata.

Apro la bocca per rispondere, ma prima che lo faccia corre verso la mia scrivania e prende posto sulla sedia girevole di fronte a me.
Alza la cartella in mano e la appoggia con un colpo secco, ovviamente senza degnarsi di chiedermi se fossi occupato o meno.
«Signore, deve guardare questo!»
continua, agitato.
Non ne posso più e sbotto. «Barton, smettila di urlare, dannazione mi stai assordando!» la sua voce è capace di entrare dentro le ossa!

«Mi scusi, signore» dice mortificato, ma non troppo. Infatti, prende la cartella in mano e la alza mettendola attaccata alla mia faccia. Letteralmente. Non vedo nulla!
«Guardi, guardi, guardi» dice e io sbuffo iniziando a innervosirmi per davvero.
Chiudo gli occhi, facendo un respiro enorme.
Vorrei buttarlo fuori, ma non posso.

«Toglimi questa cazzo di cartella dalla faccia! Come pretendi che veda qualcosa?» evito di prenderla io, perché altrimenti, probabilmente la romperei sopra la sua testa.
Se non avessi il pieno controllo sulle mie azioni, lo avrei già fatto da tempo.

«Oh, ha ragione» ridacchia e la allontana dal mio viso. «Che stupido, è che sono agitato» quindi la appoggia di nuovo sopra la scrivania.
Me ne ero accorto.
«Non vedo l'ora che guardi il mio progetto, sono sicuro che ne sarà entusiasta!»
Sembra talmente felice che mi sto incuriosendo anche io, quindi prendo la cartella da sopra la scrivania e sussulto quando lo sento battere le mani, euforico.
«Le piace, vero?» mi chiede senza lasciarmi neanche il tempo di vederlo.
«Se forse me lo lasci vedere, posso dirtelo» dico, fulminandolo con lo sguardo.
«Ma certo!» sorride e io sospiro guardando il foglio che mi ha dato.
Corrugo la fronte quando vedo un disegno fatto a mano di qualcosa non ben identificata.
Non riesco a capire di cosa si tratta, così giro il foglio in tutte le posizioni, ma nulla. Non mi dice niente. Sembra un disegno che farebbe mio nipote di tre anni, il che la dice lunga.

«Che diavolo è?» non riesco a trattenermi dal chiederlo. Guardo quello che a prima vista sembra una sorta di animale, anche se non capisco quale.
«È un cane, signore!» batte le mani e si alza di scatto dalla sedia. Questa scatta all'indietro e le rotelle la fanno finire poco più lontano.

«Ho pensato che potremmo creare dei cani robot! Potrebbero parlare e correre! Ci pensa?! Li comprerebbero tutti!»
Guarda il soffitto con le mani unite e gli occhi sognanti, come se nella sua testa stesse immaginando ogni cosa.

Io non posso ascoltarlo. Sul serio. Non posso. Ha passato il limite.
«Okay, esci dal mio ufficio» provo a non urlare e mi ripeto di stare calmo.
Il suo viso diventa una maschera di puro dispiacere, tanto da formarsi un broncio.
«Ma... Non è contento della mia idea?»
Quegli occhi castani mi stanno guardando totalmente delusi e diamine, mi fa anche sentire in colpa, ma no. No. No. No.

«Ti rendi conto che mi hai portato un disegno che saprebbe fare meglio anche un bambino di tre anni?
Ti sembra possibile che potrei anche solo prenderlo in considerazione? Ma perché diavolo non ti ho ancora licenziato?» è ciò che mi ripeto ogni giorno da tre anni!

Scusa, ma non ricordo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora