15. La dolcezza di Ashton

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Kate:

Che ci vuole a rispondere ad una domanda?
Ieri quando gli ho chiesto se ero ancora licenziata, non mi ha risposto.
Mi ha solo fatto un sorrisetto, perciò ora non ho idea di cosa mi aspetta. Mi sto recando a lavoro senza sapere se ce l'ho davvero.
Che ansia.
E se mi avesse davvero licenziata?
Accidenti.
Non ne ho idea!

Forse sarei dovuta rimanere a casa e basta, invece alla fine ho deciso di provarci. Pessima idea, sicuramente.
Quando entro dentro, saluto la guardia all'ingresso che come risposta, mi fa solo un cenno con la testa. Come sempre il suo sguardo è proprio antipatico. Non capisco cosa possa avergli fatto.

Proseguo e faccio un lungo respiro guardandomi attorno.
Di lui non c'è traccia.
Bene.
Meglio così.

Prendo l'ascensore e quando sono quasi arrivata alla porta, accelero i passi e mi guardo di nuovo attorno in modo circospetto, poi apro ed entro dentro richiudendola piano, in modo da non farmi sentire se fosse nella zona.

«Buongiorno, Kate» sento la sua voce dietro di me e salto per lo spavento, girandomi di scatto.
È seduto sulla mia sedia e mi sta guardando con un sopracciglio sollevato e un mezzo sorrisetto sulle sue belle labbra.
Si sarà goduto anche la scena, mentre chiudevo la porta piano per non farmi sentire da lui.
Che scema che sono.
«Cosa ci fai tu qui?»
La domanda che temevo!

«Sono venuta a... lavoro?»
Risulta più come una domanda che un'affermazione.
«Quello l'ho capito, peccato che a me risulta che ti abbia licenziata ieri.
Quindi, ripeto: che ci fai qui?»
Mi sta mettendo volutamente a disagio.
Schiudo le labbra e deglutisco, realizzando il peggio.
Mi ha licenziata per davvero!

«Io pensavo che... ecco...» comincio a balbettare per l'agitazione e sto ferma nello stesso punto con una statua.
«Pensavo che avessimo fatto pace e... Che non fosse vero.»
O almeno ci ho sperato.

«Quando licenzio qualcuno, non scherzo mai. La vita privata è diversa da quella lavorativa. Quindi sì, abbiamo fatto pace, ma non vuol dire nulla. Puoi andare a casa.»

«Ma...ma...»
Sono scioccata. Non so cosa dire.
«Ci abbiamo provato, però non riusciamo ad andare d'accordo, quindi ho già provveduto a procurarmi un'altra assistente. Per fortuna l'ho trovata subito. Anzi, arriverà tra poco. Non c'è bisogno che tu rimanga, le insegnerò io cosa fare.»

Che???
Mio Dio, qualcuno mi dica che è solo un brutto scherzo.

«Ma non... Non puoi averlo fatto sul serio!» strillo, facendo qualche passo avanti.
Ora sto iniziando ad innervosirmi per davvero.
Non è possibile!
Qualcuno bussa alla porta dell'ufficio e lui subito sorride.
«È lei. Guarda caso la conosci già.»

Corrugo la fronte, non riuscendo a capire cosa voglia dire.
In che senso la conosco?
Mi viene in mente la sua vecchia assistente Yoky, ma io non l'ho mai conosciuta, quindi non può essere lei.

«Entra...» mi guarda dritto negli occhi, poi pronuncia il suo nome piano, scadendo ogni singola lettera. «Tracy.»
Mentre guardo il suo viso dove si è formato un sorrisetto soddisfatto, la porta dietro di me si apre.
Di fronte a me si trova Tracy Morgan, la donna robot che ieri si è svegliata a causa mia. Sgrano gli occhi, esterrefatta. Non ci posso credere...

Ha dei lunghi capelli biondo platino, lisci, contornati da un viso perfetto. Occhi azzurri con ciglia lunghe e folte, sopracciglia ad ali di gabbiano, naso piccolo, zigomi definiti e delle labbra piene con una forma ben definita.
Indossa una camicetta bianca, con una gonna nera che valorizza delle gambe magre e chilometriche, ai piedi dei tacchi vertiginosi.
È bellissima. E non sembra affatto una robot, quanto più una donna in carne ed ossa a tutti gli effetti.

Scusa, ma non ricordo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora