I Should Like pizza

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«Signorina McGuiss, abbiamo accolto con piacere la sua domanda di iscrizione, a questo collegio. La sua situazione le ha permesso di scalare molte richieste ormai in attesa, ma noi preferiamo avere persone come lei, qui.»

Annuisco, cercando di non sbadigliare. Blatera e blatera, quasi elogiando il mio problema, ovvero perdita quasi totale della memoria. Wow, un applauso a me!
«Grazie mille, signor...» leggo il cartellino appoggiato sulla scrivania: «Richards.»
L'uomo annuisce e sfrega le mani: «Lei sa benissimo che questa scuola è prettamente dedicata ad adolescenti in difficoltà, vero?»
Annuisco e penso alla mia situazione. Mi domando come facciano ad esistere persone in difficoltà più di me, che non ricordo nemmeno il nome dei miei genitori.
Afferra un foglio dal suo cassetto e me lo porge.
«Qui può trovare gli orari dell'apertura della mensa, del coprifuoco e delle uscite autorizzate. Il numero di camera è in basso, a destra. Spero abbia una piacevole residenza, qui al Newton College» sorride, facendo arricciare i suoi lunghi baffi bianchi.
Mi sento congedata, quindi mi alzo, stringo la mano al preside ed esco dall'ufficio.
Gli sguardi dei presenti nei corridoi ricadono tutti su di me.
Non capita spesso che una ragazza esca sorridente dalla presidenza, a quanto ne deduco. La verità è che ero solamente stufa di sentirlo ciarlare. Leggo il numero dell'armadietto sul foglio consegnatomi dal signor Richards e cerco di orientarmi nella giusta direzione. Le porte rosse sono tutte uguali e non ci sono nemmeno dei cartelli.
Che diamine. I corridoi si spopolano lentamente e rimango solo io, abbandonata a me stessa, sperduta chissà dove, con un inutile pezzo di carta in mano.
Mi ritrovo in un'ala della scuola abbastanza accogliente. Non ci sono armadietti, quindi ho decisamente sbagliato direzione. Mi guardo intorno, ma questo posto mi sembra terribilmente uguale a dove mi trovavo prima.
«Bellezza!»
Un voce maschile mi arriva alle spalle. Volto la testa a destra e sinistra, ma non c'è nessuno eccetto me.
Sbuffo: spero che non abbia intenzione di attaccare bottone o fare battute tipiche da collegiale.
Mi giro ed un ragazzo dai capelli ramati e la divisa mi fa cenno con la testa, come a dire 'sì, parlavo con te'.
Mi avvicino confusa ed infastidita. Probabilmente mi avvicino solamente perché desidero indicazioni. Francamente, come si può dare ascolto ad un ragazzo che usa ancora il termine 'bellezza', nel ventunesimo secolo?
«Ti sei persa?» mi chiede, con un tono malizioso.
Annuisco e lo guardo negli occhi, cercando di capire le sue intenzioni. Occhi verde acqua da un taglio definito, quasi malvagio.
«Dove mi trovo?» gli chiedo, innocentemente.
«Sei nell'area del dormitorio dei ragazzi. Ma sai...» il ragazzo si avvicina a me: «Nulla accade per caso.»
Mi allontano e faccio una smorfia. Ovviamente, la prima persona che ho il privilegio di incontrare è un coglione rompipalle.
«Stavo scherzando, tesoro» scoppia a ridere, annulla lo spazio che avevo ricavato tra noi e mi accarezza il viso: «Sembri troppo innocente, per piacermi.»
Alzo gli angoli della bocca, ma il fastidio mi corrode. Da quando uno sconosciuto apparentemente rincretinito può permettersi di dare un giudizio sulla mia persona?
«E tu sei troppo sfacciato, per piacermi» rispondo, calcando il sorriso.
Il ragazzo mima un 'colpito e affondato' ed io scoppio a ridere involontariamente.
«Allora» dico, ritornando seria: «Potresti aiutarmi senza dire o fare qualcosa di stupido?»
Gli mostro la mappa. Lui, dopo aver schioccato la lingua come risposta, l'afferra e la rigira tra le mani un paio di volte.
«Devi andare dritto, poi devi continuare ad andare dritto, poi devi camminare sempre dritto e..»
«Dritto?» rido un'altra volta, sarcasticamente.
«Sì» replica, del tutto serio.
Annuisco lentamente, leggermente scettica: «Quindi questa strada mi porterà al mio armadietto?»
Il mio sopracciglio alzato combatte contro la sua espressione corrucciata e seria. Poi si scioglie:
«No, ti porterà dritta nel mio cuore» risponde, sbattendo le ciglia.
Sono scioccata. E lusingata.
«Mi pareva di aver detto, niente cose stupide» gli poggio una mano sul petto e faccio per allontanarlo: «Questa è l'accoglienza dovuta alle nuove?»
«Solo a quelle belle come te» risponde, accarezzando una ciocca dei miei capelli. Mi scanso.
Gli do le spalle, scuotendo la testa, e ritorno sui miei passi, non ascoltando ciò che dice. Inizio ad ancheggiare leggermente e a far svolazzare la mia chioma, cercando di sembrare sicura di me.
«Comunque mi chiamo Louis!» sento gridare dal ragazzo, ormai lontano.
Caro Louis, sarà difficile sopportarti.

AmnesiaWhere stories live. Discover now